venerdì 28 novembre 2008

«Siamo pronti a ucciderci se ci faranno vivere divisi». Olindo e Rosa sorvegliati a vista dopo l'ergastolo

IL CORRIERE DELLA SERA

MILANO — «Avvocato non se la prenda così. Andiamo avanti con la nostra battaglia, vedrà che in appello sarà diverso». Strano personaggio, Olindo Romano. Due giorni fa è stato condannato all'ergastolo eppure va incontro a Fabio Schembri, uno dei suoi difensori, con una battuta: «Pensa te...mi tocca anche consolarla, adesso... Mi dispiace per voi, dopo tutto l'impegno per difenderci...ma non è colpa vostra. Vi ho visto in tivù mentre leggevano la sentenza, ho visto quanto ci siete rimasti male». «Una povera creatura combattiva», lo definisce l'altro legale, Enzo Pacia. Pronto a rimettersi a lavorare in vista dell'appello, la seconda chance per lui e per sua moglie Rosa Bazzi. Sono i «mostri di Erba», il netturbino e la domestica che la sera dell'11 dicembre 2006 uccisero Raffaella Castagna, il suo bambino Youssef, sua madre Paola e la sua vicina Valeria, che sgozzarono il marito di Valeria, Mario Frigerio, sopravvissuto perché creduto morto. «Combattivo», quindi, Olindo. Ma anche pronto ad arrendersi se per caso a qualcuno verrà in mente di dividerlo dalla sua Rosa. «Lei ha bisogno di me e io di lei. Se ci mandano in due carceri diverse e ci impediscono di vederci ci ammazziamo» avrebbe confidato a più di un agente e al cappellano del Bassone di Como, dove lui e la moglie sono rinchiusi dall'8 gennaio del 2007, sorvegliati a vista. Ci sarebbe una specie di patto suicida fra loro perché, «non mi stancherò mai di dire che io e Rosa non siamo niente l'uno senza l'altra».

Dopo aver ascoltato dalla televisione il loro «fine pena mai», mercoledì sera Olindo e Rosa si sono lasciati andare a un sonno più lungo del solito. Hanno dormito fino a tardi, poi il colloquio del giovedì, il primo da ergastolani. E l'abbraccio davanti agli avvocati. Un lungo abbraccio senza lacrime. Il carcere a vita, a vederli ieri, «sembra non aver prodotto cambiamenti radicali nel loro comportamento o nel loro stato emotivo» dice Schembri. «Del resto sapevano che sarebbe finita così anche se il colpo di scena dell'ultima ora li ha fatti sperare nel contrario». «Per un po' mi sono illuso che potesse cambiare tutto e che io e Rosa potessimo uscire da questo incubo» ha ammesso Olindo ieri. Il netturbino e la domestica credevano si potessero rimescolare le carte del processo e invece la Corte d'Assise ha tirato dritto verso l'ergastolo. Dritto. Anche dopo il fax depositato dal pubblico ministero Massimo Astori, le due paginette che hanno illuso Olindo e che la difesa definisce «punto forte a nostro favore».

Il contenuto? Due rapporti dal penitenziario di Vigevano dove è detenuto il tunisino Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre di Youssef. Sono funzionari e agenti carcerari che riferiscono dei dubbi di Azouz sulla colpevolezza di Olindo e Rosa, dubbi che il vedovo avrebbe espresso con più persone in carcere e che sarebbero cresciuti dopo una telefonata alla madre, in Tunisia, allarmata per aver a sua volta ricevuto la chiamata di uno sconosciuto che parlava dell'estraneità dei coniugi Romano al massacro di Erba. La Corte d'assise di Como non ne ha tenuto conto. «Vorrei capire perché» si è lamentato ieri Olindo. I parenti delle vittime gli hanno urlato «vergognati assassino» mentre mercoledì parlava in aula del suo «sincero dispiacere per i morti». Adesso Olindo fa sapere che «io avevo un sacco di altre cose da dire, mi hanno fermato gli insulti. Ho provato dispiacere a sentire quelle cose». Loro, i parenti, hanno provato rabbia. Tanta rabbia.

Giusi Fasano
28 novembre 2008

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Chissà perché, da ex direttore di carcere, non mi impressiono per nulla.