30/4/2009
LIETTA TORNABUONI
LIETTA TORNABUONI
Prima del Papa, in Abruzzo, il 25 Aprile con i suoi dispettucci politici da scolari: Franceschini che dice «Sarò a Onna»; Berlusconi che replica «Vengo anch’io», sfalsa gli orari e, tra podio, discorso e telecamere, gli ruba l’idea e la scena. Dopo il Papa, Pescante ha solennemente promesso in conferenza-stampa un evento sportivo, la festa della Polizia è annunciata all’Aquila, sopravviene sulle macerie del terremoto il cosmopolitismo del G8. Il buon senso, invece, manca. Quando i terremotati chiedono che non si spengano i riflettori, si riferiscono a se stessi e ai loro problemi tragici, non al via vai di personalità e cerimonie, nazionali e internazionali, delle quali ovviamente non potrebbe fregargli di meno. Ciascuna di queste manifestazioni, la cui organizzazione sarà inevitabilmente difficile e assorbirà il lavoro di molti, non può rappresentare altro che un autentico impaccio per persone che stanno così male. La condizione dei terremotati è differente e infastidita dalle telecamere puntate altrove: mica sono politici.
Il modo per aiutare gli abruzzesi non è metterli in mostra, ma dar loro una solidarietà materiale: soldi, cose necessarie alla vita, accelerazione della ricostruzione. Il territorio devastato dal terremoto non è un salone per cerimonie: come si fa a non capirlo? Idee simili possono piacere solo al governo, l’unico che può considerarle soccorrevoli, entusiasmanti o utili. La lontananza tra presidente del Consiglio e cittadini colpiti non potrebbe essere più abissale: nulla pare poter indurre il primo ad astenersi dal fare i fatti suoi, ciò che crede essergli vantaggioso, neppure drammi che spezzano il cuore. È incomprensibile che l’essere andato sette-otto volte all’Aquila (impossibile non sapere quante volte, dato che ogni telegiornale o quasi l’ha ripetuto all’infinito) possa apparire uno sforzo sovrumano, un record altruista, la premessa a un lungo periodo di pre-elettorali celebrazioni ed esposizioni mediatiche.
Il modo per aiutare gli abruzzesi non è metterli in mostra, ma dar loro una solidarietà materiale: soldi, cose necessarie alla vita, accelerazione della ricostruzione. Il territorio devastato dal terremoto non è un salone per cerimonie: come si fa a non capirlo? Idee simili possono piacere solo al governo, l’unico che può considerarle soccorrevoli, entusiasmanti o utili. La lontananza tra presidente del Consiglio e cittadini colpiti non potrebbe essere più abissale: nulla pare poter indurre il primo ad astenersi dal fare i fatti suoi, ciò che crede essergli vantaggioso, neppure drammi che spezzano il cuore. È incomprensibile che l’essere andato sette-otto volte all’Aquila (impossibile non sapere quante volte, dato che ogni telegiornale o quasi l’ha ripetuto all’infinito) possa apparire uno sforzo sovrumano, un record altruista, la premessa a un lungo periodo di pre-elettorali celebrazioni ed esposizioni mediatiche.
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