martedì 5 maggio 2009

Un'altra beffa dal G7


MASSIMO RIVA

La finanza internazionale stenta a definire regole nuove e rigorose che evitino il ripetersi dei nefasti crack accaduti di recente. Con la connivenza dei politici e delle autorità di vigilanza

Non è che questa storia dei nuovi 'legal standard' per la finanza internazionale si risolverà in una colossale buffonata? Più passano i mesi, più si infittiscono le riunioni di ministri, autorità ed esperti e più l'increscioso dubbio prende corpo. Al vertice G7 di Roma in febbraio si è raggiunto il formidabile risultato - celebrato con giubilo dal nostro ministro dell'Economia - di dichiarare che sì, è proprio necessario definire regole nuove e naturalmente più rigorose. Qualche settimana dopo a Londra si è tenuto il summit allargato del G20 e l'unica cosa che ne è uscita è una lista di paesi fiscalmente canaglia, contro i quali si minaccia un boicottaggio del quale non sono stati definiti né tempi, né modi, né mezzi.

Ora i membri del G7 sono tornati a rivedersi a Washington per concordare che 'entro l'anno' (la prudenza non è mai troppa) si dovrà trovare un linguaggio contabile comune per valutare le perdite provocate dai banchieri d'avventura, oltre a cercare 'approcci coerenti' per la supervisione sui fondi più speculativi. Infine, è stato compiuto un altrettanto sostanziale passo in avanti: la struttura tecnocratica di supporto alle decisioni dei governanti - presieduta dal governatore italiano Mario Draghi - si chiamerà Financial Stability Board e non più banalmente Forum. Una rivoluzione lessicale dalle conseguenze, immagino, incalcolabili.

Nel frattempo sui mercati gli affari - per fortuna, ovviamente - continuano, ma come se poco o nulla del tutto fosse cambiato. Si assiste così a eventi che hanno il sapore di beffe grottesche. Le famigerate (e un tempo reputate) agenzie di rating - quelle stesse che, per esempio, davano il massimo di affidabilità a banche come Lehman Brothers fino al giorno prima del patatrac - hanno ripreso a sfornare le loro valutazioni con l'identica sicumera d'un tempo. L'unica novità è che ai vertici dell'una o dell'altra Mr. Caio ha preso il posto di Mr. Tizio, ma tutto prosegue sempre come se la tempesta finanziaria non avesse pesantemente intaccato la loro credibilità. Di sciogliere il clamoroso conflitto d'interessi in cui versano queste agenzie, essendo pagate dagli stessi soggetti di cui esaminano i conti, neppure si parla.

Ci sono poi alcune grandi banche che hanno ricominciato tranquillamente a diffondere i loro report sulle aziende quotate nelle varie Borse con relativi consigli di acquisto o di vendita di questo o quel titolo. Per esempio, tanto per non far nomi, la svizzera Ubs o l'americana Citi, cioè due fra gli istituti che hanno subito autentici tracolli di bilancio per gli investimenti fatti nel periodo della finanza allegra. Anche qui, tranne qualche giro di valzer nelle poltrone di vertice, nulla è accaduto che possa dare davvero il segno di una fiducia riconquistata.

La sensazione complessiva è che le volpi stiano così tornando a guardia dei pollai. Con l'implicita connivenza dei poteri politici e delle autorità di vigilanza la cui defatigante lentezza nel maturare le regole di un nuovo codice finanziario internazionale rischia alla fine di risolversi in una manovra gattopardesca: far finta di cambiare tutto per non cambiare nulla.
(30 aprile 2009)

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