sabato 1 novembre 2008

Questi fantasmi



di Pierluigi Battista
IL CORRIERE DELLA SERA

La violenza politica è una bestia che si autoalimenta, che si dilata a dismisura quanto più riesce a occupare il centro della scena, quando riesce a imporsi con prepotenza nel cuore del discorso pubblico. L’escalation violenta è una profezia che si autoavvera se riesce a trasmettere con successo la sua atmosfera impastata di angoscia e di tensione. Perciò i trecento violenti che da opposte sponde, durante una manifestazione di migliaia e migliaia di studenti, si sono affrontati con le mazze e le spranghe a Piazza Navona, riuscirebbero a riscattare la loro miserabile minorità quantitativa se si regalasse loro un supplemento di attenzione (e di apprensione) che non meritano. E raggiungerebbero un altro scopo: risvegliare i nostri fantasmi facendoci smarrire il senso della realtà e delle sue giuste proporzioni.

I violenti esistono, e di loro si devono efficacemente occupare i responsabili dell’ordine pubblico. Esistono (sempre) le frange lunatiche, gli irriducibili dell’estremismo manesco e arrogante. Si sono esibiti a piazza Navona ed è più che probabile che nel girotondo dei cortei e delle occupazioni possano trovare altri palcoscenici propizi per le loro ostentazioni di potenza para-militare. Ma quello che ci attanaglia e ci impedisce di capire è invece lo spettro della violenza, il ricordo lancinante di stagioni in cui la violenza, il terrore, il sangue, lo scontro fisico e persino i deliri di annientamento del nemico politico diventarono il tragico tono dominante di un’epoca, trascinando l’intero «movimento» di allora nei gorghi di una deriva cruenta. È il fantasma degli «anni Settanta » che ci induce ogni volta a decifrare le cose come un’eterna ripetizione del sempre uguale, come la replica e la riattualizzazione interminabile di un momento archetipico della nostra storia.

A intensificare questo sentimento di perenne già visto e già sofferto contribuiscono certo le liturgie, i modi d’essere e di parlare di una generazione che anche stavolta non finisce di abbeverarsi alla mitologia di un fantastico e primigenio ’68 da far rivivere con appositi riti mimetici. E del resto il lugubre armamentario dei violenti di piazza Navona (le solite spranghe, i soliti caschi, i soliti visi coperti, le solite agili movenze che teatralizzano lo scontro fisico, i soliti camioncini zeppi di armi contundenti) appare anch’esso come il canovaccio ossessivo di chi vuole recitare il remake degli eterni anni Settanta.

Ma, come in un gioco di specchi, la stessa fissazione rischia di riverberarsi nelle teste e nelle penne di chi commenta, interpreta i fatti di questi giorni, indaga la dinamica delle piazze solcate dagli studenti, appannando la capacità di distinguere e cogliere le differenze, ingigantendo allarmi, fobie, timori alimentati dai traumi del passato. E invece trecento violenti non sono la prefigurazione di ciò che dovrà necessariamente accadere in dimensioni maggiori e più drammatiche: sono trecento violenti e basta. Non un prolungamento dei cruenti anni Settanta, ma una scheggia delimitata e circoscritta cui si può ancora impedire di contaminare i tanti che con la pratica e il mito della violenza non hanno (al momento) nessuna dimestichezza, nessuna attrazione fatale.

La violenza degli anni Settanta disponeva di una diffusa ideologia che forniva ai violenti legittimazione e credibilità. Si inscriveva in un contesto emotivo e morale che aveva ancora nel mito della palingenesi rivoluzionaria la sua fonte di ispirazione. Era immerso in un movimento che individuava nella figura del poliziotto il braccio armato dello «Stato borghese» da abbattere con tutti i mezzi. La guerra sanguinosa tra «fascisti» e «comunisti» era l’orizzonte esistenziale di un numero incalcolabile di giovani e meno giovani. Oggi fare il gioco della guerra tra «fascisti» e «comunisti» è solo un patetico rifacimento di una storia senz’anima e il richiamo alle identità maledette del passato, una recita in cui l’attimo dello scontro violento ne è solo il compimento rituale. La sovraesposizione mediatica di cui la scena violenta inevitabilmente gode dipende dalle qualità spettacolari che l’urto delle spranghe e dei volti coperti contiene in sé. Ma la paura che il tafferuglio di piazza Navona possa essere l’inizio di una svolta violenta destinata a coinvolgere centinaia di migliaia di persone finora immuni dal virus della violenza è piuttosto la proiezione di un incubo, l’incubo degli anni Settanta, che rischia di materializzare i fantasmi evocati, anziché allontanarli e tenerli a bada.

Perché ciò non accada, molto dipenderà dagli stessi studenti se saranno in grado di arginare la tentazione della radicalizzazione violenta inopinatamente risvegliata dai fatti di piazza Navona e se sapranno sottrarsi all’incantamento politico-mediatico in cui si privilegia il gesto che fa scalpore a scapito di tutto il resto. Molto dipenderà dalla saggezza di chi nel governo ha le redini dell’ordine pubblico e vorrà muoversi per isolare e rendere innocui i pochi violenti e non per regalare generosamente loro un piedistallo martirologico. Molto dipenderà anche da chi commenta e interpreta la protesta, se riuscirà a non lasciarsi imprigionare dai fantasmi del passato e da uno schema ricalcato sugli avvenimenti di oltre tre decenni fa. La storia non è un destino già scritto in partenza e la lezione del passato non può essere un alibi, un automatismo mentale per non capire che non tutto è sempre uguale a se stesso, malgrado le apparenze.

31 ottobre 2008

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Per buona sorte ieri sera Enrico Mentana ha iniziato la sua tramissione Matrix con una ricostruzione precisa e puntuale dei fatti di piazza Navona, togliendo spazio all'ospite di turno Claudio Bisio, ricostruzione con filmati che sconfessavano Nitto Palma sottosegretario agl'Interni e quella da lui fatta in Parlamento.
Si vede che pigi Battista, tutto preso a scrivere questo 'pezzo di bravura' (si capisce solo lui) non l'ha vista, tant'è vero che non accenna minimamente alla circostanza di un camioncino entrato 'abusivamente' in piazza Navona, su cui entravano anche le mazze pitturate coi colori nazionali (un vero insulto alla nostra bandiera) per essere utilizzate come tutti abbiamo visto.
Ho deciso di iniziare a pubblicare gli editoriali di pigi Battista, perchè sono un esempio di come la cronaca può essere mistificata.
Se c'è un pericolo oggi è quello di 'revival' in chiave moderna di uno stato autoritario, che sembra essere già in atto.