lunedì 27 ottobre 2008

Cesare dittatore democratico



EUGENIO SCALFARI
L'ESPRESSO

Il suo potere ebbe come base e principale sostegno il 'demos', il consenso del popolo e la politica fu una delle sue passioni non come missione quanto come conquista del potere per sé Si è aperta a Roma, al Chiostro del Bramante, un'esposizione che ha come tema Giulio Cesare. Il personaggio è attraente e andrò a vederla nei prossimi giorni. Una mostra su Cesare è soprattutto provocativa, le sue gesta militari e politiche sono provocative, ma soprattutto lo è la sua vita, la sua scrittura, i suoi pensieri per quel tanto che possiamo coglierli dal suo multiforme vissuto.

La definizione più corrente che si dà di lui è quella di dittatore democratico, accreditata da Luciano Canfora che è di Cesare uno dei più attenti e informati storici. Credo sia una definizione appropriata, ma merita una chiosa: tutti i dittatori sono democratici nel senso che il loro potere ha come base e principale sostegno il 'demos', il consenso del popolo. Questo è l'elemento che distingue il dittatore dal tiranno che si appoggia unicamente sulla forza e sulla repressione.

Si sa, o meglio si dice, che Cesare abbia pianto di fronte alla statua di Alessandro che era morto a trentatré anni dopo aver conquistato il mondo mentre lui, alla stessa età, era soltanto un 'edile', gradino iniziale delle magistrature della Roma repubblicana.

Alla distanza Cesare superò Alessandro: l'Impero da lui fatto emergere dalla crisi della Repubblica fu ancora più esteso di quello del macedone e durò molto più a lungo: trecentocinquanta anni e poi altri cento di declino prima della data finale.

Di Alessandro non si sa molto, il mito lo ha avvolto fin dall'adolescenza ed ha fatto sbiadire sotto il suo fulgore la personalità storica del figlio di Filippo. Si conoscono le sue battaglie, la sua stupefacente cavalcata dalla Grecia fino alle terre del Caspio e dell'Indo, all'Arabia, all'Egitto e alle lontane oasi del deserto libico. Si identificava con Achille ma poi andò oltre e si autodivinizzò.

Cesare non gli somiglia in nulla se non nella grandezza delle ambizioni. A differenza dell'Anabasi di Alessandro, l'impero di Cesare nacque più lentamente, come tutte le rivoluzioni politiche che trasformano e rinnovano l'esistente mantenendone il massimo di continuità. Cesare non era soltanto ambizioso ma anche ambiguo, intrigante, spregiudicato, equivoco. Stavo per aggiungere dissoluto, ma questo è un attributo che nella Roma di allora non avrebbe avuto alcun significato particolare.

La politica fu una delle sue passioni non tanto come missione quanto come passione per il potere. La conquista del potere per la brama di averlo per sé ed esercitarlo. Ma la strada era molto lunga: Cesare si trovava ai margini della gerarchia senatoria, aveva scarsi mezzi, nessun seguito e nessuna fama. Perciò intrigò e nel modo peggiore: cercando di destabilizzare il potere senatorio. Lo fece in due modi: rivendicando una sorta di discendenza politica dai Gracchi e da Mario e connivendo con Catilina e con i suoi congiurati. Catilina puntava al dispotismo, in quegli anni di perenne turbolenza si schierò contro la legalità repubblicana. Cesare era troppo intelligente per non vedere la pericolosità di quel 'golpe', ma lo spinse e lo incoraggiò. Non è chiaro ma molto probabile che, alla fine, lo abbia tradito. Certamente si mantenne in bilico tra il tentativo golpista e la repressione senatoria.

In quegli anni turbinosi la Repubblica fu scossa da due questioni intrecciate strettamente l'una con l'altra: la questione sociale e quella dell'impero.

La prima nasceva dalla struttura stessa della città e dal rapporto tra la plebe e gli ottimati. Tra il Senato e i Consoli da una parte e la potestà tribunizia dall'altra. Tra l'economia cittadina e quella delle provincie e delle colonie.

La questione dell'Impero si era posta nel momento in cui tra la seconda e la terza guerra punica si era chiusa la partita per l'egemonia nel Mediterraneo. Portava il nome d'un grande condottiero e di una grande famiglia: Scipione.

Questione sociale e questione imperiale avevano minato alle fondamenta il potere repubblicano. Durò cinquant'anni quella turbolenza e si concluse con la conquista delle Gallie e con la guerra civile, un milione di morti, la nascita dell'Impero e il primo dei Cesari alla sua guida.

Ma l'uomo che assunse la dittatura a vita, interrotta alle Idi di marzo dai pugnali di Bruto e di Cassio, era molto diverso da quello che aveva pianto di invidia di fronte al busto di Alessandro e che aveva incoraggiato Catilina a cospirare contro la Repubblica. Il Cesare imperatore era un effetto dei tempi, un personaggio creato dalla necessità di colmare un immenso vuoto. A volte gli uomini creano i fatti, altre volte al contrario sono i fatti a creare gli uomini adeguati. Credo che sia stato questo il caso di Cesare così come, 1.800 anni dopo, fu quello di Napoleone.
(24 ottobre 2008)

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