LA STAMPA
«Il giorno in cui una campagna di stampa dovesse incidere sulla mia autonomia non ho difficoltà a togliere l’incomodo». Lo ha detto il vicepresidente del Csm, Nicola Mancino, in apertura del plenum di questa mattina, riferendosi alle notizie secondo le quali sarebbe coinvolto in una inchiesta a Salerno sul caso De Magistris. «Non vorrei avere sulla mia persona neppure l’ombra di un sospetto - ha detto Mancino - il giorno che dovesse accadere non avrei esitazione a lasciare. Ho sempre operato al servizio delle istituzioni e sono venuto al Csm per cercare di conciliare politica e magistratura, probabilmente me ne andrò senza aver raggiunto questo obiettivo, ma ciò dipende anche da quello che si muove all’esterno del Csm. Io, quando ero ministro dell’Interno, ho appreso come bisogna mantenere i rapporti politici all’interno di culture diverse».
«Non ho mai telefonato a Saladino, la chiamata partita da uno dei miei numeri di telefono è stata fatta da un’altra persona, da un rappresentante di Comunione e liberazione, Angelo Arminio, che nel 2001 era nella schiera dei miei collaboratori». ha esordito Mancino, in apertura del plenum ribadendo di non aver mai avuto rapporti con l’imprenditore Antonio Saladino.
«Nel 2001», ha ricordato ancora Mancino, «ho cessato di fare il presidente del Senato, e quel collaboratore ha smesso di far parte della mia segreteria». Inoltre, a quel tempo «De Magistris non era ancora destinato a Catanzaro», ha osservato il vicepresidente del Csm, «dove è andato solo nel 2002. Si fa tanto clamore, dunque -ha concluso- per una telefonata che non ho fatto». Lo solidarietà del plenum è stata assoluta. «Dobbiamo un apprezzamento alla sensibilità mostrata da Mancino, non ne avevamo bisogno - ha detto il togato di Magistratura Democratica, Livio Pepino, - eravamo ampiamente consapevoli che l’operazione in atto, attraverso gli attacchi al vicepresidente, mira a colpire tutti noi. Bisogna avere grande rigore e trasparenza con una risposta dura che ci porta a non farci intimidire». Passata l’amarezza, ha aggiunto Giuseppe Berruti, rappresentante di Unicost, «Mancino capirà che la sua missione è quella di questo consiglio, che riuscirà a reggere in questo momento difficile. Si rifiuta da parte di giudici il controllo sul processo e si cercano vie surrettizie per colpire chi controlla. Ciò determina un attacco furibondo nei confronti dei sistemi tradizionali, che sono fragilissimi e possono crollare sotto il peso della delegittimazione. I grandi poteri di controllo, però, servono nei momenti limite della democrazia come è questo».
«Non ho mai telefonato a Saladino, la chiamata partita da uno dei miei numeri di telefono è stata fatta da un’altra persona, da un rappresentante di Comunione e liberazione, Angelo Arminio, che nel 2001 era nella schiera dei miei collaboratori». ha esordito Mancino, in apertura del plenum ribadendo di non aver mai avuto rapporti con l’imprenditore Antonio Saladino.
«Nel 2001», ha ricordato ancora Mancino, «ho cessato di fare il presidente del Senato, e quel collaboratore ha smesso di far parte della mia segreteria». Inoltre, a quel tempo «De Magistris non era ancora destinato a Catanzaro», ha osservato il vicepresidente del Csm, «dove è andato solo nel 2002. Si fa tanto clamore, dunque -ha concluso- per una telefonata che non ho fatto». Lo solidarietà del plenum è stata assoluta. «Dobbiamo un apprezzamento alla sensibilità mostrata da Mancino, non ne avevamo bisogno - ha detto il togato di Magistratura Democratica, Livio Pepino, - eravamo ampiamente consapevoli che l’operazione in atto, attraverso gli attacchi al vicepresidente, mira a colpire tutti noi. Bisogna avere grande rigore e trasparenza con una risposta dura che ci porta a non farci intimidire». Passata l’amarezza, ha aggiunto Giuseppe Berruti, rappresentante di Unicost, «Mancino capirà che la sua missione è quella di questo consiglio, che riuscirà a reggere in questo momento difficile. Si rifiuta da parte di giudici il controllo sul processo e si cercano vie surrettizie per colpire chi controlla. Ciò determina un attacco furibondo nei confronti dei sistemi tradizionali, che sono fragilissimi e possono crollare sotto il peso della delegittimazione. I grandi poteri di controllo, però, servono nei momenti limite della democrazia come è questo».
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