mercoledì 10 dicembre 2008

Non ci sarò al caminetto del Pd

LA STAMPA
10/12/2008
ARTURO PARISI

Mentre l’eventuale lettore mattutino legge questa nota, da qualche parte della sede centrale del Pd è riunito un caminetto che dovrebbe definire la posizione del partito circa la sua collocazione politica in Europa. È una riunione alla quale son stato gentilmente invitato e tuttavia una riunione alla quale non ritengo di poter partecipare. Non certo perché condivida il giudizio di quanti considerano il tema ozioso, e in parte secondario. E neppure perché dopo la sottoscrizione di Fassino del Manifesto politico del Pse, in quanto segretario dei «dissolti» Ds, e il successivo altolà di Rutelli in quanto presidente della «dissolta» Margherita contro una «confluenza nel Pse» senta il dibattito pregiudicato da un passato che pensavo superato.

All’opposto, la mia assenza vuole sottolineare ancora un volta che un caminetto può anche essere un luogo adatto per istruire un tema di questo rilievo, ma non è un caminetto al quale può essere affidata neppure in via ipotetica nessun orientamento al riguardo. Se il Pd vuole essere all’altezza della pretesa sua radicale novità, e non invece finire per proporsi come la continuazione di un passato o la proiezione di un altrove, l’unico modo per assumere una scelta di questo rilievo è a partire da un largo confronto sulla nostra idea e solo sulla nostra idea di Europa. Se il Pd vuole scegliere il suo futuro in modo libero e spregiudicato l’unico luogo è un organo capace di assumere decisioni politiche forti perché assunte con la forza della democrazia dalla comunità dei suoi aderenti.

Purtroppo di questo organo il Pd, se non per decisione certo per responsabilità del suo segretario, non dispone più e forse non ha mai disposto. Non è certo la direzione, la mitica direzione del 19 dicembre prossimo, in vista della quale Veltroni ha lanciato la sua ennesima sfida contro i suoi anonimi oppositori. Illuminante al proposito un’intervista di quattro giorni fa di Rutelli, proprio quella nella quale rinnovava il suo altolà al Pse in nome di un «noi» che immagino riconducibile alla «dissolta» Margherita.

All’intervistatore che gli chiedeva se «alla prossima direzione ci sarebbe stata una resa dei conti» Rutelli rispondeva: «Walter Veltroni è stato scelto da due milioni e mezzo di cittadini che lo hanno votato alle primarie solo un anno fa. Le pare possibile che lo possano mettere in minoranza duecento dirigenti di partito?». Il fatto è che Rutelli ha ragione. Peccato che «i duecento dirigenti di partito» siano, appunto, la Direzione del Partito.

Ecco la prova provata delle ragioni degli Ulivisti e della sospensione della democrazia nel partito, la vera questione morale, quella del Pd, non quella berlingueriana degli ex comunisti, una questione assolutamente politica. Ne riepilogo l’origine. Prima Veltroni si fa incoronare dalle primarie, non con un voto disgiunto diretto, ma in connessione alla contemporanea elezione dei delegati di un’Assemblea Costituente. Poi scioglie di fatto l’Assemblea Costituente e la sostituisce con una Direzione da lui nominata. Considerata, come dice Rutelli, l’assenza di legittimità di questo organo, rivendica l’esclusività del suo potere di direzione. Cosa si direbbe se questo invece che in un partito fosse successo nello Stato? Ecco perché ogni sfida a contarsi nella Direzione è la sfida a una conta impossibile e quindi prova dell’assenza di democrazia nel partito. Ecco perché mai nessuna scelta forte e nessuna scelta veramente nuova potrà essere adottata dal Pd: né a riguardo della scelta europea e neppure riguardo a nessun’altra scelta cruciale. Possiamo continuare così?

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Ha ragioni da vendere Parisi !