Voleva assistere all'udienza del processo in corte d'assise contro il marito, l'imam Mourad Trabelsi componente della cellula islamica cremonese,arrestato nel 2003 e condannato in via definitiva a sette anni di reclusione per terrorismo internazionale. Denunciata dalla polizia, perché "in luogo pubblico e senza un giustificato motivo indossava un velo che ne rendeva difficile il riconoscimento da parte delle forze dell'ordine", era stata rinviata a giudizio.
Il processo, terminato oggi, si è celebrato con il rito abbreviato. "Sono preoccupata per i miei bambini. Mi vedono sul giornale come se avessi commesso chissà quale crimine. Non mi sono mai sottratta all'identificazione" aveva dichiarato spontaneamente al giudice. Il 21 settembre 2005 la donna consegnò il documento di identità e contemporaneamente mostrò il volto.
Dopo la denuncia, un decreto di citazione diretta a giudizio l'ha portata sul banco degli imputati. La firma è dell'ex procuratore capo, Adriano Padula, che le aveva contestato la violazione dell'articolo 5 della legge 1975 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico). Poi è arrivato il decreto dell'ex ministro dell'Interno, Giuseppe Pisanu, che ha introdotto nuove misure di sicurezza antiterrorismo e inasprito le pene: da 1 a 2 anni di arresto e da 1000 a 2000 euro di ammenda. Monia non lo sapeva. Sino ad allora a seguire il processo del marito c'era andata col velo e documento di identità alla mano.
"Un conto è entrare in Tribunale con il casco, cosa vietata dall'articolo 5 della legge 1975 - aveva osservato Giuseppe De Carlo, legale della donna -. Ma non è questo il caso della signora Mzoughi. Qui gli indumenti sono dettati dalla cultura e dalla religione di un paese diverso dal nostro".
Il pm Cinzia Piccioni aveva chiesto 15 giorni di arresto e 800 euro di multa. "Non si ravvisa la condotta lesiva al precetto dell'imputata - si legge nella sentenza con assoluzione piena pronunciata oggi - La nordafricana alla prima richiesta della polizia alzò infatti il velo scoprendo il volto ed esibì un documento di riconoscimento, la carta d'identità, consentendo in modo agevole all'ufficiale di pubblica sicurezza di procedere alla sua identificazione". Quindi, secondo il giudice, non c'è stato alcun impedimento o ostacolo o semplice ritardo nell'identificare Monia Mzoughi. Fu riconosciuta attraverso la procedura utilizzata nei confronti di tutte le persone che entravano in tribunale.
Comunque per il giudice Beluzzi manca ancora una norma equiparabile a quella dell'uso del casco che vieti di indossare il velo islamico. Il caso del burqa a Cremona è il terzo del genere in Italia. Vicende analoghe si verificarononel 2004 a Drezzo, nel Comasco, e nel 2006 a Como, ma quello di Cremona è il primo ad approdare in un'aula di giustizia e a finire con una sentenza.
(27 novembre 2008)
1 commento:
Certo è difficile conciliare culture diverse, se non a certi livelli di conoscenza e di cultura.
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