lunedì 27 ottobre 2008

La tragedia di Marta nella Berlino dei russi



IL CORRIERE DELLA SERA

BERLINO — L'unico grammo di verità uscito dalla mente di Goebbels non fu meno orribile di tutto il resto. Mentre, nei primi mesi del 1945, l'Armata Rossa sovietica avanzava in territorio tedesco, il ministro della Propaganda faceva leva sulle antiche paure dei berlinesi per «i barbari che vengono dall'Est»: avrebbero violentato donne, saccheggiato la città, ucciso — faceva sapere. Quello che successe nella realtà è rimasto per decenni sotto il tappeto della coscienza nazionale tedesca, traumatizzata e impaurita, ma finalmente ora diventa conoscenza di massa: Goebbels vide giusto. Nei mesi seguiti alla capitolazione del Terzo Reich, si consumò lo stupro di Berlino. Il 20 aprile 1945, mentre stava in un bunker, una donna trentenne iniziò a tenere un diario.

È il racconto delle violenze e delle umiliazioni che lei e migliaia di altre berlinesi subirono nei giorni successivi. Ed è la spiegazione del dramma di non poterlo gridare, della vergogna ma anche del senso di colpa e di punizione di un popolo che scopriva gli orrori del nazismo (in Italia lo ha pubblicato Mondadori: Una donna a Berlino). Ora, oltre sessant'anni dopo, quel racconto ha preso la forma di un film, da ieri nei cinema tedeschi. Si chiama Anonyma, Eine Frau in Berlin, perché fino alla morte, nel 2001, chi l'ha scritto, Marta Hillers, una giornalista, non ha voluto far sapere il suo nome. Fa diventare pubblica una pagina di storia che le nonne e le madri al massimo sussurravano, che i maschi rifiutavano. «Komm, Frau, Komm» — si sente urlare nel film. «Vieni, donna, vieni»: l'ordine dei soldati sovietici alle donne tedesche, tra le macerie di Berlino. Seguiva lo stupro, spesso di gruppo, spesso ripetuto. C'è chi parla di decine di migliaia di violenze, chi di due milioni: più probabilmente, centomila. Terrore, comunque: suicidi, aborti, nascita di Russenbabies. Gli «Ivan» erano padroni, nella zona di città da loro occupata. Preferivano le donne grasse, dice Hillers. Ma trattavano tutte peggio dei loro cavalli, «ai quali almeno parlavano con voce umana».

Con le figlie del nazismo, con le mogli e le madri dei soldati che avevano messo a ferro e fuoco la Russia, nessun rispetto, nessuna pietà. Alito di tabacco, di aglio, di vodka, mani violente: impossibile sfuggire alla degradazione imposta dall'occupante. Hillers, come altre, per salvarsi cerca qualche ufficiale del quale diventare cortigiana, amante, almeno è uno solo e forse gli stupri collettivi finiranno. Marta — sul set Nina Hoss — ne trova uno. Nel diario ci sono momenti di tenerezza, il film fa avvicinare la storia più a un innamoramento da Sindrome di Stoccolma. Quando a Berlino riprende un minimo di normalità e i soldati tedeschi tornano a casa, non vogliono sapere. E le donne non vogliono dire. «Dobbiamo tenere la bocca chiusa — dice la protagonista —. Ognuna di noi deve agire come se fosse stata risparmiata. Altrimenti nessun uomo vorrebbe toccarci mai più». Lei, forse più coraggiosa, consegna il diario al fidanzato, Gerd. Il quale lo legge, non dice una parola, se ne va. Nella Germania dell'Est, dello stupro di Berlino non s'è parlato perché l'Armata Rossa era eroica, punto e basta. All'Ovest, perché l'angoscia, la vergogna, i più complicati sensi di colpa dettavano la loro legge.

Danilo Taino
24 ottobre 2008

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