sabato 18 ottobre 2008

Vivere a impatto zero

di Alessandra Viola
L'Espresso

Case che producono più energia di quanta ne consumano. Riciclo totale delle acque reflue. Pale eoliche in ogni strada. Nascono così i quartieri del futuro. Dalla Cina a Milano Fare la spesa o comprare il giornale, guardare la tv o prendere l'auto. Fabbricare qualunque bene, erogare un servizio. Ogni attività umana emette anidride carbonica. Un italiano ne produce in media 21 chili al giorno. Meno di un americano, molti più di un africano. In ogni caso troppi. Perché il pianeta non è più in grado di reggere il nostro peso. Il 'giorno della bancarotta ecologica', quello in cui il consumo umano di risorse naturali ha sorpassato la capacità della Terra di rinnovarle, ce lo siamo buttato alle spalle il 23 settembre scorso. Ecco perché non può durare: la Terra non ce la fa. E in tutto il mondo si moltiplicano le iniziative per il perseguimento del cosiddetto impatto zero, cioè per un modello di vita che punti verso l'azzeramento delle emissioni di CO2.

Un obiettivo che oggi passa anche, se non soprattutto, attraverso il ripensamento delle città. Dal 2008, per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale vive in città. Nel 1800 era appena il 2 per cento. Nel 2050 sarà quasi il 70 per cento. E l'edilizia da sola è responsabile di circa il 40 per cento delle emissioni di CO2.

Per questo, in tutto il mondo studi di architettura e amministrazioni pubbliche si sfidano a colpi di ecocittà ed ecoquartieri. Dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Germania all'Inghilterra fino all'Italia, si moltiplicano i cantieri di nuovi insediamenti a impatto zero. Come quello, gigantesco, della nascente città cinese di Dongtan, che entro il 2040 ospiterà sull'isola di Chongming, vicino a Shanghai, circa 50 mila abitanti (l'intervista con l'architetto che la sta progettando è a pagina 65). Dongtan avrà un impatto ambientale praticamente nullo: il fabbisogno energetico sarà ridotto drasticamente (il 66 per cento in meno di una città tradizionale) e si impiegheranno solo energie rinnovabili per gli edifici e i trasporti locali, evitando così di produrre 350 mila tonnellate di anidride carbonica l'anno. Fiumi e laghi incorporati nel tessuto urbano forniranno soluzioni alternative per la mobilità (come i taxi d'acqua a energia solare, ma a Dongtan tutto sarà raggiungibile in sette minuti a piedi da ogni fermata dei bus), mentre ampie zone verdi contribuiranno a riequilibrare le emissioni di CO2. In città potranno circolare solo veicoli elettrici oppure a idrogeno e ogni edificio sarà energeticamente autonomo grazie a un tetto fotovoltaico e installazioni minieoliche. Dall'acqua piovana ai rifiuti (ridotti dell'83 per cento), quasi tutto sarà riciclato. In città non sono previste discariche e persino le deiezioni umane saranno impiegate nel compostaggio, nell'irrigazione e recuperate come energia per la produzione di biogas, mentre il resto dei fabbisogni energetici cittadini sarà coperto da un parco eolico.


Se pianificare intere città a impatto zero è ancora un'opera avveniristica, già molte nazioni si sono cimentate in quartieri e singole costruzioni 'ecologically-correct'. Antesignano della progettazione sostenibile e oggi guardato come modello è il piccolo quartiere di BedZED (Beddington zero energy development) a sud di Londra, realizzato tra il 2000 e il 2002. Uno dei primi insediamenti a zero emissioni fin dalla sua costruzione, in cui ogni edificio è dotato di pannelli fotovoltaici e condizionato con un sistema di ventilazione aperto, mentre l'acqua piovana e l'acqua di scarico vengono raccolte, depurate e riutilizzate. Un po' come accadrà nel vecchio porto di Middlesbrough, sempre in Inghilterra, che ospiterà un college per 20 mila studenti, appartamenti, hotel, uffici e servizi tutti carbon free, cioè senza alcun consumo di energia fossile.

Se le progettazioni 'dall'alto' hanno già dato prova di ottima riuscita, a Friburgo la 'progettazione partecipata' inaugurata dal Comune per il quartiere Vauban ha rivoluzionato anche il concetto di ecopianificazione. Il Comune ha stabilito alcuni punti essenziali della progettazione, come l'allacciamento di tutti gli edifici alla centrale termica comunale (a zero emissioni), la realizzazione di edifici a basso consumo energetico, l'uso delle acque piovane, la restrizione alla circolazione di auto: a Vauban non è consentito parcheggiare per strada e ogni mille abitanti ci sono solo 150 auto, ma chi aderisce al car-sharing ha diritto ad un abbonamento annuale gratuito al tram. Poi ha lasciato a privati e piccole cooperative la possibilità di progettare il quartiere, che oggi è considerato il più ecologico di tutta la Germania.

Per le città già esistenti, in cui non ci sono vecchi quartieri da ripensare o nuovi da progettare, la parola d'ordine invece è 'compensare', cioè bilanciare le emissioni di CO2 con nuove zone verdi.

È la strada scelta dall'amministrazione di San Francisco, che nell'ambito di un ampio ventaglio di iniziative verdi calcolerà e bilancerà il costo in CO2 di tutti i suoi spostamenti aerei. Il programma prevede anche finanziamenti per l'installazione di apparecchiature a energia solare e presto la possibilità per i cittadini di acquistare e vendere quote di compensazione di CO2. Un po' come già fanno interi paesi, dalla Costa Rica, alla Norvegia alla Nuova Zelanda, ma anche grandi compagnie come Google o Yahoo!, con un metodo che sta facendo moda anche da noi. In sostanza, un prodotto (o servizio) diventa a impatto zero calcolando quanta CO2 è stata emessa per produrlo e piantando i metri quadrati di bosco necessari per riassorbirla. Verde insomma, ma pur sempre business.

In Italia, Impattozero è diventato un marchio gestito dalla società LifeGate, che fornisce consigli per grandi e piccoli inquinatori (anche da noi sotto forma di aree boschive da ripiantare e tutelare). Sul sito Impattozero.it è persino possibile calcolare il proprio impatto sul pianeta e scoprire quanto occorre per bilanciarlo. I prezzi sono tutto sommato modici: 500 metri quadrati di foresta in Costa Rica (corrispondenti più o meno a un viaggio aereo a/r in Europa), costano 27 euro. Da Vasco Rossi a Ligabue, da lastminute.com all'Ibm, passando per editori, emittenti radiofoniche, villaggi turistici, in Italia sono già centinaia i privati che hanno deciso di bilanciare il proprio impatto ambientale. Ma c'è anche chi misura e riduce il suo impatto dall'inizio. La Nuncas di Settimo Milanese, per esempio, ha deciso di riprogettare la nuova sede commerciale perché sia a impatto zero. "Non emettiamo CO2", spiega Luca Manzoni, amministratore delegato, "per dimostrare che si può fare business senza inquinare. Otteniamo l'energia che ci occorre dal campo fotovoltaico che abbiamo installato sul tetto. L'intera costruzione è in classe A, ed è la prima di tipo industriale in Italia. Non usiamo aria condizionata ma ventilazione naturale e limitiamo l'illuminazione elettrica grazie a camini di luce, cioè a un sistema di specchi che porta la luce esterna in ogni locale. Certo speriamo che i consumatori se ne accorgano, ma la nostra è una scelta di etica aziendale, non di marketing".

A Monte Vibiano, in Umbria, anche l'azienda agricola 360 Green revolution (www.360green.it) ha annunciato di aver dato il via a un programma che la condurrà ad azzerare le proprie emissioni di anidride carbonica entro il 2009. Complessivamente però nel nostro paese sono ancora poche le esperienze di questo tipo. Muove appena i primi passi, e con grandi difficoltà, anche la bioedilizia. Un modello è quello delle case 'passive on' (in equilibrio con l'ambiente e capaci di generare più energia di quanta ne consumano, rivendendola alla rete elettrica) di Nerviano, nell'hinterland milanese, che è una delle zone più inquinate d'Europa (vedere riquadro a pagina 66).

Ma nonostante le difficoltà, costruire a impatto zero promette già di essere il business edilizio del futuro. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, hanno in mente di finanziare una parte del loro gigantesco ecoprogetto da 50 mila persone e 1.500 uffici a Masdar City, nei dintorni di Abu Dhabi, vendendo all'estero i 'crediti verdi' ottenuti grazie alla riduzione delle emissioni di CO2.
(16 ottobre 2008)

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