venerdì 30 gennaio 2009

ARTICOLO 27. AGENZIA REGIONALE PROMOZIONE LAVORO PENITENZIARIO



LUIGI MORSELLO *

ARTICOLO 27. AGENZIA REGIONALE PROMOZIONE LAVORO PENITENZIARIO

“Ab immemorabili” la casa circondariale (già carcere giudiziario) di San Vittore in Milano è una struttura penitenziaria simbolo, di una antica concezione del carcere a raggiera, dell’occupazione tedesca e della resistenza, vi sono stati detenuti un giovanotto italo-americano di belle speranze – Mike Bongiorno -, una grandissima firma del giornalismo italiano – Indro Montanelli, è stato teatro di una famosa rivolta, definita la più grave del dopoguerra, in coincidenza con la Pasqua del 21 aprile 1946.
La rivolta scoppiò mentre i detenuti stavano mettendo insieme una «rappresentazione comico-allegorica» nella quale «la Madonna comparve con la testa di una capra, corteggiata da un Dio con una testa di capro». Fu lì che «d' improvviso Ezio pretese silenzio. Avanzò nella luce piena di un riflettore, si concentrò (...) uscì dal suo raccoglimento e prese a fischiare modulato, rivolto verso i bracci dove i reclusi, a centinaia, si affacciavano dalle celle, impugnando le sbarre». Il carcere s'infiammò in un istante, le poche guardie rimaste per Pasqua furono sopraffatte e tutti ma proprio tutti se ne sarebbero andati sfociando nella piazza e di lì nella città sonnolenta se un piccolo eroe, Salvatore Rap, non avesse afferrato una mitragliatrice pesante e non avesse bloccato l' evasione, da solo, per il tempo necessario alla polizia, ai carabinieri e alla Celere e poi addirittura a un reparto d' assalto della Folgore per circondare il penitenziario.
Un gesto pagato con la vita. Durò quattro giorni, la sommossa. Quattro giorni di sparatorie e trattative, trattative e sparatorie. Finché gli assedianti non si decisero a usare il cannone. Bastò un colpo, uno solo, su una torretta che si sbriciolò, per far capire ai rivoltosi che l'Italia appena uscita dalla guerra si era stufata di essere in ostaggio di una nuova violenza ed era pronta a usare la mano pesante. Si arresero. Furono giorni di sangue, conclusi con un bilancio di cinque morti (tre detenuti e due guardie).
Alberto Bevilacqua scrisse a ricordo di quei quattro giorni di sangue, di violenza e di lutto il libro “La Pasqua Rossa” edito nel 2003.
In un modo o nell’altro è stata protagonista della vita milanese, durante il terrorismo del decennio degli anni di piombo, durante la stagione ormai storica di “Mani Pulite”.
Ebbene, proprio ieri 29 gen
naio 2009 è tornata agli onori della cronaca per una frase pronunciata da Giuseppe Grechi Presidente della Corte d’Appello di Milano: «A San Vittore si esercita la tortura», frase choc che non si riferisce agli agenti di polizia penitenziaria ma alle condizioni inumane di detenzione: «Dove si tengono otto persone in una cella, dove sei persone stanno sui lettini e due alternativamente in piedi, credo che questo sia una tortura» precisa il magistrato, intervenuto all´inaugurazione dell´anno giudiziario organizzato dagli avvocati penalisti.
La scossa di Grechi - che tra l´altro riprende un suo allarme di qualche mese fa - punta a produrre un effetto - «accelerare i tempi per la realizzazione della Cittadella della giustizia» - ipotizzando una fase in due tempi: anticipare la costruzione dell´istituto penitenziario, rimandando a un momento successivo - comunque entro il 2015 - l´edificazione dei nuovi uffici giudiziari. «Il carcere deve essere la soluzione prioritaria - insiste Grechi - e questo è ben presente al ministro Alfano, che ha ventilato la possibilità di stralciare una somma dal piano carceri per il trasferimento di San Vittore nell´area di Porto di Mare». Bisogna fare presto, però: «C´è un´atmosfera di scetticismo sul rispetto dei tempi. Dal 31 luglio 2007, data in cui fu lanciata in Regione l´idea, è passato un anno e mezzo. E oltre a finanziare lo studio di fattibilità - l´uno per mille dei soldi necessari - non è stato fatto nulla. E il dramma vero non lo vivono né i magistrati né gli avvocati: lo vivono i detenuti».
Nicola La Bella, sindacalista del Sappe, è contrario a soluzioni-tampone: «San Vittore andrebbe semplicemente chiuso. Il problema è che del trasferimento della nuova sede si parla ormai da molti anni, senza mai passare al dunque». Nel frattempo ci sono «reparti che scoppiano, come il sesto, che non è mai stato ristrutturato». E i reclusi, rincara la dose Giorgio Bertazzini, garante dei detenuti della Provincia di Milano, «sono costretti a dormire su materassi buttati a terra». Cibo e carta igienica scarseggiano, le docce, in alcune sezioni, sono fuori uso. Senza parlare delle caserme che ospitano gli agenti, piene di amianto e così fatiscenti che piove dentro.
Uno scenario così drammatico l´hanno rappresentato al ministro Alfano anche gli avvocati penalisti in una lettera, firmata dal presidente Vinicio Nardo, nella quale parlano del «costante aumento della popolazione detenuta» e della carenza «del vitto e di altri beni di prima necessità». E chiedono che il carcere di San Vittore non regredisca allo stato di «galera». Nardo, però, pensa a una soluzione diversa da quella prospettata da Grechi: «Siamo contrari al trasferimento. Noi vorremmo che fosse restaurato e reso vivibile, in modo da non separare quella parte di popolazione dal resto della città: la detenzione non dev´essere solo segregazione ma anche risocializzazione».(La Repubblica – Milano – 29 gennaio 2009).
“Le strade dell’Inferno sono lastricare di buone intenzioni”. Questo antico proverbio dev’essere uscito di mente a coloro i quali, a vario titolo, parlano di San Vittore, che attualmente ospita 1.300 persone.
Intervistato ieri da La Repubblica, il dr. Luigi Pagano, storico direttore di San Vittore per oltre quindici anni e oggi Provveditore Regionale dell’amministrazione penitenziaria in Milano, che ha dovuto registrare durante la sua gestione del carcere milanese punte di 2.200-2.300 detenuti, ha avute parole prudenti di commento, dichiarando che a San Vittore possono arrivare ogni giorno 20-30 e persino 50 detenuti al giorno.
Appare evidente che l’affermazione del pres. Grechi era strumentale alla sollecitazione della costruzione di questa c.d. “cittadella giudiziaria”, espressione che chi scrive ha sentito pronunciare tante volte e in varie sedi di servizio.
Ma gli addetti ai lavori non ignorano che il sovraffollamento costituisce una situazione di potenziale e immanente pericolo, che in passato si concretizzava in improvvise e rovinose fiammate di rivolta.
Vero è che dal 1986 e per effetto della c.d. “legge Gozzini”, che introduceva lo strumento giuridico principe per il controllo ed il mantenimento della disciplina, il permesso-premio, grosse manifestazioni di indisciplina non sono state registrate nelle carceri italiane, lungo l’arco di ventitre anni, ma è anche vero che, come osservava Pagano, la composizione della popolazione detenuta è cambiata, oggi a San Vittore il 75% dei detenuti sono stranieri.
Pagano non lo dice esplicitamente, ma lo dico io, sono persone molto difficili da gestire, può bastare un nonnulla per provocare una scintilla per incendiare la situazione ed innescare manifestazioni di violenza, specialmente se è vero, com’è vero, che "I detenuti poveri hanno fame" (La Repubblica del 14 dicembre 2008).
A digiuno. Senza carta igienica. Privi di sapone per lavarsi. Da alcuni mesi sono queste le condizioni di vita dei reclusi di San Vittore. Tornato ai livelli pre-indulto, con una popolazione carceraria di 1.400 detenuti.
«In alcune sezioni del sesto raggio, su 140 detenuti si è riusciti a garantire il pasto a 90», precisa Giorgio Bertazzini, garante dei detenuti della provincia di Milano.
Inoltre, proprio il 29 corrente ci sarebbe stata presso la Sala Convegno “Di Cataldo” del carcere di San Vittore una cerimonia di presentazione della “Agenzia Regionale promozione lavoro penitenziario”, denominata Articolo 27, con chiaro riferimento alla norma costituzionale, alla presenza del capo del Dipartimento Franco Ionta e del presidente della regione Lombardia Roberto Formigoni, caratterizzata dal riavvio
l’enorme orologio, oramai fermo da oltre trent’anni, posto all’ingresso della rotonda di San Vittore, gesto di enorme valore simbolico.
La reazione di Franco Ionta non si faceva attendere. "Sono parole forti e inaccettabili. Le parole hanno un peso e non possono essere utilizzate impropriamente".
Ionta, pur senza citare le parole dell'alto magistrato, le ha giudicate "inaccettabili perché le parole hanno un peso". "Mi auguro - ha detto - che servano a sollevare un problema: è vero che degli istituti soffrono di sovraffollamento e abbiano delle difficoltà, ma certe parole rischiano di essere percepite come un'offesa per uomini e donne che, in divisa o senza divisa, compiono grandi sacrifici all'interno degli istituti di pena".
Il pres. Ionta, da poco alla guida dell’amministrazione penitenziaria, ha colto un aspetto concreto delle possibili reazioni, che però possono andare ben oltre, perché la parola tortura e ciò che significa è presente in tutte le lingue che si parlano in San Vittore.
Tuttavia l’incidente non ha turbato la cerimonia, che si è svolta regolarmente, con grande soddisfazione degli intervenuti. Ma sopratutto del dr. Luigi Pagano, che l’ha fortissimamente voluta.

* ispettore generale dell'amministrazione penitenziaria

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Very good!

Madda

LUIGI A. MORSELLO ha detto...
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