mercoledì 29 ottobre 2008

Poeta e detenuto, versi fra le sbarre



Settima edizione del Premio Casalini
Tra gli autori anche Strangio, che scrive: assurda la faida di San Luca
di MASSIMO NOVELLI
LA REPUBBLICA

TORINO - Sono inseguiti da ricordi quasi sempre di sangue e di morte, straziati da un passato che non passa, fermati in un tempo cristallizzato, pentiti sinceramente o ancora dilaniati da vecchie ossessioni. Eppure loro, già mafiosi e assassini, già banditi e criminali, colpevoli o innocenti che siano, coltivano una "grande promessa": restituirsi alla vita, ritrovare qualcosa che vada oltre i pochi metri quadrati della cella di un carcere. Sono i detenuti che scrivono: racconti e poesie, memorie e fantasmi, libertà perdute e sogni di libertà. Gente come Lorenzo Bozano, il "biondino della spider rossa", condannato all'ergastolo negli anni Settanta per l'omicidio della tredicenne Milena Sutter, che da Porto Azzurro insegue nella scrittura il rumore del mare e le sagome di un veliero. O come Domenico Strangio, calabrese di San Luca, in prigione dall'altrettanto lontano 1980, che riflette nei suoi scritti sulla follia della faida che lacera dal 1991 il suo paese, e spera che quella "guerra assurda" finisca perché "siamo tutti colpevoli e parimenti innocenti. In verità siamo soltanto dementi". O, ancora, come Marco Purita, lombardo, in galera per una rissa da bar sfociata in omicidio, che si è laureato tra le sbarre e che nella scrittura ha riconquistato se stesso.

Bozano, Strangio e Purita sono alcuni dei numerosi carcerati che ogni anno, dal 2002, partecipano con le proprie opere al Premio letterario nazionale "Emanuele Casalini". Nata a Porto Azzurro per ricordare Casalini, che fondò l'Università delle Tre Età-Unitré all'interno del penitenziario toscano, la manifestazione è diventata itinerante per le carceri italiane e ieri è approdata alla casa circondariale "Lorusso e Cutugno" di Torino, dove si è tenuta la cerimonia di premiazione. Non molti hanno ovviamente potuto prendervi parte, ma qualcuno, come Strangio, ha avuto la possibilità di lasciare la prigione in cui è rinchiuso e di dialogare, per qualche ora da uomo "libero", con gente "normale" e con scrittori di professione (da Ernesto Ferrero a Margherita Oggero, Giuseppe Culicchia, Fabio Geda).

Poesie, fantasie, racconti nati in una cella, certo. E tante vicende tragiche, tante esistenze spezzate, dietro alle pagine pensate e composte nei reclusori di Volterra, di Porto Azzurro, di Spoleto, dell'Asinara, delle Vallette, di San Vittore, di Rebibbia. Un universo, questo dei detenuti letterati, dove le chiavi della prigione sono "lancette della memoria", secondo Gabriele Aral, e in cui l'angoscia della reclusione, per Carmelo Musumeci, è scandita da versi lancinanti: "Si muore tutti i giorni/per tornare di nuovo a morire ancora". Per tutti, al di là dei crimini commessi, c'è un comune desiderio. Non è volere la luna, ma soltanto, scrive Antonio Faulisi, il "bisogno di un cielo tutto mio".

(29 ottobre 2008)

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Bellissima iniziativa che però rischia di oscurare i mali gravi ed incancreniti delle carceri italiane.
D'altra parte, la voglia di scrivere e di raccontarsi è inestinguibile, posto che si abbia qualcosa da raccontare.