venerdì 12 dicembre 2008

Il manuale del buon intercettatore secondo Genchi

ROBERTO ORMANNI

La supremazia delle intercettazioni su qualunque altro mezzo d’indagine viene teorizzata nella relazione che Gioacchino Genchi, il consulente tecnico dell’allora pm di Catanzaro Luigi De Magistris, ha consegnato allo stesso pubblico ministero il 12 marzo 2007.

Una relazione a dir poco esplosiva che i magistrati di Catanzaro, nelle audizioni al Csm dei giorni scorsi, hanno dichiarato di considerare “fondata su molti elementi acquisiti in modo illegittimo”.

In oltre 600 pagine Genchi elenca le registrazioni di 414 telefonate in 8 giorni. E tra gli intercettati figurano tre parlamentari (Giancarlo Pittelli, Giuseppe Galati e Jole Santelli), numerosi magistrati, carabinieri e anche
i colloqui tra ufficiali e sottufficiali dell’Arma e il Comando Generale.

Genchi era stato incaricato dal pm di esaminare le intercettazioni eseguite nella settimana dal 10 al 18 maggio 2005 per individuare gli autori della fuga di notizie relativa all’inchiesta Poseidone (una di quelle oggetto della guerra tra gli uffici giudiziari di Salerno e Catanzaro). Un compito che gli è stato conferito il 12 ottobre 2006 e che lo ha portato ad estrarre quelle 414 telefonate dalle migliaia intercettate nell’ambito delle inchieste Poseidone, Global Service, Toghe Lucane e Why Not: le principali indagini condotte dal pm De Magistris.

È stato in seguito all’analisi di queste telefonate che l’ex pm De Magistris giunse alla conclusione che il “boicottaggio” alle sue inchieste vedeva protagonista, tra gli altri, anche l’allora procuratore della Repubblica di Catanzaro Mariano Lombardi.

Nelle 600 pagine sono raccolte telefonate di Giancarlo Pittelli, avvocato penalista calabrese, all’epoca deputato e oggi senatore, del deputato Giuseppe Galati, allora sottosegretario alle Attività Produttive, e di Jole Santelli, anche lei deputato. La Santelli compare in una sola telefonata, il 10 maggio 2005 alle 20.19, con Pittelli. Le 414 telefonate in 8 giorni comprendono quelle dell’allora procuratore di Catanzaro e (allora) capo di De Magistris, Mariano Lombardi, una dell’ex procuratore generale della Corte d’appello Domenico Pudia, decine di telefonate partite dalla segreteria dello stesso Pudia (da dove chiamava un carabiniere, Mario Russo, coinvolto nell’inchiesta sulla fuga di notizie), una telefonata tra lo stesso Pittelli e l’ex senatore di An Emilio Nicola Buccico, anche lui avvocato, sindaco di Matera ed ex componente del Csm (sempre il 10 maggio, alle 18.24), decine di telefonate dell’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Chiaravalloti, eletto nel maggio 2005 alla vicepresidenza dell’Autorità garante della Privacy, di sua figlia Caterina, anche lei magistrato a Catanzaro. Nel lunghissimo elenco compaiono poi decine di telefonate tra imprenditori e funzionari locali coinvolti a vario titolo nelle inchieste di De Magistris e diverse chiamate del partite dal Comando Generale dell’Arma dei carabinieri e dirette a ufficiali o sottufficiali finiti nella rete delle intercettazioni.

Nella sua relazione (“consulenza relativa alle indagini sulla rivelazione di segreti d’ufficio collegati al procedimento penale 1217/05”, ossia l’inchiesta Poseidone), Genchi prima di passare all’esame in dettaglio delle centinaia di conversazioni, fa una premessa che è anche una sorta di “filosofia dell’intercettazione”. Un capitolo che spiega quanto è importante che sia il computer, con un software adatto, a selezionare tutti i dati raccolti per metterli in relazione tra loro, in modo da poter costruire una specie di “impero delle intercettazioni”, dove ciò che conta sono i contatti telefonici che si sono accumulati negli anni. È questo dato, secondo il perito, che consente di mettere tutto in collegamento, così da avere un quadro d’insieme anche a distanza di anni. Anzi, con il passare del tempo, secondo questa “filosofia”, è possibile individuare nuove “chiavi di lettura degli avvenimenti”.

Un metodo tanto più importante, a parere del consulente di De Magistris, quanto più sono delicati gli aspetti dell’indagine.

“Il consulente – scrive Genchi nella perizia - non può non considerare una circostanza costante, che si rileva in quasi tutte le indagini dove si è costretti, gioco forza, a mettere in discussione la buona fede degli operatori di polizia giudiziaria che hanno eseguito le intercettazioni. Non è la prima volta, e anzi l’attività di questo consulente è precipuamente finalizzata a tale scopo, che l’analisi e la riconsiderazione complessiva del compendio probatorio acquisito nel corso delle indagini, assistito da opportune tecnologie informatiche, porti all’evidenziazione di elementi decisivi all’accertamento della verità, talvolta anche in favore dell’indagato, o dell’imputato”.

Ma per raggiungere l’obiettivo non basta l’uomo: per Genchi ci vuole il computer.
“I processi logici e di analisi seguiti normalmente dal cervello umano – dice il perito – nella considerazione degli elementi cognitivi posti alla base del processo logico-deduttivo, non riescono mai a eguagliare le potenzialità elaborative e di connessione relazionale fornite da un calcolatore elettronico”.

Una “cosmogonia dell’intercettazione” che richiama Aristotele: “In tale ottica è essenziale assistere e seguire il corretto inserimento nel sistema informatico della totalità delle 'premesse' (costituite dalle fonti di prova e dai dati a contenuto oggettivo), per giungere a delle 'deduzioni' che, seguendo i procedimenti della logica di Peirce e di Aristotele, ci accompagnano nel processo valutativo”.
Gioacchino Genchi ha lavorato, negli anni, per moltissimi uffici inquirenti e per questo conserva “memoria” di migliaia di intercettazioni, esaminate per conto di diverse procure. E secondo il manuale del buon intercettatore, Genchi collega nelle sue relazioni anche le notizie che gli provengono da altri incarichi di consulenza. Nella relazione per De Magistris, ad esempio, racconta di un’inchiesta su un duplice omicidio avvenuto nel 2002 nel vibonese, nell’ambito della quale vennero controllate le chiamate partite dalla scheda telefonica di uno dei killer e anche in quel caso, annota Genchi, erano dirette all’avvocato Pittelli.

A questo proposito il perito spiega anche che lui non sapeva, quando ha acquisito le intercettazioni di Pittelli, Galati, Santelli, che si trattava di parlamentari.

Anzitutto perché non li conosceva, in secondo luogo perché molte delle loro schede sono intestate a società o a partite Iva professionali. E comunque, aggiunge il tecnico, nemmeno i pm che gli avevano dato l’incarico se ne sono accorti. Naturalmente ciò non toglie che quelle intercettazioni sono inutilizzabili perché il Parlamento non ne ha autorizzato l’uso.

In ogni caso Gioacchino Genchi è un vero e proprio esperto. Per questo sostiene che le tecniche tradizionali non vanno più bene: “Con i canoni di gestione ed analisi corrente delle intercettazioni, per come utilizzati dalla polizia giudiziaria, l’ascolto progressivo e la frammentaria considerazione delle risultanze via via acquisite in modo estemporaneo, portano, col tempo, ad una lettura degli eventi assai diversa da quelli che erano gli effettivi intendimenti o le finalità degli interlocutori, interpretate dagli investigatori che si succedono nei turni alle postazioni di ascolto”. E ancora, più avanti: “l’esperienza ci insegna che la valorizzazione investigativa che nell’indagine può darsi ad una intercettazione ascoltata oggi, spesso non coincide al valore ed al significato che può attribuirsi alla stessa intercettazione ascoltata domani”. Insomma, registriamo tutto, facciamo sedimentare e poi ripensiamoci alla luce di quello che intanto abbiamo scoperto. Magari con altre intercettazioni. È come la pasta e fagioli: il giorno dopo è più buona.

Il consulente tecnico Genchi offre anche degli spunti di riflessione al pm: “Non è solo della lente di ingrandimento di Sherlock Holmes di cui bisogna disporre, ma bisogna sapere alternare allo zoom di un particolare dell’indagine il grandangolo sugli aspetti complessivi che spesso si sottovalutano.

Questo non vuol dire – conclude sul punto - abbandonare o comprimere l’istinto dell’investigatore che, unito a discrete dosi di fantasia, contemperata da altrettanta estroversione, deve sempre lasciarsi guidare dal proprio intuito quando va a scandagliare tutte le ipotesi che gli si pongono innanzi, anche le più remote”.

Gli ingredienti per fare un buon investigatore sono dunque fantasia, estroversione, intuito e intercettazioni.
11 dic 2008

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Visto quant'è in gamba Luigi De Magistris ?
Troppo, non poteva durare, tutte le persone per bene sono predestinate, con questo sistema politico, ad essere sconfitte.
Non conosco eccezioni a questa regola.
Impeccabile, come al solito, l'analisi di Roberto Ormanni.