Gentile Silvio B., le dirò alcune cose sincere, da uomo a uomo. Noi uomini non siamo abituati a dirle, e tanto meno ad ascoltarle. Vale per quasi tutti noi, non solo per i bugiardi più spericolati come lei. Noi (con qualche rarissima eccezione: ci sono anche uomini davvero nobili d'animo, ma non ci riguarda) sappiamo bene di che porcherie si tratti, sia che le pratichiamo, come lei ostenta di fare, sia che ci rinunciamo, perché abbiamo imparato a vergognarcene, o semplicemente perché non abbiamo il fisico. Lo sa lei, lo so io.
Mi hanno raccomandato di non perdermi i giornali a lei vicini: non li ho persi. Ho scorso gli editoriali, ho guardato le fotografie. Sa che cosa ho pensato? No, non che mi trovavo di fronte a qualche colonna infame, questo era ovvio, l'ha pensato chiunque. Ho guardato le fotografie - una giovane donna, un'attrice, che si scopre il seno - e mi sono chiesto come sia stato possibile che una giovane donna così bella dedicasse la propria vita a uno come lei. E' successo anche a me, mi interrogo anch'io: come sia possibile che giovani donne così belle e intelligenti dedichino la propria vita a uomini come noi. Naturalmente, un po' lo sappiamo come succede. Che carte abbiamo in mano, per barare.
Siamo volgari abbastanza per riconoscere la reciproca volgarità. Semplicemente, ci teniamo a bada un po' di più di quanto faccia lei. Dicono tutti che gli italiani la invidino. Sinceramente, nemmeno a questo credo. La guardo, dalla testa ai piedi, e non ci credo. Gli italiani hanno, come tanti maschi del mondo, un problema con la caduta dei capelli. Ma sanno bene che la sua non è la soluzione. Lei stesso lo sa, e non deve farsi troppe illusioni. Il cosiddetto populismo è traditore. Uno crede di aver sostituito ai cittadini un popolo, al popolo un pubblico, al pubblico una plebe: ed ecco, proprio mentre passa sotto l'arco di trionfo del suo impero di cartapesta e lancia gettoni d'oro, parte un solo fischio, e la plebe d'un tratto si rivolta e lo precipita nel fango.
L'Italia è il paese di Maramaldo, e io non voglio maramaldeggiare su lei: benché sia ora di rovesciare le parti di quel vecchio scurrile episodio, e avvertire, dal suolo su cui si giace, al prepotente che gl'incombe sopra che è un uomo morto. Noi c'intendiamo: abbiamo gli stessi trucchi, dimissionari o no, pentiti o no. Siamo capaci di molto. Di esibire le nostre liste alle europee, e vantarcene: "Dove sono le famigerate veline?" dopo aver fatto fare le ore piccole ai nostri esasperati luogotenenti a depennare capigliature bionde. Di dire: "La signora" (non so se lei ci metterebbe la maiuscola: fino a questa introspezione non arrivo), sapendo che la signora di noi sa tutto, e anche delle liste elettorali prima della purga. Magari la signora la lascerà, finalmente, e lei le scioglierà addosso la muta dei suoi cani. Diventerà la loro preda prediletta. Ma nel Parlamento Europeo (le maiuscole ce le metto io: un tocco di solennità non fa male) ci si ricorderà di Veronica. Capaci perfino di chiamare "maleodoranti e malvestite" le deputate dell'altro schieramento: ci ho pensato, e le dirò che almeno a questo non credo che avrei saputo spingermi. In fondo lei è fortunato: le circostanze le permetteranno fino alla fine di restare soprattutto un poveruomo desideroso di essere vezzeggiato e invidiato e lusingato da ammiccamenti e colpi di gomito dei suoi sudditi, a Palazzo Chigi o sul prossimo colle, mentre padri di famiglia minacciano di darsi fuoco perché la loro bellissima bambina non è stata candidata, e vanno via contenti con la sua camicia di ricambio. In altre circostanze avrebbero potuto succederle cose terribili.
Nel giro d'anni in cui lei e io nascevamo morirono chiusi in due distanti manicomii, perfettamente sani di mente, la signora Ida Dalser e suo figlio Benitino, che facevano ombra al capo del governo. Allora lo Stato era più efficiente di oggi, e misero mano a quella soluzione medici, infermieri, direttori di ospedali, questori, prefetti, commissari di polizia, segretari di fiducia. Altro che lo scherzo delle belle ragazze nelle liste elettorali. Dipende tutto dall'anagrafe.
Per ora molti italiani (e anche parecchie italiane: le è riuscito il gioco di far passare la cosa come una rivalità fra giovani e belle e attempate e risentite) ricantano ancora il vecchio ritornello: "Tra moglie e marito...". Di tutti i vizi nostri, quello è il peggiore. E' la incrollabile Protezione civile dei panni sporchi da tenere sporchi in famiglia, delle botte e delle violenze a mogli e bambini, delle malefatte di padri spirituali al segreto del confessionale, fino a esploderci nelle mani quando il delitto d'onore appena cancellato dal nostro codice si ripresenta nelle figlia ammazzata in nome di qualche sharia. Non mettere il dito: no, a condizione che non si sentano pianti troppo forti uscire dalle pareti domestiche. O, anche quando la casa è così ricca e i muri così spessi, non sia la moglie a far sapere che cosa pensa. Che né il denaro né il soffio della Storia (Dio ci perdoni) le basta a tacere il suo disgusto.
Invidiarla, gentile presidente? Mah. Ammetterò che, reietto come sono, una tentazione l'ho avuta. Non mi dispiacerebbe avere un ruolo importante nell'Italia pubblica di oggi, per le nuove opportunità che si offrono a chi sappia pensare in grande. E' da quando ero bambino che desidero fare cavallo uno dei miei senatori.
(1 maggio 2009)
Mi hanno raccomandato di non perdermi i giornali a lei vicini: non li ho persi. Ho scorso gli editoriali, ho guardato le fotografie. Sa che cosa ho pensato? No, non che mi trovavo di fronte a qualche colonna infame, questo era ovvio, l'ha pensato chiunque. Ho guardato le fotografie - una giovane donna, un'attrice, che si scopre il seno - e mi sono chiesto come sia stato possibile che una giovane donna così bella dedicasse la propria vita a uno come lei. E' successo anche a me, mi interrogo anch'io: come sia possibile che giovani donne così belle e intelligenti dedichino la propria vita a uomini come noi. Naturalmente, un po' lo sappiamo come succede. Che carte abbiamo in mano, per barare.
Siamo volgari abbastanza per riconoscere la reciproca volgarità. Semplicemente, ci teniamo a bada un po' di più di quanto faccia lei. Dicono tutti che gli italiani la invidino. Sinceramente, nemmeno a questo credo. La guardo, dalla testa ai piedi, e non ci credo. Gli italiani hanno, come tanti maschi del mondo, un problema con la caduta dei capelli. Ma sanno bene che la sua non è la soluzione. Lei stesso lo sa, e non deve farsi troppe illusioni. Il cosiddetto populismo è traditore. Uno crede di aver sostituito ai cittadini un popolo, al popolo un pubblico, al pubblico una plebe: ed ecco, proprio mentre passa sotto l'arco di trionfo del suo impero di cartapesta e lancia gettoni d'oro, parte un solo fischio, e la plebe d'un tratto si rivolta e lo precipita nel fango.
L'Italia è il paese di Maramaldo, e io non voglio maramaldeggiare su lei: benché sia ora di rovesciare le parti di quel vecchio scurrile episodio, e avvertire, dal suolo su cui si giace, al prepotente che gl'incombe sopra che è un uomo morto. Noi c'intendiamo: abbiamo gli stessi trucchi, dimissionari o no, pentiti o no. Siamo capaci di molto. Di esibire le nostre liste alle europee, e vantarcene: "Dove sono le famigerate veline?" dopo aver fatto fare le ore piccole ai nostri esasperati luogotenenti a depennare capigliature bionde. Di dire: "La signora" (non so se lei ci metterebbe la maiuscola: fino a questa introspezione non arrivo), sapendo che la signora di noi sa tutto, e anche delle liste elettorali prima della purga. Magari la signora la lascerà, finalmente, e lei le scioglierà addosso la muta dei suoi cani. Diventerà la loro preda prediletta. Ma nel Parlamento Europeo (le maiuscole ce le metto io: un tocco di solennità non fa male) ci si ricorderà di Veronica. Capaci perfino di chiamare "maleodoranti e malvestite" le deputate dell'altro schieramento: ci ho pensato, e le dirò che almeno a questo non credo che avrei saputo spingermi. In fondo lei è fortunato: le circostanze le permetteranno fino alla fine di restare soprattutto un poveruomo desideroso di essere vezzeggiato e invidiato e lusingato da ammiccamenti e colpi di gomito dei suoi sudditi, a Palazzo Chigi o sul prossimo colle, mentre padri di famiglia minacciano di darsi fuoco perché la loro bellissima bambina non è stata candidata, e vanno via contenti con la sua camicia di ricambio. In altre circostanze avrebbero potuto succederle cose terribili.
Nel giro d'anni in cui lei e io nascevamo morirono chiusi in due distanti manicomii, perfettamente sani di mente, la signora Ida Dalser e suo figlio Benitino, che facevano ombra al capo del governo. Allora lo Stato era più efficiente di oggi, e misero mano a quella soluzione medici, infermieri, direttori di ospedali, questori, prefetti, commissari di polizia, segretari di fiducia. Altro che lo scherzo delle belle ragazze nelle liste elettorali. Dipende tutto dall'anagrafe.
Per ora molti italiani (e anche parecchie italiane: le è riuscito il gioco di far passare la cosa come una rivalità fra giovani e belle e attempate e risentite) ricantano ancora il vecchio ritornello: "Tra moglie e marito...". Di tutti i vizi nostri, quello è il peggiore. E' la incrollabile Protezione civile dei panni sporchi da tenere sporchi in famiglia, delle botte e delle violenze a mogli e bambini, delle malefatte di padri spirituali al segreto del confessionale, fino a esploderci nelle mani quando il delitto d'onore appena cancellato dal nostro codice si ripresenta nelle figlia ammazzata in nome di qualche sharia. Non mettere il dito: no, a condizione che non si sentano pianti troppo forti uscire dalle pareti domestiche. O, anche quando la casa è così ricca e i muri così spessi, non sia la moglie a far sapere che cosa pensa. Che né il denaro né il soffio della Storia (Dio ci perdoni) le basta a tacere il suo disgusto.
Invidiarla, gentile presidente? Mah. Ammetterò che, reietto come sono, una tentazione l'ho avuta. Non mi dispiacerebbe avere un ruolo importante nell'Italia pubblica di oggi, per le nuove opportunità che si offrono a chi sappia pensare in grande. E' da quando ero bambino che desidero fare cavallo uno dei miei senatori.
(1 maggio 2009)
2 commenti:
Sofri, ma tu sei stato condannato in terzo grado quale mandante di un efferato omicidio, quando la smetti di moraleggiare sui giornali? Sei fuori per motivi di salute, ma per scrivere queste banalità perbeniste di salute ne hai da vendere...
Caro Anonimo, lungi da me di erigermi a difesore d'ufficio di Adriano Sofri, ma mi pare che sia poco conosciuta da te la storia processuale della condanna da lui subita.
"La magistratura, dopo un lungo iter giudiziario, ha sentenziato nel gennaio del 1997 la condanna in via definitiva di Sofri, Bompressi e Pietrostefani a 22 anni di reclusione.
I primi due gradi di giudizio si conclusero con la condanna degli imputati. Già avverso la sentenza di primo grado Adriano Sofri non interpose appello: la sentenza non ebbe esecuzione per l'effetto espansivo del ricorso presentato dai suoi coimputati (anche Leonardo Marino fece appello). Vi è da dire che la decisione di ritenere l'appello altrui impeditivo del passaggio in giudicato della condanna anche nei confronti del non appellante Sofri (per effetto espansivo, per l'appunto ) non era affatto scontata, anzi segnò un precedente inedito in giurisprudenza. In ogni caso, la Corte di Cassazione, pronunciandosi a sezioni unite, annullò questi primi verdetti affermando l'impossibilità di irrogare una condanna sulla sola base di una chiamata in correo priva di riscontri oggettivi. Nel seguente giudizio di rinvio in appello Sofri (e tutti i coimputati, Marino compreso) vennero assolti per non aver commesso il fatto. Singolarmente, la motivazione della sentenza venne redatta in termini volutamente incoerenti con il dispositivo assolutorio (c.d. sentenza suicida), aprendo le porte ad un nuovo annullamento in Cassazione anche di quest'ultima sentenza di assoluzione piena. Aveva così luogo un nuovo giudizio di rinvio che questa volta si concludeva con la condanna di Sofri e degli altri. Questa ennesima sentenza veniva finalmente confermata in Cassazione, passando in giudicato. Tutti e tre gli imputati condannati sulla base delle dichiarazioni di Leonardo Marino (prosciolto per intervenuta prescrizione) si costituivano presso il carcere di Pisa. Qualche anno dopo aveva luogo un'ulteriore fase di giudizio a seguito dell'accoglimento della richiesta di revisione presentata da Sofri. Questo nuovo processo si svolgeva presso la Corte d'Appello di Venezia e si concludeva con il rigetto del ricorso e quindi con la conferma delle condanne a suo tempo irrogate. Sofri, Bompressi e Pietrostefani si sono costantemente dichiarati innocenti, condotta processuale che (come risulta dalle motivazioni delle molteplici sentenze) è stata ritenuta ostativa della concessione delle attenuanti generiche prevalenti. Se queste fossero state concesse con ogni probabilità anche per loro sarebbe scattata la prescrizione, come evidentemente essi sapevano.
L’imputazione mossa a Sofri è stata quella di concorso morale, data la sua ritenuta veste di mandante, nell'omicidio del commissario della polizia di stato Luigi Calabresi. Non gli è stato contestato il reato di banda armata né circostanze aggravanti eversive, cioè nessuna delle fattispecie previste dall’ordinamento italiano quali mezzi di contrasto del terrorismo politico-ideologico.
Sofri e Pietrostefani, quest'ultimo latitante in Francia, sono stati condannati come mandanti dell'omicidio, Bompressi come esecutore materiale. Il pentito Leonardo Marino, correo confesso dell'omicidio, fu condannato a 11 anni di carcere, pena successivamente prescritta."(Wikipedia).
A prescindere da quanto precede e premesso che Sofri non mi suscita simpatia, non può negarsi che quando Lotta Cotinua sembrò confluire (come poi accadde) nel terrorismo, Sofri sciolse il movimento e soppresse il giornale.
Non bastasse quanto precede, un condannato a pena detentiva definitiva non è un condannato al silenzio, se non nei casi in cui questa 'condanna' deriva dalla sua inculturazione, se è cioè un ignorante (senza dispresso alcuno, semplicemente non sa, ignora, appunto).
Semmai, credo che Sofri abbia nel suo articolo, forse, commesso un errore, che probabilmente è stato voluto.
Non ha rilevato la circostanza che la denuncia di Veronica Lario (al secolo Miriam Bartolini) è stata intempestiva, poteva/doveva cioè intervenire 'dopo' il deposito delle liste dei candidati alle elezioni europee, quando non sarebbe stato possibile emendarle delle candidature improprie.
Perchè Veronica Lario, donna sicuramente intelligente, non ha fatto così ?
Invece, ha consentito al marito di correre ai ripari, propinando agli italioti (italiani idioti) le solite panzane, che al solito gli italioti se le sono bevute tutte.
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