lunedì 13 ottobre 2008

Riscrivere le regole



MASSIMO RIVA
L'ESPRESSO
10 OTTOBRE 2008

La trasparenza si impone oggi come l'unica via percorribile per chiunque intenda ristabilire la fiducia pubblica nelle attività finanziarie. Il caso Unicredit insegna Le banche domestiche isola felice nella tempesta globale? La favola bella - raccontata con monotona insistenza da ministri, governatori e banchieri medesimi - ha illuso gli italiani per poche settimane. Una certa mattina il titolo Unicredit ha cominciato a precipitare in Borsa e così si è scoperto che il maggior gruppo creditizio nazionale era anche lui nei guai, negati fino a poche ore prima. La repentinità di un tanto brusco cambiamento d'orizzonte ha azzerato di conseguenza proprio quello che era l'obiettivo principale delle autorevoli e reiterate rassicurazioni: consolidare la fiducia dei risparmiatori.

Al riguardo si può e si deve riconoscere che i vertici di Unicredit - Alessandro Profumo in testa - hanno dimostrato una tempestiva capacità di reazione chiamando i propri azionisti ad approvare un'ingente ricapitalizzazione della banca. Ma né questo pronto intervento né gli atti di contrizione dello stesso Profumo possono cancellare lo sconcerto e gli interrogativi che la vicenda lascia tuttora in campo. Non basta, infatti, dichiarare che l'azienda ha dovuto registrare 700 milioni di svalutazioni nel solo terzo trimestre di quest'anno. Una simile botta richiede qualche spiegazione aggiuntiva se si vuole recuperare credibilità sul mercato. Di quei 700 milioni sfumati, per esempio, ben 500 erano in titoli Abs, ovvero garantiti da attività. Chi, come, quando e perché ha valutato quelle 'attività' in garanzia? Una falla di queste proporzioni non può essere disinvoltamente attribuita al caso o alla mala sorte.

Del resto, anche al di là del caso Unicredit, proprio la trasparenza sugli errori compiuti si impone oggi come l'unica via percorribile per chiunque intenda ristabilire la fiducia pubblica nelle attività finanziarie. E ciò vale tanto per i banchieri quanto per tutti i poteri chiamati in causa da questa disfatta del sistema regolatorio del mercato. In proposito fa presto il nostro presidente del Consiglio a proclamare, turgido e impettito, che nessuno perderà neppure un euro. A parte il fatto che di euro numerosi risparmiatori ne hanno già persi parecchi, quello di Berlusconi è il metodo classico per cercare di fare bella figura senza pagare dazio.


Va bene, infatti, ricordare che i conti correnti italiani sono garantiti fino ad almeno 103 mila euro ciascuno, ma quel che si dovrebbe pretendere oggi dal potere politico è che, invece di fare decreti sui grembiulini scolastici, si occupi con almeno pari urgenza di riscrivere quelle regole mercantili che tuttora consentono di realizzare le più sfacciate (e tollerate) forme di circonvenzione dei risparmiatori. Grazie a Berlusconi, infatti, l'Italia è il paese nel quale il falso in bilancio è una sorta di banale reato contravvenzionale, mentre nella gestione del risparmio da parte delle banche come negli assetti azionari del mondo del credito (da Mediobanca in giù) il conflitto degli interessi è pratica corrente. In queste materie non c'è da cercare alcun concerto in Europa o nel G8, i rimedi sono tutti e soltanto di competenza domestica. Serie iniziative al riguardo ricostruirebbero fiducia nel mercato più di tante enfatiche assicurazioni sulla solvibilità dei depositi bancari.
(10 ottobre 2008)

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