lunedì 20 ottobre 2008

Economia, antidoti alla paura



di DARIO OLIVERO
L'ITALIA, INVECE
LA REPUBBLICA

Non sappiamo l'inglese, figuriamoci il cinese. Eppure ci fu un tempo in cui le università di Napoli e Venezia forgiavano classi dirigenti in grado di comunicare con i grandi mercanti d'Oriente. Non sappiamo la matematica, ma siamo tutti promossi lo stesso, poi si vedrà. Eppure finlandesi e indiani non sono geneticamente predisposti ai numeri, ma intanto sfornano ingegneri e informatici che la California accoglie a braccia aperte.

Salviamo l'italianità di Alitalia con i soldi pubblici senza chiedere ai contribuenti se non preferirebbero investire la stessa cifra per settantamila assegni di dottorato di ricerca all'anno per dare un futuro ai loro figli. Da popolo affamato, ma coraggioso e nomade, siamo diventati gente che per lavoro non è disposta a spostarsi da Milano a Roma.

I nostri industriali piangono per avere una sanatoria in periodo di crisi che non li vincoli alle norme ambientali dell'Unione europea, mentre in altre parti del mondo gli investimenti sulle energie rinnovabili creano sviluppo e posti di lavoro. Eccetera. Passando attraverso precariato strutturato, corporazioni che congelano ogni riforma del mercato, una classe politica da anni impastoiata in una dilazione infinita della risoluzione dei problemi. Quindi? Quindi catastrofismo, declino. Ma il declino, come un trend sui mercati, è una profezia che si autoavvera. E lo è anche il suo opposto: la profezia che si possa risalire. La metafora che Carlo De Benedetti e Federico Rampini usano dà il titolo al libro Centomila punture di spillo (con Francesco Daveri, Mondadori, 17 euro). Qui potete leggere la prefazione.


C'è una gigantesca cappa sul nostro Paese. Un po' reale, un po' strutturale, un po' indotta. Una cappa di paura, rassegnazione, fatalismo. Che addormenta l'intelligenza. Impedisce di cogliere la rivoluzione copernicana in atto in questo periodo: lo spostamento dell'asse del pianeta verso est. Ostacola un'analisi chiara di dove sta andando il mondo e quindi un'analisi di quale direzione darsi. Isola e nasconde le centomila zone di eccellenza al lavoro per bucare la cappa.

Racconta una globalizzazione che in realtà è già cambiata ed è entrata in una fase nuova in cui noi importiamo Cina ma la Cina importa noi e le nostre regole. Il libro è un'analisi macroeconomica del momento, di come si è arrivati a questo, ma soprattutto di come uscirne. E' il mondo visto da un'Italia che prende una boccata d'aria dalla cappa in cui è immersa.

TUTTE STORIE

Immortale citazione a pagina sette di Storytelling di Christian Salmon (tr. it. G. Gasparri, Fazi, 18 euro). E' la frase pronunciata dal giornalista del film di John Ford L'uomo che uccise Liberty Valance: "Siamo nel West, senatore. Quando la leggenda diventa un fatto, stampa la leggenda". La teoria del libro è a braccio questa: l'uomo da sempre racconta storie, è quasi un suo bisogno primario. Una lunga linea temporale da Omero al Ventesimo secolo passando da Shakespeare e Tolstoj lo conferma. Poi però le storie hanno mostrato le loro strutture. Senza addentrarsi troppo nel tecnico, De Saussure e Roland Barthes hanno smontato e rimontato i vari piani di narrazioni e linguaggi.

Per farla ancora più breve, l'intuizione di Salmon è questa: a partire da un certo punto del Ventesimo secolo la tecnica di raccontare bene una storia è diventato un'arma. Non si vendono più prodotti né loghi, si vendono storie. Non si impara più attraverso nozioni, ma attraverso storie. Un candidato alla presidenza americana non offre un programma, offre la sua storia. Vera? Ecco il punto. Forse vera no, ma sicuramente molto ben raccontata. Così bene che sembra proprio la storia che ognuno vorrebbe sentire su un uomo, un prodotto, un Paese, un'istituzione.

Questo è lo storytelling: professionisti della narrazione al servizio degli interessi di turno. Gente che te la sa raccontare così bene che ti sembra tutto normale. Perché gli uomini sono animali narrativi, perché le storie mettono ordine al mondo. Qualsiasi mondo, anche quello il potere ha deciso. E una volta che tutti pensano che James Stewart ha ucciso Liberty Valance, nessuno crederà mai che voleva solo metterlo in prigione e che a sparare è stato John Wayne.

ANIMALE POLITICO

Quando David Hume si ritrovò all'ultimo scalino fu costretto ad ammetterlo con pragmatismo scozzese. D'accordo, fin qui tutto si può mettere in dubbio, compreso che il sole sorga anche domani mattina. Ma gli uomini continueranno a crederlo. Perché alla base di nozioni, comportamenti, intelletto c'è una cosa totalmente irrazionale. The belief, l'aveva chiamata, la credenza. Un bello smacco per un filosofo empirista e antidogmatico come lui.

E' uno dei primi maitre a' penser a essere citati nel saggio di Drew Westen La mente politica (tr. it. M. Ceschi, il Saggiatore, 20 euro). Perché poi alla fine il problema è drammaticamente politico. Le elezioni non si vincono con un programma di punti selezionati, ordinati, ragionati e razionali. Il potere non si conquista con la ragione. Per questo molte persone per bene e che magari potrebbero appianare il deficit non vincono mai e restano sempre in seconda fila. Per questo, per dirla con Westen, i democratici in America non vincono dai tempi di Clinton che questa lezione l'aveva capita. Come l'hanno capita i repubblicani. Un uomo non cerca una risposta razionale, cerca una serie di tasselli che lo convincano delle sue idee (della sua belief). Non solo. L'uomo farà di tutto per mettere insieme gli elementi che più funzionano per trovare una coerenza che elimini qualsiasi conflitto tra l'idea (o il candidato) che ha già scelto emotivamente e la realtà. Westen è psicologo e psichiatra. Quello che scrive è tutto documentato con divertenti test e grafici alla mano. Si reagisce con l'emozione, poi si razionalizza. E' una questione di lobi frontali, non di declino della civiltà.

Tutto questo trasportato nella politica significa che un partito o un candidato devono avere un'intelligenza emotiva, ossimoro per dire che non basta avere ragione con la mente, bisogna conquistarsela con il cuore. Che se il tuo avversario ha gioco facile a puntare sulla paura dei cittadini e fa presa vuol dire che da qualche parte quella paura esiste davvero. Ma se funziona agitare la paura, funziona anche rassicurare dalla paura. Basta andare a toccare la corda giusta. E poi, ma solo poi, tirare anche fuori dati e cifre.

(16 ottobre 2008)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Da acquistare, subito.
E leggere, naturalmente.