martedì 2 dicembre 2008

In scena l'ultima questione morale

LA STAMPA

2/12/2008
EMANUELE MACALUSO


Dopo il suicidio dell’ex assessore napoletano Giorgio Nugnes - scrive Giuseppe D’Avanzo su la Repubblica - c’è chi impropriamente evoca i suicidi di Gabriele Cagliari, Raul Gardini, Sergio Moroni e altri verificatisi negli anni di Tangentopoli. Accostare fatti che sono avvenuti in anni e situazioni molto diverse è sempre un azzardo. Tuttavia quel richiamo ha un senso, dato che riemerge una questione morale e si riacutizza il rapporto tra politica e giustizia in un quadro politico in cui i partiti-coalizione (Pd-Pdl) non hanno né storia né identità e sono, in forme diverse, entrambi coinvolti. Da questo punto di vista i richiami alla questione morale e alla «diversità» berlingueriana della sinistra (identificata nel Pci), come giustamente rilevava ieri su queste colonne Federico Geremicca, non hanno senso. Quei richiami a cui spesso ricorre Veltroni sono semmai la spia di una crisi di identità, dal momento che lo stesso segretario del Pd è teso a tagliare tutti i fili che legavano la «vecchia» sinistra con il «nuovo» partito di centrosinistra, tranne se stesso e altri esponenti del partito. Un «partito pigliatutto» che tende a identificarsi con la società così com’è, il modello dell’ultima edizione della Dc è, a mio avviso, causa della sua crisi. Un partito-coalizione come quello di Berlusconi può mietere consensi mettendo dentro tutto e tutti, da Previti ai giovani di Comunione e Liberazione, perché c’è il cemento della conservazione o il rifiuto di ciò che evoca ancora la sinistra.

La quale, invece, paga un prezzo alla sua stessa storia sia per l’eccesso di moralismo (a volte ipocrita), sia per i compromessi fatti proprio sul terreno della questione morale anche da un quadro di partito che proviene non solo dalla Dc, ma dal Pci. E paga la concorrenza sleale di Di Pietro che continua ad alzare la bandiera della moralità e a identificarsi con le procure, senza se e senza ma. I comportamenti di Di Pietro vanno discussi sul piano politico, dato che su quello giudiziario è stato sempre assolto dai reati di cui è stato accusato anche se con motivazioni moralmente discutibili. E il piano politico attiene proprio a quello della riforma della giustizia. Ma proprio su questo terreno il Pd sembra essere sul banco degli accusati con un Pm (il Di Pietro) che è suo alleato. Il tema è scottante, anche perché il rapporto tra politica e giustizia si ripropone. E si ripropone, per molti versi, nella forma e nella sostanza, come nei primi Anni Novanta: la debolezza e l’inquinamento della politica danno spazio a una visione giustizialista della giustizia. In questi anni dalle forze politiche sono venute sempre più frequenti critiche e accuse, a volte pesanti, alle procure e alla magistratura. Berlusconi ha ripetutamente accusato procure e giudici di indossare toghe politicamente rosse e di persecuzione sistematica. Il fatto che l’accusa venga dal capo del governo è grave, gravissimo, ma nel Pdl non c’è nessuno che su questo terreno fiati. Tutti allineati. Da parte del Pd c’è un formale rispetto per la magistratura, spesso in allineamento alla posizione dell’Associazione dei magistrati, ma anche un sostanziale rifiuto di quasi tutte le decisioni che riguardano suoi esponenti. Geremicca ieri ha fatto un elenco significativo ma incompleto. Tuttavia anche nella magistratura riemerge una tendenza a considerare i tribunali sedi di purificazione della politica. I magistrati che in passato si sono impegnati su questo terreno dovrebbero riflettere sulle ragioni per cui il tema della corruzione (non solo politica!) quindici anni dopo Tangentopoli si ripropone con tanta acutezza e perché la magistratura registra un basso tasso di fiducia tra i cittadini. Non sono solo le «campagne di diffamazione» a creare questo clima. Sappiamo che spesso il filo che separa le responsabilità politiche da quelle penali è sottile e a volte i magistrati non ne tengono conto. Del resto ci sono delle assoluzioni che su questo tema fanno riflettere. Se tutto è mafia nulla è mafia, diceva Leonardo Sciascia. Attenzione, quindi, ci sono modi diversi di delegittimare la giustizia e a volte i comportamenti di alcuni magistrati vi contribuiscono. Ma, per concludere, ripeto che il nodo è nella politica: se non è in grado di disinquinare se stessa e di definire con chiarezza il rapporto con la giustizia, la crisi si aggraverà e gli esiti possono essere più pesanti del passato anche perché c’è un’altra crisi che stringe la società, quella economica e sociale. E il loro intreccio può essere veramente dirompente. Non solo per il sistema politico.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Emanuele Macaluso cee l'ho proprio con Di Pietro: gelosia ?