Sono a Roma per discutere del futuro dell'occupazione, i 14 ministri del lavoro che partecipano al G8 allargato. Fino al 31 marzo, Italia, Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Russia, Stati Uniti, Brasile, India, Messico, Sud Africa, Cina ed Egitto, avranno tempo per studiare strategie comuni su come affrontare la crisi e le sue ripercussioni sulla vita delle persone. Insieme a loro, ne discuteranno il segretario generale dell'Ocse Angel Gurria, il direttore generale dell'Ilo Juan Somavia, il primo vice direttore del Fmi John Lipsky e il commissario europeo per gli affari sociali Vladimir Spidla.
Si dovranno rimboccare le maniche, visto che gli ultimi dati diffusi proprio dall'Ocse, parlano di un tasso di disoccupazione che entro il prossimo anno potrà superare il 10 per cento. Si tratta, calcola invece il sindacato mondiale delle Global Unions, di 200 milioni di lavoratori che potrebbero ritrovarsi in condizioni di povertà estrema, in particolare nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, dove non esistono ammortizzatori sociali. Anche secondo l'Ilo, la recessione che abbiamo di fronte sarà «prolungata» e sostiene che prima che il mercato del lavoro si riprenda dovranno passare almeno «quattro o cinque anni».
Non sono solo i sindacati e gli studiosi del lavoro a dirsi preoccupati. Anche il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei dice che «la crisi è reale e ci obbliga ad indicare interventi precisi, fermi, chiari e soprattutto rapidi» perché può «mettere a rischio non solo la tenuta dei sistemi produttivi, ma anche quella dell'intero tessuto sociale, per le conseguenze sull'occupazione, la perdita di patrimoni industriali importanti e la dispersione di talenti».
L'unico che continua a negare l'evidenza, purtroppo, è il nostro ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Per lui le parole d'ordine continuano a essere «cautela», «prudenza», «ottimismo». «Sarei cauto – dice al G14 – con le diverse previsioni che continuano a essere prodotte perchè spesso le stesse organizzazioni che le fanno sono costrette a correggerle. Non aiuta – aggiunge – il continuo prodursi di previsioni in sequenza l'una con l'altra». «Non so – insiste – se l'Italia sia più lenta nel creare posti di lavoro ma di sicuro è più lenta nel perderli». «La crisi – dice ancora – è innanzitutto una crisi di fiducia dunque è essenziale ricostruire il circolo della fiducia partendo innanzitutto dalla persona. I governi - ha concluso - si sono occupati molto dei mercati finanziari ma il meglio che dobbiamo pretendere ci impone di avere a riferimento le persone. Ciò significa che le politiche sociali e di tutela attiva della persona deve costituire parte integrante delle politiche economiche».
Si dovranno rimboccare le maniche, visto che gli ultimi dati diffusi proprio dall'Ocse, parlano di un tasso di disoccupazione che entro il prossimo anno potrà superare il 10 per cento. Si tratta, calcola invece il sindacato mondiale delle Global Unions, di 200 milioni di lavoratori che potrebbero ritrovarsi in condizioni di povertà estrema, in particolare nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti, dove non esistono ammortizzatori sociali. Anche secondo l'Ilo, la recessione che abbiamo di fronte sarà «prolungata» e sostiene che prima che il mercato del lavoro si riprenda dovranno passare almeno «quattro o cinque anni».
Non sono solo i sindacati e gli studiosi del lavoro a dirsi preoccupati. Anche il vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei dice che «la crisi è reale e ci obbliga ad indicare interventi precisi, fermi, chiari e soprattutto rapidi» perché può «mettere a rischio non solo la tenuta dei sistemi produttivi, ma anche quella dell'intero tessuto sociale, per le conseguenze sull'occupazione, la perdita di patrimoni industriali importanti e la dispersione di talenti».
L'unico che continua a negare l'evidenza, purtroppo, è il nostro ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Per lui le parole d'ordine continuano a essere «cautela», «prudenza», «ottimismo». «Sarei cauto – dice al G14 – con le diverse previsioni che continuano a essere prodotte perchè spesso le stesse organizzazioni che le fanno sono costrette a correggerle. Non aiuta – aggiunge – il continuo prodursi di previsioni in sequenza l'una con l'altra». «Non so – insiste – se l'Italia sia più lenta nel creare posti di lavoro ma di sicuro è più lenta nel perderli». «La crisi – dice ancora – è innanzitutto una crisi di fiducia dunque è essenziale ricostruire il circolo della fiducia partendo innanzitutto dalla persona. I governi - ha concluso - si sono occupati molto dei mercati finanziari ma il meglio che dobbiamo pretendere ci impone di avere a riferimento le persone. Ciò significa che le politiche sociali e di tutela attiva della persona deve costituire parte integrante delle politiche economiche».
29 marzo 2009
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