31/12/2008
LUCIA ANNUNZIATA
LUCIA ANNUNZIATA
Di questa storia che sto per raccontarvi sono testimone diretta. Implicata, anzi. A causa di un paio di spintoni nel fianco.
Immaginate come luogo una delle nostre molte località di montagna. In questo caso sono le discese di Mont'Elmo, alta Val Pusteria al confine con l'Austria, posto quieto di famiglie. Non ci sono qui mondanità ed esibizioni, ma, come si dice, anche qui arrivano i tempi moderni, anche qui, secondo quel birignao della modernità che vuole sempre che tutto sia peggio di prima, le vacanze non sono più quelle di una volta. Le piste soprattutto. Affollate di ragazzini, di pirati delle discese, di dilettanti allo sbaraglio. Quella montagna che una volta era il momento della intimità è diventata solo un altro momento della folla corsa con cui misuriamo la nostra vita su e contro quella degli altri.
Non è difficile, per pura deformazione professionale, ripassarsi in mente tutti questi pensieri mentre, in fila davanti all'autobus che ci riporta dal fondo delle piste nei vari paesini, ci sorbiamo ognuno la regolare dose di spinte per salire. Sci che si ficcano nei polpacci, gomiti che allargano gli spazi di passaggio, qualche ginocchiata ben diretta sono il pane quotidiano di chi vuole frequentare il servizio pubblico che raccorda le varie piste. Specie mentre fa buio il 24 dicembre, e tutti corrono a prepararsi.
Nella calca di ragazzetti dal gomito facile si distingue uno, con una fiammante tuta rossa, casco e scarponi ancora allacciati, che si fa largo con la sua decina d'anni a colpi di spintoni, brandendo alto un piccolo abete. Prende la rincorsa fra tutti, riesce grazie alla foga a salire per secondo e mentre tutti lo riempiono di improperi, conquista il posto su cui aveva messo gli occhi: la prima fila, dove si infila, mettendo al sicuro, tra sé e il finestrino, l'abetino - un alberello spezzato a mano alla radice, con poche file di rami radi, storto alla cima, così brutto che l'occupazione di un posto intero per salvaguardarlo appare una vera provocazione a chi è rimasto in piedi. Teppisti moderni.
Alle dieci di sera, al suono delle campane, l'intera San Candido è chiamata alla messa nella austera chiesa medievale che segna il centro della cittadina. Le pareti spesse, il campanile quadrato, e il cimitero che lo circonda danno a questo centro uno speciale silenzio in cui si entra con la massima concentrazione.
Ogni volta che si apre, la massiccia porta lascia passare il suono del coro in tedesco che ci accompagnerà fino a mezzanotte, e un fascio di luce. La luce illumina la neve e le tombe che in tante file, guardate da semplici croci di ferro, girano intorno alle mura della chiesa. E' il cimitero di questa comunità fin dal medioevo, dove i defunti di oggi si distinguono solo per i lumini accesi dai più antichi ormai senza nome.
Due file più in là dell'entrata, su una di queste semplici tombe qualcuno ha deposto un alberello. Così brutto che non è possibile che ce ne siano due uguali.
Mi avvicino, ed effettivamente non potrebbero mai essercene due di abeti così. E' lo stesso, basso, con i suoi radi rami, storto alla cima che ho visto in mano al teppistello in bus poche ore prima. E' ora davanti a questa croce, messo su con un po' di foga, formando una piccola montagnola di neve per fermarlo. Mi avvicino ancora. L'albero adorna una croce su cui, in un ovale di ferro, c'è la foto di una vecchia signora, con i capelli raccolti in una crocchia. Ha un lungo nome in italiano e in tedesco, e una data di morte: 2005. Ma per suo nipote è ancora Natale con lei.
Non so se sono più commossa o più pentita delle mie generalizzazioni sui ragazzini.
Immaginate come luogo una delle nostre molte località di montagna. In questo caso sono le discese di Mont'Elmo, alta Val Pusteria al confine con l'Austria, posto quieto di famiglie. Non ci sono qui mondanità ed esibizioni, ma, come si dice, anche qui arrivano i tempi moderni, anche qui, secondo quel birignao della modernità che vuole sempre che tutto sia peggio di prima, le vacanze non sono più quelle di una volta. Le piste soprattutto. Affollate di ragazzini, di pirati delle discese, di dilettanti allo sbaraglio. Quella montagna che una volta era il momento della intimità è diventata solo un altro momento della folla corsa con cui misuriamo la nostra vita su e contro quella degli altri.
Non è difficile, per pura deformazione professionale, ripassarsi in mente tutti questi pensieri mentre, in fila davanti all'autobus che ci riporta dal fondo delle piste nei vari paesini, ci sorbiamo ognuno la regolare dose di spinte per salire. Sci che si ficcano nei polpacci, gomiti che allargano gli spazi di passaggio, qualche ginocchiata ben diretta sono il pane quotidiano di chi vuole frequentare il servizio pubblico che raccorda le varie piste. Specie mentre fa buio il 24 dicembre, e tutti corrono a prepararsi.
Nella calca di ragazzetti dal gomito facile si distingue uno, con una fiammante tuta rossa, casco e scarponi ancora allacciati, che si fa largo con la sua decina d'anni a colpi di spintoni, brandendo alto un piccolo abete. Prende la rincorsa fra tutti, riesce grazie alla foga a salire per secondo e mentre tutti lo riempiono di improperi, conquista il posto su cui aveva messo gli occhi: la prima fila, dove si infila, mettendo al sicuro, tra sé e il finestrino, l'abetino - un alberello spezzato a mano alla radice, con poche file di rami radi, storto alla cima, così brutto che l'occupazione di un posto intero per salvaguardarlo appare una vera provocazione a chi è rimasto in piedi. Teppisti moderni.
Alle dieci di sera, al suono delle campane, l'intera San Candido è chiamata alla messa nella austera chiesa medievale che segna il centro della cittadina. Le pareti spesse, il campanile quadrato, e il cimitero che lo circonda danno a questo centro uno speciale silenzio in cui si entra con la massima concentrazione.
Ogni volta che si apre, la massiccia porta lascia passare il suono del coro in tedesco che ci accompagnerà fino a mezzanotte, e un fascio di luce. La luce illumina la neve e le tombe che in tante file, guardate da semplici croci di ferro, girano intorno alle mura della chiesa. E' il cimitero di questa comunità fin dal medioevo, dove i defunti di oggi si distinguono solo per i lumini accesi dai più antichi ormai senza nome.
Due file più in là dell'entrata, su una di queste semplici tombe qualcuno ha deposto un alberello. Così brutto che non è possibile che ce ne siano due uguali.
Mi avvicino, ed effettivamente non potrebbero mai essercene due di abeti così. E' lo stesso, basso, con i suoi radi rami, storto alla cima che ho visto in mano al teppistello in bus poche ore prima. E' ora davanti a questa croce, messo su con un po' di foga, formando una piccola montagnola di neve per fermarlo. Mi avvicino ancora. L'albero adorna una croce su cui, in un ovale di ferro, c'è la foto di una vecchia signora, con i capelli raccolti in una crocchia. Ha un lungo nome in italiano e in tedesco, e una data di morte: 2005. Ma per suo nipote è ancora Natale con lei.
Non so se sono più commossa o più pentita delle mie generalizzazioni sui ragazzini.
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