mercoledì 29 ottobre 2008

LA CASA di RECLUSIONE di SAN GIMIGNANO

di Luigi Morsello

DUE

Il provvedimento di missione, che mi destinava a San Gimignano per due giorni la settimana e fino a nuovo ordine, era del 29 dicembre 1969, un sabato.
Il lunedì successivo mi feci accompagnare da un agente gentile con la sua autovettura. Sarebbe venuto a riprendermi il martedì pomeriggio. Non avevo ancora una macchina mia personale. Con uno stipendio iniziale di 105.000 lire mensili c’era poco da stare allegri.
Avevo un’idea di cosa avrei trovato, me l’ero fatta a Firenze due anni prima. Alloggiando in caserma agenti della casa penale di Firenze potevo osservare dall’interno come funzionava un carcere nel 1967, quella volta che volli entrare in carcere, nella zona detentiva, di notte non fui il solo a restare sorpreso. Per prima lo fu il brigadiere Ficuciello, non era mai accaduto prima ! Ma anche la mia sorpresa fu notevole quando andammo sul muro di cinta, che serviva solo un settore del carcere: c’era una illuminazione con lampade ad incandescenza così fioca da sembrarmi che nessuno se ne preoccupasse. Nelle perizie di ristoro dei danni alluvionali feci rifare quell’impianto.
Bene, identica la situazione del carcere di San Gimignano, il cui muro di cinta, che si vede nella parte alta della fotografia, non era dissimile quanto a illuminazione da quello della casa penale di Firenze: luce fioca dappertutto.
Incredibile !
Però prima desidero illustrare cos’era l’ex carcere di San Gimignano. Paradossalmente, oggi so quello che ieri non mi era dato sapere, vuoi pedr l mancanza di un archivio e di una biblioteca nel carcere, vuoi perché animato da ben altre preoccupazioni.
Le notizie sono presenti nel sito
www.ex-libris.it.
La città di San Gimignano possiede un complesso architettonico, costituito coerentemente da un dentro-fuori, edifici e spazi aperti che, pur facendo parte integrante della sua organizzazione spaziale ed essendone anzi all’origine, prima come castello e poi come convento, è stato sottratto per più di un secolo e mezzo, come carcere, alla fruizione cittadina. Dicendo" possiede" non si usa il verbo nel senso giuridico ma, ben più significativamente, dell’appartenenza. Il San Domenico è un pezzo della città, del suo centro storico dichiarato dall’UNESCO patrimonio culturale dell’umanità. Purtroppo - ecco l’aspetto giuridico - per varie vicende questo è ora di proprietà del Demanio statale che sembra fortemente restio a cederlo a qualsiasi titolo al Comune, considerandolo genericamente e senza alcun rispetto della sua importanza culturale ed urbanistica, una semplice occasione per realizzare un’entrata economica.”
“Il San Domenico ha tutte le carte in regola per essere il luogo della riscoperta collettiva del territorio, dove le molte attività cittadine trovino l’occasione permanente e tutti gli strumenti necessari per realizzare la propria unità anche pedagogica. Che cosa significa abitare in una straordinaria città storica? Come gestirne il patrimonio spaziale, sociale, culturale?”

Dopo il trasferimento della casa penale in località Ciuciano Ranza 20, sempre nel territorio del comune di San Gimignano, le strutture del vecchio carcere tornarono a far parte del demanio dello Stato (tutti gli istituti penitenziari sono demaniali, in uso gratuito all’amministrazione penitenziaria), restando vuote ed inutilizzate, solo la palazzina appoggiata al lato interno delle struttura conventuale adibita a ufficio direzione e già alloggio del direttore, fu consegnata ed oggi ospita gli uffici della polizia urbana.
Per recuperare la totalità degli edifici si costituì un comitato cittadino, a cui dobbiamo le notizie che sto riportando.
“Il "complesso architettonico" noto come ex convento di San Domenico ed ex carcere di San Gimignano è inserito nella prima cinta muraria di San Gimignano, realizzata negli anni mille dell’era cristiana e derivato da un nucleo abitativo risalente a tempo immemorabile, com’è asseverato dal ritrovamento in loco di rilevanti reperti etruschi.
L’importanza di questo nucleo abitativo altrimenti definito "castrum" o "centro abitato fortificato" fu riconosciuta da Ugo, re d’Italia il quale con suo atto del 30 agosto 929, disponeva che il "castrum montis qui dicitur turris", venisse posto sotto la giurisdizione del vescovo di Volterra.
Dal "castrum del monte della torre" prese l’avvio, nel secolo XII, lo sviluppo politico, sociale ed economico di San Gimignano, città libera da vincoli di dipendenza la quale, giustamente, volle riconoscere al suo primo nucleo abitativo la funzione di "rocca comunale", punto di forza ed orgoglio della collettività locale.
La trasformazione della rocca comunale in convento domenicano, iniziata nel 1353, fu una imposizione della repubblica fiorentina, dovuta a necessità militari che suggerivano la realizzazione di una "nuova rocca" in idonea posizione strategica.
La costruzione del "convento di San Domenico" protrattasi formalmente tra il 1353 e il 1496, ma proseguita sostanzialmente nei secoli successivi, fu a carico del Comune e dei cittadini di San Gimignano che sentirono il bisogno di assumersi il relativo onere economico.
Il convento di San Domenico, durante molti secoli, visse a pieno la vita di San Gimignano, come dimostra l’utilizzazione pubblica della chiesa, nonché l’assegnazione degli altari e dei monumenti funebri ai cittadini che ne facevano richiesta, senza contare che alcuni locali del convento, come la "sindacaria" o sala di ritrovo, erano destinati alla normale frequentazione laica per lo svolgimento della vita di relazione. La collettività sangimignanese, dopo il provvedimento granducale con il quale, nel 1787, veniva soppresso il convento di San Domenico, tentò di ottenere la destinazione del complesso edilizio abbandonato a finalità sociali e commerciali (quali un ospizio o una fabbrica).
La trasformazione in carcere, predisposta dal granduca nella prima metà del secolo XIX, venne subita dalla collettività sangimignanese e mai accettata, tanto che il progettista al quale erano stati affidati i relativi lavori, l’architetto Giovanni Battista Silvestri, anche per rispondere agli innumerevoli "desiderata" rispettò le caratteristiche conventuali e non modificò le strutture portanti, forse nella convinzione di un futuro ritorno all’antica destinazione.
Il Comune di San Gimignano nel chiedere, agli inizi degli anni 80 del secolo XX, la qualifica di bene culturale del complesso edilizio adibito a carcere cittadino, mise in evidenza quanto fin qui detto, poi sintetizzato nel relativo decreto ministeriale del 23 giugno 1982
(io non ero più in servizio a San Gimignano, n.d.a.) che riconosceva il valore storico artistico dello stesso complesso edilizio.
Il Soprintendente pro-tempore per i Beni Ambientali e Architettonici (oggi per i Beni Architettonici e per il paesaggio), dopo un accurato sopralluogo, sostenne l’altissimo valore storico artistico del complesso edilizio in esame (con particolare riferimento ai locali del sottosuolo, residui del castello feudale, alla presumibile cripta sacra, coperta da uno strato di cemento; alle pietre dell’altare maggiore, prelevate da una grande tomba etrusca scoperta casualmente nell’orto del convento; alla grandiosità ed alla bellezza della chiesa originaria certamente ricchissima di opere d’arte mobili, tra cui un trittico del Perugino trafugato da ignoti ed oggi nel Museo Nazionale di Washington; alla individuata torre che, prima dell’anno mille, aveva dato il nome al "castrum", appunto, detto " della torre"; alle notevoli dimensioni del refettorio generale, suddiviso in un’infinità di piccole celle carcerarie ma le cui pareti coperte di intonaco non potevano non essere affrescate; all’architettura del chiostro conventuale, che richiamava le strutture dei più importanti conventi domenicani; alla rara tipologia del pozzo cisterna a pianta decagonale); insomma un monumento talmente pieno di testimonianze del passato da non capire il motivo di un così lungo disinteresse degli organi preposti alla conoscenza ed alla tutela del patrimonio culturale.
Le molteplici caratteristiche di bene culturale e la collocazione urbanistica nel contesto cittadino furono i motivi per cui l’autorità carceraria decise la costruzione di un nuovo edificio da adibire a penitenziario, lontano dal centro storico di San Gimignano, in modo da consentire la reintegrazione nella città di un importante "pezzo" ingiustamente tolto dall’insieme al quale apparteneva e, per troppo tempo, ingiustamente sottovalutato. L’UNESCO riconobbe all’intero centro storico di San Gimignano, primo in Italia, l’appartenenza al Patrimonio Mondiale, in virtù della quantità e della qualità dei beni culturali facenti parte dello stesso centro storico, evidentemente non ultimo il complesso edilizio ex convento-ex carcere.”

C’è una qualche inesattezza nell’ultima parte.
A prendere l’iniziativa di suggerire all’amministrazione penitenziaria l’opportunità di costruire un nuoco carcere fummo io ed il sindaco pro-tempore della città Pier Luigi Marrucci, che mise a disposizione un terreno del demanio comunale del lato che va verso Certaldo e l’iniziativa non ebbe successo immediato.
Solo dopo il riconoscimento di cui sopra del valore del complesso conventuale del 23 giugno 1982 l’amministrazione penitenziaria adottò una variante del programma di edilizia carceraria ma fu messo a disposizione un terreno del lato del comune che va verso Poggibonsi.
Sono stato diverse volte a San Gimignano, da turista e pellegrino sentimentale, mi sono sempre rifiutato di andare a vedere dov'era stato costruito il nuovo carcere.
Mi era stato descritto e non credevo alle mie orecchie, il nuovo carcere è stato realizzato in una conca ed era dominabile dall’alto da tutti i lati, dimodochè poteva essere preso sotto tiro il cortile di passeggio e l’intera struttura dall’alto !
Ma torniamo al racconto, ai primi giorni di missione.
Il reggente la direzione era il rag. Tommaso Ferrazzano, il quale, constatato che la sua aspettativa ad avere la direzione era stata delusa, si era fatto trasferire e, dopo aver fatto la verificazione di cassa con tanto di verbale, andò via.
Il maresciallo comandante di chiamava Lomuscio Francesco, un pugliese piccolo e tozzo che mal sopportava la presenza di un giovane vice direttore con funzioni di direttore e ben presto fu trasferito a Genova.
Con funzione di portinai c’erano tre anziani appuntati, Cialente Marcantonio, Miniati Gerardo e Buiani Nello. Tutti e tre andarono in pensione durante il mio servizio a San Gimignano.
Non erano un retaggio del passato, erano anziani sì, ma in gamba, sapienti soprattutto.
Cialente era un meridionale e proveniva dall’Arma dei Carabinieri, Miniati era un toscano di Certaldo e Buiani della provincia di Firenze. Dei tre il meno corpulento era Miniati, occhietti vividi, Buiani era flemmatico, un toscano flemmatico, sembrava lento anche nel pensiero, ma non era così, in realtà era sistematico ed ordinato. Cialente erano sereno e calmo, lo dimostrò qualche anno dopo, quando si verificò un evento drammatico che riferirò a tempo debito.
Naturalmente, citerò tutti i personaggi che sono stati anche attori, di una fase della vita del carcere o di eventi che vi si sono verificati.
All’epoca il personale di custodia faceva ancora parte del corpo degli agenti di custodia, era un corpo militarizzato a tutti gli effetti.
I due sottufficiali più giovani, che vivevano a San Gimignano ed erano sposati, si chiamano Cappelli Mario e Perozziello Matteo, il primo sangimignanese, il secondo meridionale.
Il più sveglio degli appuntati si chiama Guazzini Mario.
Durante la missione (due giorni la settimana, una miseria !) pernottavo in una stanzetta libera, adibita a caserma agenti, assieme a due alloggi demaniali vuoti occupato a tale scopo.
C’era un edificio adibito a direzione ed alloggio direttore, ma si volle trar profitto di qualche crepa per demolirlo e ricostruirlo in modo più acconcio, con le stesse destinazioni, Direzione e alloggio comandante. Le crepe, mi fu riferito, non erano sintomo di alcun pericolo, fu solo una manovra spregiudicata per ricostruire ex novo l’edificio.
Quando io arrivai a San Gimignano la demolizione, iniziata in precedenza, era stata fermata perché alla base dell’edificio furono trovate delle volte a crociera, si rese necessario informarne la Soprintendenza ai Monumenti, che bloccò i lavori per valutare l’importanza di quelle volte.
La direzione era stata spostata all’ultimo piano della caserma agenti, in condizioni di estremo disagio, il comandante in un terzo alloggio demaniale, il direttore aveva un alloggio con annesso giardino con ingresso esterno.
Bene, si respirava un po’ dappertutto aria conventuale, il carcere era stato adibito prima anche ad alloggiamento di soldati del granducato di Toscana e carcere femminile, anche se il Comitato cittadino non ne parla nelle notizie storiche.
Inoltre, nel ventennio fascista erano stati fatti importanti lavori di restauro, dei quali sopravvivevano solo i portoncini in legno, di chiusura delle celle.
Le celle non erano cubicoli, ma ambienti di varia cubatura, c’erano solo due sezioni attive e tali restarono.
La prima sezione era adibita a celle di isolamento, la quarta sezione soprastante ad infermeria detenuti (abbandonata da tempo) e soprastante un settore della caserma agenti anch’essa abbandonata.
Nella prima sezione c’era anche la cappella ed un ampio locale adibito a cinema.
Ciò che mi prema di più descrivere è l’atmosfera che si viveva nel centro storico, le cui mura castellane delimitavano anche l’orto del carcere ex convento, un centro storico praticamente intatto, una illuminazione delle strade medioevali sapiente che rendeva alla perfezione la sensazione di appartenere al passato.
La prima sera che uscii trovai un tempo brumoso, l’illuminazione stradale fioca, le stradine deserte, ne fui stregato, letteralmente, ebbi l’impressione di un tuffo nel passato, a ritroso nel tempo.
C’è una fotografia che rende bene l’idea, la pubblico a fine di questo capitolo.

(continua)

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