lunedì 27 ottobre 2008

Qui tira una brutta aria



MASSIMO RIVA
L'ESPRESSO

L'insensibilità di Berlusconi nei confronti dell'ambiente sottolinea solo l'arretratezza complessiva del nostro apparato produttivo rispetto a quello degli altri paesi più industrializzati del continente La resistenza che il governo Berlusconi oppone al piano europeo per l'ambiente denuncia qualcosa di molto peggio di una disinvolta insensibilità verso i temi della salute dei propri cittadini e del surriscaldamento climatico. Dal fondo di questo atteggiamento riaffiora un vizio antico della politica domestica: l'incapacità a guardare al futuro per supina soggezione agli interessi consolidati nel presente.

Dietro la contesa delle cifre su quanto dovrebbe fare l'Italia per tenere il passo con gli obiettivi indicati da Bruxelles, infatti, c'è una questione ben più specifica e materiale che lo stesso presidente del Consiglio ha messo esplicitamente in piazza. Si tratta degli onerosi investimenti che il nostro sistema industriale dovrebbe affrontare per portare sia i propri impianti sia i beni prodotti dai medesimi a livelli meno tossici di quelli attuali. Non a caso sull'argomento la Confindustria si è schierata, anima e corpo, a fianco del governo contro l'Unione europea.

Evidentemente né Silvio Berlusconi né Emma Marcegaglia si rendono conto di ottenere, così facendo, solo il bel risultato di sottolineare in rosso l'arretratezza complessiva del nostro apparato produttivo rispetto a quello degli altri paesi più industrializzati del continente. Tanto che in questa specifica vicenda l'Italia rischia di vedere modificato perfino il suo ruolo e le sue alleanze tradizionali in Europa. Cioè, di passare dal rango d'élite dei sei paesi fondatori a quello di capofila dei nuovi arrivati: quegli Stati che erano un tempo al di là della 'cortina di ferro' e che, a causa del lungo dominio sovietico, hanno tuttora industrie con altissimi tassi di inquinamento. Un gemellaggio che non può portare nulla di buono, in termini sia politici che economici.

Schierarsi a tutela, per esempio, di acciaierie che spargono diossina nell'aria ovvero di automobili con scarichi eccessivi significa guardare più all'Italia di ieri che a quella di domani, rendendo così un duplice pessimo servizio al paese. Da un lato, perché si inducono le imprese a non rimodernare impianti vecchi e modelli obsoleti. Dall'altro lato, perché si disincentivano gli investimenti verso quelle innovazioni tecnologiche che stanno rapidamente trasformando la corsa all'aria e all'acqua pulite in un 'business' ad alto rendimento per il futuro. Vorrà pur dire qualcosa che il paese con la più forte industria d'Europa è oggi all'avanguardia, per esempio, nella diffusione di impianti fotovoltaici per la produzione di energia. La spiegazione è chiara: non solo la Germania riduce così la sua dipendenza dall'import di gas, ma le imprese tedesche si preparano ad essere anche le più pronte ad esportare il risultato dei loro investimenti sui mercati altrui. Perché non anche in Italia?

La volenterosa ministra Stefania Prestigiacomo, che si sta arrampicando sugli specchi per perorare un indifendibile ostruzionismo italiano contro il pacchetto europeo per il clima, per ora minaccia sfracelli più nelle conferenze stampa che nelle riunioni ufficiali. Forse c'è ancora spazio per sperare che quella ingaggiata da Berlusconi sia soltanto l'ennesima battaglia mediatica: tutta parole e niente sostanza.
(24 ottobre 2008)

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