"Il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Re minore op. 30 di Sergej Rachmaninov, composto nel 1909, è uno dei più amati ed eseguiti concerti del repertorio per pianoforte e orchestra. Recentemente noto presso il grande pubblico anche come Rach 3, in realtà questa dicitura non è mai stata diffusa in Europa ed è divenuta popolare solo dopo il successo del film Shine (1996).
Concerto d'impostazione tardo-romantica, dalle affascinanti melodie, magniloquente nell'espressione, deve una parte della sua fama alla sua grande difficoltà esecutiva, in quanto richiede al solista una solidissima tecnica virtuosistica e molta resistenza. Infatti, sebbene i singoli episodi pianistici, pur mediamente molto impegnativi sulla scia del virtuosismo trascendentale tardo-ottocentesco d'ispirazione lisztiana, non raggiungano singole vette di insostenibile difficoltà tecnica, la loro somma nell'insieme, la costante e quasi ininterrotta presenza del pianoforte, la sua spiccata evidenza rispetto alla tessitura orchestrale e la notevole lunghezza ne fanno nel complesso uno dei più impegnativi concerti dell'intero repertorio pianistico. Probabilmente, il più difficile del repertorio correntemente eseguito[1], assieme al celebre concerto n.2 di Brahms (in cui la grande difficoltà è meno immediatamente evidente a causa della sua particolare scrittura pianistica, è più dissimulata ma richiede altrettante doti tecniche e nervose per una sua perfetta riuscita) ed al meno conosciuto concerto n. 2 di Sergej Prokofiev. La sua diffusa fama di pezzo più difficile mai scritto, cui ha largamente contribuito il suddetto film, pertanto non è usurpata in assoluto, ma certamente non è da prendersi in maniera così sentenziosa e perentoria.
Il concerto n. 3 è quindi sia un usuale ed agognato banco di prova dei giovani aspiranti virtuosi sia un cavallo di battaglia di affermatissimi pianisti del passato e del presente, uno per tutti, Vladimir Horowitz, che ne sancì la fama negli anni '30. È uno dei brani che vanta il maggior numero di incisioni discografiche in assoluto. Per contro, non è mai entrato nel repertorio di altri grandi pianisti del XX secolo che pure suonarono altri concerti di Rachmaninov (per esempio, Benedetti Michelangeli, Pollini, Richter e altri).
Il concerto è diviso in tre movimenti, con il secondo e terzo privi di soluzione di continuità. La durata è di circa 40 minuti.
1. Allegro ma non tanto 2. Intermezzo: Adagio 3. Finale: Alla breve
1. Allegro ma non troppo
Re minore, tempo ordinario
Il primo movimento si sviluppa intorno ad una dolce melodia diatonica, di spiccato sapore popolare. Il compositore stesso parlò in seguito di ispirazione non volontaria da melodie del folklore russo per questa e altri spunti dei suoi concerti. Quest'idea melodica, inizialmente sommessa, presto sale di intensità e si sviluppa in una complessa figurazione pianistica, che alterna feroci climax a interventi più controllati e lirici. La scrittura di Rachmaninov è estremamente ornata e sfrutta, per ottenere effetti drammatici, risorse tecniche quali note ribattute, arpeggi, sequenze martellate e largo uso del pedale di risonanza per ottenere sonorità gonfie e cariche, specie durante volate cromatiche della mano sinistra. L'elaborazione tematica dei due motivi principali è minima. Il movimento raggiunge il suo momento culminante nella lunga cadenza del pianoforte, che in un certo modo conclude il movimento, in quanto dopo di essa non avviene una completa riesposizione del materiale tematico.
Cadenza
È scritta in due versioni, quella regolare e quella alternativa (marcata appunto come ossìa sulla partitura), che si ricongiungono nella parte conclusiva, comune a entrambe. La cadenza regolare, dal tocco leggero, ha una scrittura toccatistica e scorrevolmente rapida, mentre la cadenza alternativa, molto densa e pesante, inizialmente insiste sul registro basso dello strumento e successivamente sviluppa una notevole massa sonora nella parte centrale, costituita un'idea melodica spezzata ritmicamente in un'alternanza di sonori accordi di 8 note. La parte finale della cadenza, impetuosa e drammatica, è comune ad entrambe le versioni e, scaricando la tensione su un ampio arpeggio di re maggiore, si stabilizza su una liquida e veloce figurazione sul registro acuto, sulla quale l'orchestra interviene brevemente con tre brevi assoli (flauto, oboe, clarinetto), lasciando subito nuovo spazio al pianoforte solo, con uno spunto melodico suadente e lirico concluso da una lunga volatina. Un breve rientro dell'intera orchestra, senza particolari riesposizioni, chiude il movimento. A proposito della cadenza, quella più usata inizialmente fu quella regolare (tale usavano per esempio Horowitz e il compositore stesso, nelle sue esecuzioni), mentre negli ultimi decenni si è diffusa maggiormente quella alternativa (ossia), dall'impatto più massiccio e impressionante.
2. Intermezzo (Adagio)
Fa diesis minore-Re bemolle maggiore, 3/4 - Poco più mosso: Fa diesis minore, 3/8
Il secondo movimento, che inizia con un tema lirico e appassionato della sola orchestra, è molto vario e riprende qualche spunto tematico del primo movimento. Il pianoforte domina anche qua, inizialmente con iridescenti figurazioni cromatiche della mano sinistra che creano uno sfondo per la robusta melodia della destra, e successivamente con uno stretto gioca con l'orchestra in numerose variazioni ed impennate virtuosistiche che talvolta stemperano con momenti d'umorismo il tono drammatico. Verso la fine, su un tappeto pizzicato degli archi, i legni intonano una dolce melodia dal ritmo ternario. Una brusca breve cadenza del pianoforte, rinforzata da alcuni secchi accenti dell'orchestra in ripieno, conduce direttamente al terzo movimento, senza interruzione.
3. Finale (Alla breve)
Re minore, tempo ordinario - Scherzando: Mi bemolle maggiore, 4/4 - Tempo I. Alla breve: Mi bemolle maggiore-Re minore-Re maggiore, tempo ordinario
Il terzo movimento è veloce e vigoroso e contiene variazioni su molti dei temi presenti nel primo movimento, che uniscono l'intero concerto ciclicamente, dandogli una certa coerenza costruttiva, superiore a quella del concerto n. 2. La cifra virtuosistica sale ulteriormente, con velocissime note ribattute e scintillanti arpeggi nel registro alto, cui fanno seguito numerosi episodi tematici di gusto differente, compresi accenni di marcia. Nella sezione conclusiva, una serrata sequenza di pesanti e veloci ottave del pianoforte accompagna il crescendo dell'orchestra, che culimina nella grandiosa perorazione finale, in tonalità maggiore, intensamente passionale, immediatamente seguìta dalle ultime battute, con lo stesso ritmo formato da quattro note del concerto n. 2 (che qualcuno pensa possa essere la firma musicale dell'autore)."
1 commento:
"Il concerto per pianoforte e orchestra n. 3 in Re minore op. 30 di Sergej Rachmaninov, composto nel 1909, è uno dei più amati ed eseguiti concerti del repertorio per pianoforte e orchestra. Recentemente noto presso il grande pubblico anche come Rach 3, in realtà questa dicitura non è mai stata diffusa in Europa ed è divenuta popolare solo dopo il successo del film Shine (1996).
Concerto d'impostazione tardo-romantica, dalle affascinanti melodie, magniloquente nell'espressione, deve una parte della sua fama alla sua grande difficoltà esecutiva, in quanto richiede al solista una solidissima tecnica virtuosistica e molta resistenza. Infatti, sebbene i singoli episodi pianistici, pur mediamente molto impegnativi sulla scia del virtuosismo trascendentale tardo-ottocentesco d'ispirazione lisztiana, non raggiungano singole vette di insostenibile difficoltà tecnica, la loro somma nell'insieme, la costante e quasi ininterrotta presenza del pianoforte, la sua spiccata evidenza rispetto alla tessitura orchestrale e la notevole lunghezza ne fanno nel complesso uno dei più impegnativi concerti dell'intero repertorio pianistico. Probabilmente, il più difficile del repertorio correntemente eseguito[1], assieme al celebre concerto n.2 di Brahms (in cui la grande difficoltà è meno immediatamente evidente a causa della sua particolare scrittura pianistica, è più dissimulata ma richiede altrettante doti tecniche e nervose per una sua perfetta riuscita) ed al meno conosciuto concerto n. 2 di Sergej Prokofiev. La sua diffusa fama di pezzo più difficile mai scritto, cui ha largamente contribuito il suddetto film, pertanto non è usurpata in assoluto, ma certamente non è da prendersi in maniera così sentenziosa e perentoria.
Il concerto n. 3 è quindi sia un usuale ed agognato banco di prova dei giovani aspiranti virtuosi sia un cavallo di battaglia di affermatissimi pianisti del passato e del presente, uno per tutti, Vladimir Horowitz, che ne sancì la fama negli anni '30. È uno dei brani che vanta il maggior numero di incisioni discografiche in assoluto. Per contro, non è mai entrato nel repertorio di altri grandi pianisti del XX secolo che pure suonarono altri concerti di Rachmaninov (per esempio, Benedetti Michelangeli, Pollini, Richter e altri).
Il concerto è diviso in tre movimenti, con il secondo e terzo privi di soluzione di continuità. La durata è di circa 40 minuti.
1. Allegro ma non tanto
2. Intermezzo: Adagio
3. Finale: Alla breve
1. Allegro ma non troppo
Re minore, tempo ordinario
Il primo movimento si sviluppa intorno ad una dolce melodia diatonica, di spiccato sapore popolare. Il compositore stesso parlò in seguito di ispirazione non volontaria da melodie del folklore russo per questa e altri spunti dei suoi concerti. Quest'idea melodica, inizialmente sommessa, presto sale di intensità e si sviluppa in una complessa figurazione pianistica, che alterna feroci climax a interventi più controllati e lirici. La scrittura di Rachmaninov è estremamente ornata e sfrutta, per ottenere effetti drammatici, risorse tecniche quali note ribattute, arpeggi, sequenze martellate e largo uso del pedale di risonanza per ottenere sonorità gonfie e cariche, specie durante volate cromatiche della mano sinistra. L'elaborazione tematica dei due motivi principali è minima. Il movimento raggiunge il suo momento culminante nella lunga cadenza del pianoforte, che in un certo modo conclude il movimento, in quanto dopo di essa non avviene una completa riesposizione del materiale tematico.
Cadenza
È scritta in due versioni, quella regolare e quella alternativa (marcata appunto come ossìa sulla partitura), che si ricongiungono nella parte conclusiva, comune a entrambe. La cadenza regolare, dal tocco leggero, ha una scrittura toccatistica e scorrevolmente rapida, mentre la cadenza alternativa, molto densa e pesante, inizialmente insiste sul registro basso dello strumento e successivamente sviluppa una notevole massa sonora nella parte centrale, costituita un'idea melodica spezzata ritmicamente in un'alternanza di sonori accordi di 8 note. La parte finale della cadenza, impetuosa e drammatica, è comune ad entrambe le versioni e, scaricando la tensione su un ampio arpeggio di re maggiore, si stabilizza su una liquida e veloce figurazione sul registro acuto, sulla quale l'orchestra interviene brevemente con tre brevi assoli (flauto, oboe, clarinetto), lasciando subito nuovo spazio al pianoforte solo, con uno spunto melodico suadente e lirico concluso da una lunga volatina. Un breve rientro dell'intera orchestra, senza particolari riesposizioni, chiude il movimento. A proposito della cadenza, quella più usata inizialmente fu quella regolare (tale usavano per esempio Horowitz e il compositore stesso, nelle sue esecuzioni), mentre negli ultimi decenni si è diffusa maggiormente quella alternativa (ossia), dall'impatto più massiccio e impressionante.
2. Intermezzo (Adagio)
Fa diesis minore-Re bemolle maggiore, 3/4 - Poco più mosso: Fa diesis minore, 3/8
Il secondo movimento, che inizia con un tema lirico e appassionato della sola orchestra, è molto vario e riprende qualche spunto tematico del primo movimento. Il pianoforte domina anche qua, inizialmente con iridescenti figurazioni cromatiche della mano sinistra che creano uno sfondo per la robusta melodia della destra, e successivamente con uno stretto gioca con l'orchestra in numerose variazioni ed impennate virtuosistiche che talvolta stemperano con momenti d'umorismo il tono drammatico. Verso la fine, su un tappeto pizzicato degli archi, i legni intonano una dolce melodia dal ritmo ternario. Una brusca breve cadenza del pianoforte, rinforzata da alcuni secchi accenti dell'orchestra in ripieno, conduce direttamente al terzo movimento, senza interruzione.
3. Finale (Alla breve)
Re minore, tempo ordinario - Scherzando: Mi bemolle maggiore, 4/4 - Tempo I. Alla breve: Mi bemolle maggiore-Re minore-Re maggiore, tempo ordinario
Il terzo movimento è veloce e vigoroso e contiene variazioni su molti dei temi presenti nel primo movimento, che uniscono l'intero concerto ciclicamente, dandogli una certa coerenza costruttiva, superiore a quella del concerto n. 2. La cifra virtuosistica sale ulteriormente, con velocissime note ribattute e scintillanti arpeggi nel registro alto, cui fanno seguito numerosi episodi tematici di gusto differente, compresi accenni di marcia. Nella sezione conclusiva, una serrata sequenza di pesanti e veloci ottave del pianoforte accompagna il crescendo dell'orchestra, che culimina nella grandiosa perorazione finale, in tonalità maggiore, intensamente passionale, immediatamente seguìta dalle ultime battute, con lo stesso ritmo formato da quattro note del concerto n. 2 (che qualcuno pensa possa essere la firma musicale dell'autore)."
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