sabato 13 dicembre 2008

Le bugie del premier

LA REPUBBLICA
di MASSIMO GIANNINI

ANCORA una volta dobbiamo essere grati a Giorgio Napolitano. Il suo richiamo al rispetto dei "principi fondamentali della Costituzione", che nessuno "può pretendere di modificare o di alterare", è la terapia più tempestiva ed efficace contro la "sindrome di Cromwell" che ormai pervade il presidente del Consiglio, come ha magistralmente spiegato Gustavo Zagrebelsky nell'intervista a Repubblica di ieri. In un equilibrio sempre più instabile tra i poteri dello Stato, il presidente della Repubblica resta il garante più credibile della nostra democrazia. L'argine più forte rispetto all'autoritarismo plebiscitario del Cavaliere. Silvio Berlusconi può anche sublimare la sua inesauribile vena mimetica e mistificatoria, e dire "il Quirinale non ce l'aveva con me".

Ma è un fatto che il richiamo del Capo dello Stato arriva proprio all'indomani dell'annuncio tecnicamente "eversivo" del premier: la modifica unilaterale della Costituzione, imposta forzosamente al Parlamento e poi sottoposta eventualmente al giudizio del popolo sovrano attraverso il referendum confermativo. Ed è un fatto che quel richiamo tocca il nervo più scoperto del "berlusconismo da combattimento": l'ossessione giudiziaria, che spinge il premier a forzare le regole fino al punto più estremo.

Non solo piegando lo Stato di diritto in Stato di governo (con l'uso personale dei "lodi" e delle leggi). Ma addirittura trasformando la Costituzione in "strumento di potere" (come ha osservato ancora Zagrebelsky). Questo, e non altro, è il disegno del Cavaliere. Per quanto dissimuli, il premier racconta almeno due bugie. La prima bugia riguarda la forma. Berlusconi mente quando dice che il suo progetto non lede la Carta Costituzionale e i suoi principi fondamentali, perché "le ipotesi di riforma della giustizia, come per esempio quelle relative ad un intervento sul Csm, non riguardano questi principi". Non è così. Il Consiglio superiore della magistratura è organo di rilevanza costituzionale, disciplinato dall'articolo 104 all'articolo 113. E come insegna la dottrina, "è la massima espressione dell'autonomia della magistratura rispetto agli altri poteri dello Stato (in particolare il governo)". Dunque, nel dettato costituzionale la disciplina giuridica del Csm è intrinsecamente collegata al principio fondamentale su cui si regge l'intera giurisdizione, cioè la magistratura come "ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere". Per questo, al contrario di quello che sostiene il presidente del Consiglio, riscrivere le norme costituzionali sul Csm può tradursi facilmente in una lesione dei principi fondamentali e in una manomissione dei cardini della nostra democrazia, che si basa sulla separazione e sul bilanciamento dei poteri.

La seconda bugia riguarda la sostanza. Berlusconi mente quando dice che la riforma della giustizia per via costituzionale è irrinunciabile perché in caso contrario verrebbe meno uno degli impegni presi in campagna elettorale. Non è così. Nel programma del Pdl non c'è traccia di una riforma costituzionale del sistema giudiziario. E non è mai menzionata la separazione delle carriere. L'unica proposta concreta, contenuta nel decalogo berlusconiano, riguardava genericamente una "distinzione più marcata delle funzioni tra i giudici e pm". Perché ora il premier ha cambiato idea, se non per rimettere in riga la magistratura, giudicante e requirente, scorporando i pubblici ministeri dall'unico ordine giudiziario e subordinandone l'attività al controllo del potere politico? Qui sta la natura "rivoluzionaria", e per certi versi post-democratica, della visione berlusconiana. L'uso congiunturale delle istituzioni, l'uso strumentale dei fatti.

A rimettere in moto la necessità della sedicente "riforma costituzionale" della giustizia è lo scontro tra le procure di Salerno e Catanzaro intorno all'inchiesta "Why not". Uno scontro rovinoso per la credibilità delle toghe, e indecoroso per l'immagine della Repubblica. Ma al contrario di ciò che urlano i rappresentanti del centrodestra, il progetto di Berlusconi e Alfano sarebbe stato del tutto inutile a prevenire l'esplosione di quel conflitto, incubato esclusivamente nell'ambito della magistratura requirente. Se c'è una vera emergenza, quella non riguarda né la separazione delle carriere, nè il Csm. Ma solo la maggiore rapidità ed efficienza della macchina giudiziaria, che si può agevolmente raggiungere per legge ordinaria. Di tutto questo, nel piano del Cavaliere sulla giustizia non c'è traccia.
Stupisce che molti osservatori non vedano i rischi insiti in questa offensiva berlusconiana, e scambino la difesa della Costituzione per difesa di una corporazione. La giustizia va cambiata. Ma nell'interesse collettivo. Non nell'interesse soggettivo di chi (come denuncia Valerio Onida sul Sole 24 Ore) è pronto a fondare una "Costituzione di maggioranza". La Costituzione è di tutti. E tale vorremmo che restasse.

m.giannini @ repubblica.it

Nessun commento: