Sul "24 Ore" Berardinelli ha stroncato la "Storia" di Asor Rosa. Ma le sue stroncature, come pure le sue incensature, sono soltanto manifesti politico-ideologici
Non avevo intenzione di recensire l'ultima opera di Alberto Asor Rosa 'Storia europea della letteratura italiana': non sono un critico letterario anche se ho passione per la letteratura; su 'Repubblica' l'opera è stata esaustivamente presentata e discussa da Paolo Mauri. Ho anche ascoltato il dibattito tra Asor Rosa ed Eco, Mauri, De Mauro nella sala di via Ripetta qualche giorno fa. E naturalmente ho letto i tre volumi della 'Storia' di Asor.
Ma mi sono imbattuto (nel supplemento domenicale di '24 Ore' dell'8 marzo) nella recensione di Alfonso Berardinelli ed è quella recensione che mi è venuta voglia di recensire. Si tratta d'una stroncatura in piena regola; come tale è benvenuta in una società letteraria dove la melassa e il giulebbe scorrono a bicchieroni, tutt'al più corretti da qualche goccia di angostura che serve a veicolare modeste invidie e veleni a lento rilascio. Sono del parere che quando si stronca si stronca, senza ipocrisie né riguardi, purché la critica non sia motivata da ragioni che poco o nulla hanno a che fare con il testo, lo stile, i giudizi e il montaggio dell'opera in questione. Si potrà non concordare con quella stroncatura ma bisognerà allora addurre buone ragioni che colgano in fallo lo stroncatore e la sua esibita severità.
Ebbene, la stroncatura di Berardinelli non corrisponde a queste esigenze di un lettore avvertito. Del resto lo scrive lui stesso in un preliminare che occupa un'intera colonna del suo articolo recensorio: ha da tanti anni una profonda antipatia politica verso Asor Rosa, verso le sue ideologie, il suo operaismo 'd'antan', i suoi amici degli anni Sessanta, il suo settarismo e insomma la sua militanza comunista. Non lo sopporta. Non sopporta il suo modo di scrivere 'tardigrado', le sue frasi lunghe e barocche, la sua enfasi, l'impegno politico che trasferisce anche quando scrive di letteratura. E avanti così, a colpi di machete per un'intera colonna.
Questo preliminare è fuori tema. Rende fasullo tutto il seguito del componimento. Al punto che, avendolo letto con crescente disagio, avevo deciso di non continuare. Ma il contenitore era invece di tutto rispetto: il supplemento domenicale del '24 Ore' contiene quasi sempre notizie intriganti e articoli acuti. Perciò sono andato fino in fondo e ne sono uscito con la conferma che la stroncatura di Berardinelli meritasse di essere stroncata.
Non è qui in discussione l'orientamento politico di Asor Rosa. Anche a me è talvolta capitato di dissentirne. Un mio carissimo amico e collega ne dissente del tutto e lo ha scritto più volte. Ma qui l'oggetto è un lavoro letterario ed è su quello che deve esercitarsi il critico. Sarebbe come giudicare Céline per il suo acceso antisemitismo, Ezra Pound per il suo conclamato fascismo e l'autore del 'Tropico del Cancro' per il suo nichilismo.
Non sono fautore della tesi proustiana né di quella crociana della completa autonomia dell'opera letteraria rispetto alla vicenda biografica dell'autore. Credo che sia nel vero Sainte-Beuve quando descrive (e pratica) una critica che tenga conto della personalità dell'autore e del clima culturale del suo tempo per una miglior comprensione d'un romanzo, d'un racconto, d'una poesia e di una 'poetica'. Una miglior comprensione; ma il giudizio deve scaturire comunque dal testo e non dagli elementi che ne facilitano una miglior comprensione. Berardinelli lavora esattamente nel modo opposto, le sue stroncature come pure le sue incensature sono soltanto manifesti politico-ideologici e pertanto di nessun valore letterario.
Trascinato dal vento della contestazione politica si è dunque inoltrato a parlare della 'Storia' di Asor Rosa in quanto tale, collezionando una serie di sviste e di errori che meritano di essere segnalati. Accusa l'autore d'aver trascurato Pasolini, mentre nel terzo volume della 'Storia' l'autore delle 'Ceneri di Gramsci' risulta uno dei personaggi centrali della cultura del Novecento. Lo rimprovera poi di aver idoleggiato Calvino al di là dei suoi 'discutibili' meriti (Calvino è un altro dei bersagli abituali di Berardinelli). Ma di quell'idoleggiamento non c'è traccia nel testo di Asor Rosa; c'è un giudizio critico pertinente che coglie nell'autore degli 'Antenati' i due elementi fondanti della narrativa calviniana: la razionalità illuministica e la fantasia immaginativa. E lo stile, del quale 'Le città invisibili' e le 'Lezioni americane' sono il massimo esempio.
C'è poi, nella recensione non recensoria, un confronto tra la 'Storia' del De Sanctis e quella di Asor. Esempi del genere non dovrebbero mai farsi poiché ogni opera ha una sua individualità che la rende non commensurabile con le altre. Comunque Berardinelli vi si avventura e scrive: "In De Sanctis letteratura e politica tendevano a coincidere, facevano parte di un'unica storia". Esatto, è così: la passione politica e risorgimentale irrompe di continuo nella 'Storia' e nei 'Saggi' del De Sanctis; ma non è proprio questo il rimprovero principale che egli muove contro Asor? A mio avviso nei lavori letterari del De Sanctis la militanza politica è molto più presente che in quelli di Asor e basterebbe a provarlo la partizione che egli adotta per classificare e distinguere due gruppi di scrittori la 'scuola democratica' dove colloca Mazzini, Berchet e tutto l'azionismo risorgimentale e la 'scuola cattolica-moderata' centrata su Manzoni. Ho ancora in mente quella pagina dei 'Saggi' dove, scrivendo di Machiavelli, l'autore interrompe il suo discorso per annunciare che gli giunge in quel momento la notizia che il potere temporale della Chiesa è caduto e si lascia andare ad un vero e proprio empito di giubilante laicismo.
Infine l'ultimo sberleffo: la 'Storia' di Asor si conclude con la citazione dell'ultimo verso dell''Inferno' dantesco, "e quindi uscimmo a riveder le stelle" che Asor giudica il più bello della poesia italiana, mentre per Berardinelli la citazione è un artificio retorico che nasconde il nulla senza riuscirvi. Io ho provato emozione leggendo quelle ultime frasi concluse da quel verso. Sarà pure un artificio retorico, ma la retorica è un elemento stilistico senza il quale gran parte delle opere letterarie neppure esisterebbero. E poi, come in tutte le cose, c'è buona retorica e cattiva retorica. L'articolo di Berardinelli è impastato di cattiva retorica che il supplemento del '24 Ore' francamente non si merita.
Ma mi sono imbattuto (nel supplemento domenicale di '24 Ore' dell'8 marzo) nella recensione di Alfonso Berardinelli ed è quella recensione che mi è venuta voglia di recensire. Si tratta d'una stroncatura in piena regola; come tale è benvenuta in una società letteraria dove la melassa e il giulebbe scorrono a bicchieroni, tutt'al più corretti da qualche goccia di angostura che serve a veicolare modeste invidie e veleni a lento rilascio. Sono del parere che quando si stronca si stronca, senza ipocrisie né riguardi, purché la critica non sia motivata da ragioni che poco o nulla hanno a che fare con il testo, lo stile, i giudizi e il montaggio dell'opera in questione. Si potrà non concordare con quella stroncatura ma bisognerà allora addurre buone ragioni che colgano in fallo lo stroncatore e la sua esibita severità.
Ebbene, la stroncatura di Berardinelli non corrisponde a queste esigenze di un lettore avvertito. Del resto lo scrive lui stesso in un preliminare che occupa un'intera colonna del suo articolo recensorio: ha da tanti anni una profonda antipatia politica verso Asor Rosa, verso le sue ideologie, il suo operaismo 'd'antan', i suoi amici degli anni Sessanta, il suo settarismo e insomma la sua militanza comunista. Non lo sopporta. Non sopporta il suo modo di scrivere 'tardigrado', le sue frasi lunghe e barocche, la sua enfasi, l'impegno politico che trasferisce anche quando scrive di letteratura. E avanti così, a colpi di machete per un'intera colonna.
Questo preliminare è fuori tema. Rende fasullo tutto il seguito del componimento. Al punto che, avendolo letto con crescente disagio, avevo deciso di non continuare. Ma il contenitore era invece di tutto rispetto: il supplemento domenicale del '24 Ore' contiene quasi sempre notizie intriganti e articoli acuti. Perciò sono andato fino in fondo e ne sono uscito con la conferma che la stroncatura di Berardinelli meritasse di essere stroncata.
Non è qui in discussione l'orientamento politico di Asor Rosa. Anche a me è talvolta capitato di dissentirne. Un mio carissimo amico e collega ne dissente del tutto e lo ha scritto più volte. Ma qui l'oggetto è un lavoro letterario ed è su quello che deve esercitarsi il critico. Sarebbe come giudicare Céline per il suo acceso antisemitismo, Ezra Pound per il suo conclamato fascismo e l'autore del 'Tropico del Cancro' per il suo nichilismo.
Non sono fautore della tesi proustiana né di quella crociana della completa autonomia dell'opera letteraria rispetto alla vicenda biografica dell'autore. Credo che sia nel vero Sainte-Beuve quando descrive (e pratica) una critica che tenga conto della personalità dell'autore e del clima culturale del suo tempo per una miglior comprensione d'un romanzo, d'un racconto, d'una poesia e di una 'poetica'. Una miglior comprensione; ma il giudizio deve scaturire comunque dal testo e non dagli elementi che ne facilitano una miglior comprensione. Berardinelli lavora esattamente nel modo opposto, le sue stroncature come pure le sue incensature sono soltanto manifesti politico-ideologici e pertanto di nessun valore letterario.
Trascinato dal vento della contestazione politica si è dunque inoltrato a parlare della 'Storia' di Asor Rosa in quanto tale, collezionando una serie di sviste e di errori che meritano di essere segnalati. Accusa l'autore d'aver trascurato Pasolini, mentre nel terzo volume della 'Storia' l'autore delle 'Ceneri di Gramsci' risulta uno dei personaggi centrali della cultura del Novecento. Lo rimprovera poi di aver idoleggiato Calvino al di là dei suoi 'discutibili' meriti (Calvino è un altro dei bersagli abituali di Berardinelli). Ma di quell'idoleggiamento non c'è traccia nel testo di Asor Rosa; c'è un giudizio critico pertinente che coglie nell'autore degli 'Antenati' i due elementi fondanti della narrativa calviniana: la razionalità illuministica e la fantasia immaginativa. E lo stile, del quale 'Le città invisibili' e le 'Lezioni americane' sono il massimo esempio.
C'è poi, nella recensione non recensoria, un confronto tra la 'Storia' del De Sanctis e quella di Asor. Esempi del genere non dovrebbero mai farsi poiché ogni opera ha una sua individualità che la rende non commensurabile con le altre. Comunque Berardinelli vi si avventura e scrive: "In De Sanctis letteratura e politica tendevano a coincidere, facevano parte di un'unica storia". Esatto, è così: la passione politica e risorgimentale irrompe di continuo nella 'Storia' e nei 'Saggi' del De Sanctis; ma non è proprio questo il rimprovero principale che egli muove contro Asor? A mio avviso nei lavori letterari del De Sanctis la militanza politica è molto più presente che in quelli di Asor e basterebbe a provarlo la partizione che egli adotta per classificare e distinguere due gruppi di scrittori la 'scuola democratica' dove colloca Mazzini, Berchet e tutto l'azionismo risorgimentale e la 'scuola cattolica-moderata' centrata su Manzoni. Ho ancora in mente quella pagina dei 'Saggi' dove, scrivendo di Machiavelli, l'autore interrompe il suo discorso per annunciare che gli giunge in quel momento la notizia che il potere temporale della Chiesa è caduto e si lascia andare ad un vero e proprio empito di giubilante laicismo.
Infine l'ultimo sberleffo: la 'Storia' di Asor si conclude con la citazione dell'ultimo verso dell''Inferno' dantesco, "e quindi uscimmo a riveder le stelle" che Asor giudica il più bello della poesia italiana, mentre per Berardinelli la citazione è un artificio retorico che nasconde il nulla senza riuscirvi. Io ho provato emozione leggendo quelle ultime frasi concluse da quel verso. Sarà pure un artificio retorico, ma la retorica è un elemento stilistico senza il quale gran parte delle opere letterarie neppure esisterebbero. E poi, come in tutte le cose, c'è buona retorica e cattiva retorica. L'articolo di Berardinelli è impastato di cattiva retorica che il supplemento del '24 Ore' francamente non si merita.
(13 marzo 2009)
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