venerdì 5 dicembre 2008

D'Alema: lo direi se non volessi Walter

LA STAMPA
5/12/2008
AMEDEO LA MATTINA

L’ultima puntata dell’antica lotta tra Veltroni e D’Alema è di ieri. Ma a complicare tutto nel Pd ci sono i casi giudiziari di Napoli e Firenze, con Veltroni che si aspetta le dimissioni di Bassolino. Ma cominciamo dall’ultima puntata che nasce dal lamento di un dalemiano alla «Stampa» dell’altro giorno. Un «anonimo» parlava di Veltroni come di un segretario-dittatore che sottobanco tratta con Berlusconi sulle nomine Rai e la legge elettorale europea. Veltroni non sopporta più questo logoramento continuo proprio mentre l’attacco a Berlusconi, a suo parere, sta cominciando a dare i primi frutti. Così, in un’intervista a «Repubblica», dice «basta ai veleni e agli attacchi anonimi». Chi vuole un nuovo leader esca allo scoperto e alla direzione del 19 dicembre sollevi il problema.

«Sono pronto a mettermi in gioco. Ma se nessuno pensa che il nostro problema sia la leadership, allora chiedo a tutti il massimo della coerenza». Metodi dittatoriali? «Se ho un difetto è quello di essere troppo tollerante». Non fa nessun nome, Veltroni, ma tra i veltroniani l’indice è puntato contro il senatore Nicola Latorre. La risposta di D’Alema è a doppio taglio. L’ex premier dice che la sfida di Veltroni non è rivolta a lui: «Il giorno in cui ritenessi che deve lasciare la guida del Pd, lo direi a lui direttamente e poi in pubblico». Prima getta acqua sul fuoco. Precisa di non volere «insidiare» il segretario o una conta interna. Dopodiché chiede di affrontare i «problemi seri», non esorcizzandoli o «dando la colpa a oscuri complotti». Sarebbe una risposta «semplicistica»: ci sono anche «nodi reali», a cominciare dalla costruzione del partito, dalle regole e dal governo dei conflitti in periferia, compresi quelli di «costume».

Ecco, più che una conta temuta, gli avversari di Veltroni vogliono un confronto politico. Rutelli confida in una relazione del segretario «alta e concreta, e il partito gli conferirà sostegno e fiducia». Ma Veltroni alla Direzione vuole anche una sorta di voto di fiducia nei suoi confronti. Non vuole continuare a fare, per usare la metafora di Arturo Parisi, il «giovane supplente che ognuno di noi ha incontrato nella sua vita di studente: più grida “basta” e più alimenta il caos». Per Parisi è il momento di «resettare», come se il Pd fosse un computer: spegnere e riaccendere. In altre parole, Veltroni si dimetta e convochi l’assemblea costituente, che «è l’unico organo veramente eletto: solo in questa sede è possibile l’unica conta democratica». Ma Parisi non dimentica che nel «disfacimento» del Pd un ruolo importante ce l’hanno le vicende giudiziarie di Firenze e Napoli.

«Senza dimenticare Roma che ci possiamo trovare nella calza della Befana», aggiunge l’ex ministro della Difesa. Veltroni dice che c’è una questione morale nella vita politica italiana e ammette che «il Pd non è al riparo». La prossima settimana Veltroni incontrerà la Iervolino e Bassolino. Al quartier generale del Pd spiegano che non verranno chieste le dimissioni del sindaco e del governatore. Certo, aggiungono alti esponenti della segreteria, sarebbe un grande servizio al partito, se le dimissioni arrivassero spontanee. Bassolino non aveva detto che finita l’emergenza rifiuti si sarebbe dimesso? Spetta a lui portare a termine questo impegno. Detto questo per Veltroni non c’è nessuno scambio sottobanco tra le dimissioni di Bassolino e un seggio per l’Europarlamento. E in ogni caso non c’è una questione morale nel Pd, ma singoli casi. Quanto a Napoli, dicono i suoi collaboratori, serve «un cambiamento profondo, una rottura con il passato, un segno di forte discontinuità». La Iervolino risentita vorrebbe capire di cosa è accusata. «Ho le mani pulite. Se ci sono reati commessi da qualcuno, lo dicano, perché lo allontaniamo. Se ci sono però problemi politici, lo dicano e dicano pure quali sono e quali alternative hanno perché il vinavil a Rosetta non si addice».

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