Francesco Battistini
GERUSALEMME – «E avvenne, al settimo giorno, che le acque del diluvio furono sopra la terra; nell’anno seicento della vita di Noè, nel secondo mese, nel diciassettesimo giorno del mese, proprio in quel giorno, eruppero tutte le sorgenti del grande oceano, e le cataratte del cielo si aprirono…» (Genesi 7:10-11). Sopra la terra: ma dove? Proprio in quel giorno: ma quale? Da Indiana Jones in su, non c’è un fantarcheologo o un serio studioso che non abbia sognato di risolvere il dilemma del Diluvio Universale, il mistero dell’Arca, l’affascinante leggenda o la storica verità d’uno spaventoso tsunami raccontato non solo dalla Bibbia, ma anche dalla mitologia greca, dall’epopea mesopotamica di Gilgamesh, dalla tradizione indù, perfino dalle memorie di civiltà lontanissime come i Maya, gli Inca e gli Indiani d’America. Adesso, una nuova teoria s’affaccia dagli scavi del Monte Carmelo. E ci dice che un diluvio ci fu, eccome. Qui, in Galilea. Settemila anni fa, per la precisione. Un’onda gigantesca che cancellò sei villaggi del Neolitico, lasciando ancora oggi – dieci metri sottoterra – tracce di case, templi, tombe, cisterne, pietre tagliate.
«FU UN'ONDA KILLER» - «La più solida delle prove – dice Sean Kingsley, archeologo inglese – per datare l’Arca di Noè». Lo scavo non è nuovo, dura ormai da venticinque anni, ma la teoria sì. E Kingsley ne è così convinto d’averla pubblicata sull’ultimo numero del Bollettino della Società archeologica angloisraeliana, arrivando a contestare la prevalente scuola che invece fa risalire la memoria del diluvio alla fine della glaciazione e a un’esondazione molto più a Nord, fra Mediterraneo e Mar Nero: la scienza è orientata ad anticipare il disastro a novemila anni fa, quando il livello del mare si alzò di 155 metri e le onde coprirono una regione di 150mila chilometri quadrati. Fu allora, si pensa, che le acque dolci del Mar Nero si mischiarono al sale del Mediterraneo: «Un assurdo – ribatte lo studioso inglese -. Che cosa è più convincente, sotto il profilo scientifico? Un’alluvione del mar Nero, così lontano da Israele, che non ha lasciato segni? La leggenda dell’arca trascinata dai flutti e abbandonata sulla cima del Monte Ararat? Oppure questi sei villaggi, che furono travolti dalle acque nel cuore della terra biblica? C’è un cocktail di coincidenze piuttosto evidenti, tracce stratificate d’abitazioni. Questi villaggi non andarono perduti né per un terremoto, né per altri eventi traumatici: fu un’onda killer».
GLI SCETTICI - Kingsley elabora in realtà le ricerche di un altro archeologo, l’israeliano Ehud Galili, che vicino a Haifa ha diretto il recupero del sito di Atlit-Yam, uno dei sei villaggi neolitici, il più grande mai ritrovato nell’area mediterranea. E Galili è critico verso il collega: «Non c’è nessuna prova che queste case siano state abbandonate per un evento catastrofico. Nemmeno prove che ci sia mai stata un’onda assassina, nel Mediterraneo. Ci fu un lento innalzamento del livello del mare, sì, come dappertutto. È dallo tsunami che dura questa moda archeologica d’andare a caccia di megadisastri dell’antichità. Ma il modo in cui questi villaggi furono sommersi non fu drammatico e non può essere rimasto così impresso nella memoria d’antichi popoli, per millenni, come lo fu il diluvio». Kingsley ammette d’aver ceduto a qualche suggestione: «Sono ateo. Ho cominciato a studiare l’origine di Noè cinque anni fa, perché m’interessa come la mitologia sia entrata nella vita reale, come i cambiamenti climatici siano collegati alla Bibbia>. Piovve quaranta giorni e quaranta notti, narra la Genesi. E altre prove non se ne hanno, dice un altro archeologo, Shimon Gibson dell’Università del North Carolina, che pure ha dubbi sul legame fra insediamenti neolitici e racconti biblici: «Non sappiamo niente. È dimostrato solo che inondazioni massicce avvennero in questa parte di mondo. E quando le acque si ritirarono, rimase una paura millenaria. Mai dimenticata».
Francesco Battistini
10 dicembre 2008
«FU UN'ONDA KILLER» - «La più solida delle prove – dice Sean Kingsley, archeologo inglese – per datare l’Arca di Noè». Lo scavo non è nuovo, dura ormai da venticinque anni, ma la teoria sì. E Kingsley ne è così convinto d’averla pubblicata sull’ultimo numero del Bollettino della Società archeologica angloisraeliana, arrivando a contestare la prevalente scuola che invece fa risalire la memoria del diluvio alla fine della glaciazione e a un’esondazione molto più a Nord, fra Mediterraneo e Mar Nero: la scienza è orientata ad anticipare il disastro a novemila anni fa, quando il livello del mare si alzò di 155 metri e le onde coprirono una regione di 150mila chilometri quadrati. Fu allora, si pensa, che le acque dolci del Mar Nero si mischiarono al sale del Mediterraneo: «Un assurdo – ribatte lo studioso inglese -. Che cosa è più convincente, sotto il profilo scientifico? Un’alluvione del mar Nero, così lontano da Israele, che non ha lasciato segni? La leggenda dell’arca trascinata dai flutti e abbandonata sulla cima del Monte Ararat? Oppure questi sei villaggi, che furono travolti dalle acque nel cuore della terra biblica? C’è un cocktail di coincidenze piuttosto evidenti, tracce stratificate d’abitazioni. Questi villaggi non andarono perduti né per un terremoto, né per altri eventi traumatici: fu un’onda killer».
GLI SCETTICI - Kingsley elabora in realtà le ricerche di un altro archeologo, l’israeliano Ehud Galili, che vicino a Haifa ha diretto il recupero del sito di Atlit-Yam, uno dei sei villaggi neolitici, il più grande mai ritrovato nell’area mediterranea. E Galili è critico verso il collega: «Non c’è nessuna prova che queste case siano state abbandonate per un evento catastrofico. Nemmeno prove che ci sia mai stata un’onda assassina, nel Mediterraneo. Ci fu un lento innalzamento del livello del mare, sì, come dappertutto. È dallo tsunami che dura questa moda archeologica d’andare a caccia di megadisastri dell’antichità. Ma il modo in cui questi villaggi furono sommersi non fu drammatico e non può essere rimasto così impresso nella memoria d’antichi popoli, per millenni, come lo fu il diluvio». Kingsley ammette d’aver ceduto a qualche suggestione: «Sono ateo. Ho cominciato a studiare l’origine di Noè cinque anni fa, perché m’interessa come la mitologia sia entrata nella vita reale, come i cambiamenti climatici siano collegati alla Bibbia>. Piovve quaranta giorni e quaranta notti, narra la Genesi. E altre prove non se ne hanno, dice un altro archeologo, Shimon Gibson dell’Università del North Carolina, che pure ha dubbi sul legame fra insediamenti neolitici e racconti biblici: «Non sappiamo niente. È dimostrato solo che inondazioni massicce avvennero in questa parte di mondo. E quando le acque si ritirarono, rimase una paura millenaria. Mai dimenticata».
Francesco Battistini
10 dicembre 2008
1 commento:
E vai a smontare le favole !
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