«Sinistra, sinistra, sinistra. Faccia un favore, nell’intervista usi molto questa parola». Sergio Cofferati è all’ultimo giorno da sindaco di Bologna e non si è ancora insediato a Bruxelles, dove arriva forte di un risultato personale — il più votato a Nord Ovest — che dimostra come il suo nome eserciti ancora una certa presa sul pubblico di riferimento.
A metà strada, praticamente come il Pd.
«Non oso immaginare cosa sarebbe successo se dopo aver in qualche modo tenuto alle Europee fossimo crollati ai ballottaggi. Invece: non certo un trionfo, ma neppure una disfatta».
Franceschini o Bersani?
«Trovo che la conferma dell’attuale segretario sia necessaria, addirittura indispensabile».
Lei non era amico di Bersani?
«Ad essere in discussione non sono le sue qualità, ma la necessità di un cambio, proprio ora che stiamo trovando una relativa stabilità sulla quale costruire. A un segretario si deve dare tempo per sviluppare un mandato, e Dario questo tempo se l’è guadagnato con tanto lavoro».
A proposito, quale mandato?
«Quello che gli affiderà il congresso. Altrimenti, andando avanti con i duelli sulla leadership, si procede nel solco di quei cicli brevi e isterici che hanno segnato la vita del Pd. Siamo nati nel mezzo di una tempesta elettorale, Veltroni si è dimesso dopo la sconfitta in Sardegna, Franceschini si è concentrato sulla sopravvivenza del progetto in vista di questa tornata. Se eleggiamo Bersani e non va bene alle Regionali del 2010, che succede, si cambia un’altra volta?»
Ma non dovrebbe essere il candidato di quella sinistra da lei tanto invocata?
«Credo invece che Franceschini sia la persona giusta per dare maggiore visibilità a una cultura laburista nel Pd. Molti di noi ex socialisti e comunisti vengono da lì. Ma è qualcosa che appartiene anche a lui. La cultura riformista cattolica ha il suo perno nel lavoro. Ecco, è questa dimensione 'di sinistra' che deve essere maggiormente rappresentata nel partito».
Bersani non le sembra un candidato di sintesi. È così?
«Diciamo che non sono un sostenitore del cosiddetto ticket, una parola che in politica dà sempre il messaggio di due diverse culture tenute insieme con il Bostik. Invece, le differenti anime devono essere riconosciute e unite nei gruppi dirigenti. Mi sembra che Dario ci stia riuscendo».
Il «suo» Franceschini punta molto sulla contrapposizione tra nuovo e vecchio.
«Nei fatti, il ricambio generazionale va aiutato con la disponibilità di quelli che non sono più giovani a prendersi responsabilità importanti ma non primarie».
Auguri.
«Si deve fare, invece. Senza buttare i giovani nel calderone, creando per loro un percorso formativo».
Che terminerà in tempo per le amministrative del 2070...
«Al contrario. Bisogna fare in fretta, ma evitando di bruciare risorse. Io diffido delle improvvisazioni. Nella mia vita precedente, sono diventato segretario della Cgil a 45 anni, il secondo più giovane dopo Di Vittorio. E di esperienza ne avevo accumulata parecchio. Quello che io chiamo percorso formativo deve cominciare e finire quando si è ancora giovani. Oggi invece non se ne intravedono la fine e lo sbocco finale. Ma la situazione deve cambiare, pena l’estinzione del Pd».
Favorevole o contrario al congresso?
«Che si faccia, ma solo per definire la linea. E già che ci siamo, per cancellare uno Statuto che rappresenta una delle strutture politiche più insensate degli ultimi decenni».
Il dato più importante di questo voto?
«Il risultato di Filippo Penati. La sua sconfitta somiglia molto a una vittoria. A Milano ha preso più voti dell’avversario. Parliamo della città che rappresenta la nota più dolente del centrosinistra. Questo risultato dimostra che in realtà possiamo farcela».
Penati sindaco?
«Sarebbe l’uomo giusto. Il suo profilo è quello che l’intero Pd dovrebbe avere: riformista, capace di tenere insieme il tema della sicurezza con quello della solidarietà e di far coincidere la tutela degli interessi del suo territorio con l’interesse nazionale. Averne».
Torniamo a parlare di Pd del Nord?
«Chiamiamolo piuttosto coordinamento territoriale, qualcosa che dia comunque voce agli organismi dirigenti locali e alle loro istanze. Noto segnali di risveglio di un riformismo forte. Temi come coesione sociale, lavoro e sicurezza vanno però modulati a seconda dei territori. Senza scimmiottare nessuno, ma bisogna muoversi in quella direzione».
Marco Imarisio
25 giugno 2009
A metà strada, praticamente come il Pd.
«Non oso immaginare cosa sarebbe successo se dopo aver in qualche modo tenuto alle Europee fossimo crollati ai ballottaggi. Invece: non certo un trionfo, ma neppure una disfatta».
Franceschini o Bersani?
«Trovo che la conferma dell’attuale segretario sia necessaria, addirittura indispensabile».
Lei non era amico di Bersani?
«Ad essere in discussione non sono le sue qualità, ma la necessità di un cambio, proprio ora che stiamo trovando una relativa stabilità sulla quale costruire. A un segretario si deve dare tempo per sviluppare un mandato, e Dario questo tempo se l’è guadagnato con tanto lavoro».
A proposito, quale mandato?
«Quello che gli affiderà il congresso. Altrimenti, andando avanti con i duelli sulla leadership, si procede nel solco di quei cicli brevi e isterici che hanno segnato la vita del Pd. Siamo nati nel mezzo di una tempesta elettorale, Veltroni si è dimesso dopo la sconfitta in Sardegna, Franceschini si è concentrato sulla sopravvivenza del progetto in vista di questa tornata. Se eleggiamo Bersani e non va bene alle Regionali del 2010, che succede, si cambia un’altra volta?»
Ma non dovrebbe essere il candidato di quella sinistra da lei tanto invocata?
«Credo invece che Franceschini sia la persona giusta per dare maggiore visibilità a una cultura laburista nel Pd. Molti di noi ex socialisti e comunisti vengono da lì. Ma è qualcosa che appartiene anche a lui. La cultura riformista cattolica ha il suo perno nel lavoro. Ecco, è questa dimensione 'di sinistra' che deve essere maggiormente rappresentata nel partito».
Bersani non le sembra un candidato di sintesi. È così?
«Diciamo che non sono un sostenitore del cosiddetto ticket, una parola che in politica dà sempre il messaggio di due diverse culture tenute insieme con il Bostik. Invece, le differenti anime devono essere riconosciute e unite nei gruppi dirigenti. Mi sembra che Dario ci stia riuscendo».
Il «suo» Franceschini punta molto sulla contrapposizione tra nuovo e vecchio.
«Nei fatti, il ricambio generazionale va aiutato con la disponibilità di quelli che non sono più giovani a prendersi responsabilità importanti ma non primarie».
Auguri.
«Si deve fare, invece. Senza buttare i giovani nel calderone, creando per loro un percorso formativo».
Che terminerà in tempo per le amministrative del 2070...
«Al contrario. Bisogna fare in fretta, ma evitando di bruciare risorse. Io diffido delle improvvisazioni. Nella mia vita precedente, sono diventato segretario della Cgil a 45 anni, il secondo più giovane dopo Di Vittorio. E di esperienza ne avevo accumulata parecchio. Quello che io chiamo percorso formativo deve cominciare e finire quando si è ancora giovani. Oggi invece non se ne intravedono la fine e lo sbocco finale. Ma la situazione deve cambiare, pena l’estinzione del Pd».
Favorevole o contrario al congresso?
«Che si faccia, ma solo per definire la linea. E già che ci siamo, per cancellare uno Statuto che rappresenta una delle strutture politiche più insensate degli ultimi decenni».
Il dato più importante di questo voto?
«Il risultato di Filippo Penati. La sua sconfitta somiglia molto a una vittoria. A Milano ha preso più voti dell’avversario. Parliamo della città che rappresenta la nota più dolente del centrosinistra. Questo risultato dimostra che in realtà possiamo farcela».
Penati sindaco?
«Sarebbe l’uomo giusto. Il suo profilo è quello che l’intero Pd dovrebbe avere: riformista, capace di tenere insieme il tema della sicurezza con quello della solidarietà e di far coincidere la tutela degli interessi del suo territorio con l’interesse nazionale. Averne».
Torniamo a parlare di Pd del Nord?
«Chiamiamolo piuttosto coordinamento territoriale, qualcosa che dia comunque voce agli organismi dirigenti locali e alle loro istanze. Noto segnali di risveglio di un riformismo forte. Temi come coesione sociale, lavoro e sicurezza vanno però modulati a seconda dei territori. Senza scimmiottare nessuno, ma bisogna muoversi in quella direzione».
Marco Imarisio
25 giugno 2009
4 commenti:
Debora Serracchiani e la corsa al Congresso.
In questi giorni in cui le Istituzioni chiedono il silenzio intorno all'inchiesta di Bari, così da consentire al Cavaliere di non doversi presentare al G8 truccato di bianco e con un simpatico naso rosso, la scena politica s'anima d'altre storie... tra cui la corsa al congresso del Partito Democratico.
L'11 Ottobre sapremo chi sarà il nuovo leader del partito, al quale toccherà l'arduo compito di reggere le fila di un battaglione ormai stanco e ferito, consegnando nuova identità e nuova spinta ad un progetto che rischia di trasformarsi nel fuoco di paglia più clamoroso della storia della politica italiana.
Ai blocchi di partenza abbiamo il segretario "tecnico" Dario Franceschini e, come annunciato mesi fa, l'ex-ministro Pierluigi Bersani. Non voglio dilungarmi troppo a parlare di questi due, a mio avviso, bravissimi politici, perché penso seriamente che nessuno dei due rappresenti ciò che è necessario per dare nuovo lustro a questo progetto.
Bersani ha detto che "bisogna ricostruire il partito" e che lui, a differenza dello sfidante, "non parla di vecchio e nuovo". Scusate, ovvio che non parli di vecchio e di nuovo, rischierebbe lui stesso di trovarsi in imbarazzo al momento della collocazione.
Proseguo ribadendo, come spesso ho fatto, la mia stima e i miei complimenti a Franceschini, il quale è riuscito nel difficilissimo compito di "tenere botta" alle europee e a non far implodere il partito nel post-Veltroni.
Tuttavia ritengo il suo compito esaurito. Doveva essere il traghettatore tra due generazioni, quella del "vecchio" (o nuovo?) Bersani e dei suoi attempati coetanei (non anagrafici, ma mediatico-politici) come Prodi, D'Alema, Veltroni, Rutelli, Bindi, Fassino, ecc... e la VERA nuova e INEDITA generazione politica.
Ragazzi miei, ci vogliono persone che non si sono mai viste prima!
Persone che non hanno ricoperto prima d'ora ruoli di spicco nel partito nazionale, persone che non sono già state "consumate" dall'opinione pubblica, persone che si sono fatte le ossa all'interno del partito lavorando sul territorio, persone che arrivano a questo importante appuntamento per TUTTO il centrosinistra italiano svincolate il più possibile da vecchie divisioni e appartenenze.
Rischiamo che con questo "bipolarismo" interno tornino a galla vecchi rancori neanche troppo sopiti, che porterebbero molto probabilmente a nuove tensioni e scontri pubblici, riuscendo a dare per l'ennesima volta la patetica immagine di essere un partito diviso su tutto e su tutti.
Per questo spero con tutto me stesso nell'OUTSIDER e, tra tutti i nomi che circolano (Ignazio Marino, Marco Simoni, Giuseppe Civati), spero che si presenti DEBORA SERRACCHIANI.
Sono fermamente convinto che in un Paese come l'Italia, dove l'apparenza, negli ultimi anni, vale più della sostanza, sia necessario "giocare" sfruttando le regole ormai assunte della società in cui stiamo vivendo.
Con questo non voglio dire che queste regole siano da condividere, ma ritengo sia inutile ignorarle facendo gli intellettuali di sinistra.
Il gioco è questo, che lo vogliamo o no, occorre attrezzarsi con una figura nuova e giovane capace di catturare lo "share elettorale" (mi piace chiamarlo così).
Che poi dietro ci debba essere una base solida e una sostanza programmatica è senza dubbio necessario.
Ci vuole un LEADER nuovo e un PARTITO DEMOCRATICO nuovo, con i suoi componenti pronti a remare tutti nella stessa direzione. Certo, le discussioni ci saranno e ci devono assolutamente essere, ma vanno risolte all'interno del partito e nei luoghi a questo adibiti.
Una linea CHIARA e COMUNE, chi non è d'accordo può andarsene.
Ascoltate il discorso di Debora all'Assemblea Nazionale dei Circoli, non c'è bisogno di aggiungere nulla.
http://fabiopari.blogspot.com/
Un commento davvero impeccabile Fabio, hai pienamente ragione.
Ma ho il dubbio, il sospetto se non il timore che i nomi che hai fatto non ce la faranno a scalzare i dinosauri del partito, quelli non mollano, sono attaccati alla poltrona (del partito) come le patelle alle rocce del mare, ci vuole il coltello apposito per staccarle.
Fra poco ascolterò il discorso di Debora, poi replicherò ancora.
Caro Fabio, ti devo chiedere scusa, pensavo si trattasse di nuovi interventi di Debora, l'ho già sentita e anche pubblicata sul mio blog.
Poi si è visto com'è andata a finire alle europee.
Politicamente Debora ha insieme idee chiare e poca esperienza, è un volto simbolo, ma non basta.
Vorrei suggerirti di leggere il post odierno su ciò che ha detto Di Pietro al videofrum di Repubblica, che io ho ascoltato (non lo trovi nel post, che riassume le cose dette da Di Pietro).
Se si continua a pensare all'IdV come ha fatto Debora qualche tempo fa, si incappa in un errore politico madornale.
Tieni presente che Berlusconi fino ad oggi ha sbaragliato D'Alema, Veltroni, ed altri che non mi vengono in mente.
Non ce l'ha fatta con Romano Prodi, ma ci hanno pensato i due sullodati a fare il lavoro di Berlusconi, buttando giù il I° e II° governo Prodi.
Però vorrò sentire ciò che dirà Debora al congresso di Ottobre, dove sicuramente prenderà la parola.
Io sono certo che appoggerà Franceschini, non c'è alternativa.
Debora vuole raccogliere i voti di protesta del PD contro i leader che lo hanno demolito, l'ha fatto alle europee, adesso è tempo di meditare per le politiche del 2013.
Il governo Berlusconi non cadrà nè l'ineffabile Silvio si dimetterà, nonostante la fronda che si avverte nel PdL.
Dunque, la sinistra, intesa come opposizione, dovrà fare i conti con chi sta all'opposizione, non
solo con l'IdV ma anche con l'UDC.
Diversamente, sarà condannata a non governare.
Ho detto.
Concordo Luigi, il PD andando avanti di questo passo è destinato ad estinguersi.Un leader non si elegge, dev'essere un trascinatore di folle a prescindere, e non mi pare se ne veda qualcuno all'orizzonte in questo schieramento.Dovrebbero lasciar perdere con questi annunci disfattisti e, visto che Franceschini ha salvato il salvabile, lasciare le cose così come stanno, senza queste continue nomine che sanno di stantio.La gente è stanca di "novità" vecchie come le piramidi.Franceschini trascinatore di folle non è, ma con il suo "visino" da bravo ragazzo ha raccolto qualche consenso in più....Dovrebbero aspettare pazientemente un vero leader carismatico...Campa cavallo!! Con tutti stì incollati alle poltrone con il cemento armato!
La Serracchiani è inesperta, non è abbastanza preparata per poter controbattere le "vecchie volpi".Un'Emma Bonino sarebbe niente male...ma appartiene già ad un altro partito,nnaggia!!
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