31/1/2009
CESARE MARTINETTI
CESARE MARTINETTI
Alla fine ci toccherà ringraziarlo, questo Battisti perché confessando di essere fuggito dalla Francia con l’aiuto dei servizi segreti della République ha rivelato un segreto di Pulcinella (anche in francese si dice così) e strappato il primo velo di una grande ipocrisia franco-italiana che dura esattamente da 24 anni, un’ipocrisia passata alla storia con il nome di «dottrina Mitterrand».
E che si sarebbe dovuta chiamare Craxi-Mitterrand. Ma non basta perché con la sua lettera di ieri il fuggitivo italiano che il Brasile ha incredibilmente fregiato del titolo di «rifugiato politico» ha indicato i nomi dei «veri» killer che con la sigla di Pac consumarono i delitti per i quali lui è stato condannato. Vero o non vero si vedrà. Ma ben venga anche la sua voce nella ricostruzione della verità storica e processuale degli Anni di piombo.
Partiamo dal nodo storico che è all’origine di tutto, quell’intesa tra i due leader socialisti, siglata all’Eliseo nell’85, annunciata dal Presidente francese con uno di quegli interminabili giri di parole per i quali andava famoso. Nella sostanza Mitterrand disse che i ricercati italiani non colpevoli né complici di «crimini di sangue» che da anni si erano stabiliti in Francia, tagliando i ponti con il passato e che vivevano alla luce del sole non sarebbero stati estradati. Erano allora più o meno trecentocinquanta.
Perché lo fece? Gilles Martinet, all’epoca ambasciatore francese a Roma, nel 2004 aveva rivelato a La Stampa che fu Craxi a chiederglielo: non voleva gestire il problema e soprattutto preferiva tenere Toni Negri lontano dall’Italia. Ora Jean Musitelli, uno dei consiglieri di Mitterrand, in un’intervista di ieri a Repubblica, conferma l’intesa, precisando che Mitterrand non aveva però alcuna intenzione di nascondere assassini né di dar loro lo status di rifugiati «politici». Perché allora siamo ancora qui a discutere dei casi Petrella e Battisti? Musitelli risponde con eleganza: per dieci anni ho assistito a tutti i vertici italo-francesi e mai il governo italiano ha chiesto a quello francese di restituire i latitanti. Solo De Mita, dice Musitelli, lo fece «senza insistenza».
Dettagli e retroscena che escono solo ora e che raccontano un’altra storia rispetto a quella che si credeva nota e cioè la solita Francia generosa con i «ribelli» altrui, la «seconda patria» di ogni uomo libero, come disse un fuggitivo famoso, Franco Piperno, che però venne rapidamente rispedito in Italia.
Il pasticcio Craxi-Mitterrand è diventato «dottrina» per un’inerzia che faceva comodo a Roma come a Parigi. Un’ipocrisia, appunto che solo un ministro postideologico come il leghista Roberto Castelli (Guardasigilli del governo Berlusconi nel 2001) ha poi tentato di scardinare accordandosi con il collega Perben sulla chiusura definitiva della «pratica rifugiati» con un altro accordo che prevedeva la «restituzione» all’Italia di quelli condannati per omicidio (una dozzina di persone) e il sostanziale oblio per gli altri. Ma era troppo tardi. Ormai la «dottrina» si era talmente depositata che nemmeno un altro politico post ideologico come Sarkozy ha potuto liberarsene, come dimostrano i casi Petrella e Battisti. Quest’ultimo - com’è nel diritto di qualunque accusato - si batte per la sua libertà. Rivelando l’aiuto degli 007 francesi nella fuga imbarazza Parigi. Raccontando la sua verità sui delitti dei «Proletari armati» riapre quei processi consumati negli anni dell’emergenza e potrebbe imbarazzare Roma. Ma gli scandali sono spesso opportuni.
E che si sarebbe dovuta chiamare Craxi-Mitterrand. Ma non basta perché con la sua lettera di ieri il fuggitivo italiano che il Brasile ha incredibilmente fregiato del titolo di «rifugiato politico» ha indicato i nomi dei «veri» killer che con la sigla di Pac consumarono i delitti per i quali lui è stato condannato. Vero o non vero si vedrà. Ma ben venga anche la sua voce nella ricostruzione della verità storica e processuale degli Anni di piombo.
Partiamo dal nodo storico che è all’origine di tutto, quell’intesa tra i due leader socialisti, siglata all’Eliseo nell’85, annunciata dal Presidente francese con uno di quegli interminabili giri di parole per i quali andava famoso. Nella sostanza Mitterrand disse che i ricercati italiani non colpevoli né complici di «crimini di sangue» che da anni si erano stabiliti in Francia, tagliando i ponti con il passato e che vivevano alla luce del sole non sarebbero stati estradati. Erano allora più o meno trecentocinquanta.
Perché lo fece? Gilles Martinet, all’epoca ambasciatore francese a Roma, nel 2004 aveva rivelato a La Stampa che fu Craxi a chiederglielo: non voleva gestire il problema e soprattutto preferiva tenere Toni Negri lontano dall’Italia. Ora Jean Musitelli, uno dei consiglieri di Mitterrand, in un’intervista di ieri a Repubblica, conferma l’intesa, precisando che Mitterrand non aveva però alcuna intenzione di nascondere assassini né di dar loro lo status di rifugiati «politici». Perché allora siamo ancora qui a discutere dei casi Petrella e Battisti? Musitelli risponde con eleganza: per dieci anni ho assistito a tutti i vertici italo-francesi e mai il governo italiano ha chiesto a quello francese di restituire i latitanti. Solo De Mita, dice Musitelli, lo fece «senza insistenza».
Dettagli e retroscena che escono solo ora e che raccontano un’altra storia rispetto a quella che si credeva nota e cioè la solita Francia generosa con i «ribelli» altrui, la «seconda patria» di ogni uomo libero, come disse un fuggitivo famoso, Franco Piperno, che però venne rapidamente rispedito in Italia.
Il pasticcio Craxi-Mitterrand è diventato «dottrina» per un’inerzia che faceva comodo a Roma come a Parigi. Un’ipocrisia, appunto che solo un ministro postideologico come il leghista Roberto Castelli (Guardasigilli del governo Berlusconi nel 2001) ha poi tentato di scardinare accordandosi con il collega Perben sulla chiusura definitiva della «pratica rifugiati» con un altro accordo che prevedeva la «restituzione» all’Italia di quelli condannati per omicidio (una dozzina di persone) e il sostanziale oblio per gli altri. Ma era troppo tardi. Ormai la «dottrina» si era talmente depositata che nemmeno un altro politico post ideologico come Sarkozy ha potuto liberarsene, come dimostrano i casi Petrella e Battisti. Quest’ultimo - com’è nel diritto di qualunque accusato - si batte per la sua libertà. Rivelando l’aiuto degli 007 francesi nella fuga imbarazza Parigi. Raccontando la sua verità sui delitti dei «Proletari armati» riapre quei processi consumati negli anni dell’emergenza e potrebbe imbarazzare Roma. Ma gli scandali sono spesso opportuni.
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