giovedì 25 giugno 2009

Deserto rosso dal Ticino a Trieste




Già dal nome si capisce che Ivan Malavasi fa parte dell'album di famiglia della sinistra. Iscritto per la prima volta al Pci nel 1967, quando aveva 19 anni, oggi è il presidente degli artigiani della Cna. Quegli artigiani che erano «rossi» e oggi «votano indifferentemente Pdl, Le­ga e Pd decidendo volta per volta». Dai sondaggi interni, che Malavasi e i suoi fanno di tanto in tanto, viene fuori, infat­ti, che il voto d’appartenenza non esiste più e gli artigiani della Cna non si sento­no in dovere di votare Pd. Anzi. A Varese tra i sette vice-presidenti della Cna me­no della metà vota centro-sinistra e grosso modo le stesse proporzioni si ri­trovano tra i membri del consiglio pro­vinciale.

La débâcle elettorale dei Democratici nel Lombardo-Veneto si spiega anche così con la diaspora dei «suoi» artigiani che segue la fascinazione leghista sulla classe operaia. Se non ci fossero le am­ministrazioni di Mantova, Padova e alla Provincia di Rovigo per i progressisti sa­rebbe un deserto politico, un’immensa zona no left dal Ticino a Trieste. «In que­ste terre oggi c’è disagio, quasi rabbia, verso la politica e la sinistra paga il prez­zo più salato per l’ormai cronica incapa­cità di interpretare bisogni e aspettative dei ceti produttivi» sostiene Malavasi. Lo scollamento si percepisce anche tra gli otto milioni di iscritti alla Lega Coop. Una volta il voto rosso andava in auto­matico, oggi non più. Il mondo della co­operazione si sente trascurato dal Pd e i dirigenti della Lega Coop hanno sotto­scritto con il governo la riforma del siste­ma contrattuale, quella avversata con ogni forza dalla Cgil e da tanti dirigenti del partito. Un’indagine realizzata in Ve­neto già qualche anno fa dalla Coop Adriatica è arrivata alla conclusione che il 40% dei soci coop potevano essere con­siderati elettori piuttosto fedeli del cen­tro- destra. Alle cooperative rosse ora ci si iscrive perché danno buoni servizi e offrono prezzi bassi ma poi la separazio­ne con le scelte politiche è nettissima.

Le organizzazioni economiche che rappresentavano il retroterra della sini­stra ora camminano per conto proprio, fanno e disfano le alleanze e non hanno bisogno di parenti ingombranti e per di più con le idee annebbiate. Le imprese di costruzioni della Lega Coop, come la Cmb di Carpi, sono apprezzate anche fuori dall’Emilia, in Lombardia per esem­pio, e sono presenti nei lavori per il Tea­tro alla Scala o per le infrastrutture di ter­ritorio. Nel mercato dell’interinale Lega Coop e Compagnia delle Opere hanno costruito una società comune, Obiettivo Lavoro. La grande crisi non ha spazzato via le coop abituate da sempre a fare da ammortizzatore sociale e così rinuncian­do agli utili e stringendo la cinghia sono riuscite ad evitare i licenziamenti di mas­sa. A Varese, dove pure opera la più com­patta Confartigianato d’Italia, attorno al­la Cna girano circa 5 mila imprese. «Più siamo distanti dalla politica più siamo credibili» sostiene il presidente provin­ciale Davide Parolo, titolare di un’autoffi­cina. La lontananza dai partiti è così pa­gante che Malavasi pensa che si debba dar vita ad una grande Federazione dei Piccoli che unisca tutte le rappresentan­ze dei piccoli imprenditori, degli artigia­ni, dei commercianti e della cooperazio­ne, anche se è evidente che scaverebbe un solco ancora più ampio con il Pd. Ognuno per la sua strada e addio al colla­teralismo. «La sinistra politica ha sba­gliato a snobbare i piccoli, è stato un er­rore storico privilegiare la Cgil, la Cisl o la Confindustria. La concertazione roma­na non rappresenta l’interesse genera­le » dichiara Laura Puppato, sindaco Pd (con partita Iva) di Montebelluna e neo-eletta al Parlamento europeo.

La Puppato è una delle poche eccezio­ni perché in quasi tutti gli altri distretti industriali il centro-destra prevale. Uno studio fatto lo scorso anno dalla Fonda­zione Edison ne aveva elencati ben 46 nei quali la coalizione capeggiata da Sil­vio Berlusconi aveva vinto. Anzi stravin­to, visto che in 33 casi la percentuale era stata fra il 73 e il 60%. L’unica eccezione del campione era rappresentata dal di­stretto delle piastrelle di Sassuolo (caro a Romano Prodi) dove il centro-destra alle politiche si era fermato al 43,4%. Ma ieri nonostante la costante presenza e at­tenzione di due ex ministri come Pierlui­gi Bersani ed Enrico Letta, il Comune ha cambiato di segno ed è passato alla de­stra. «Gli uomini e le donne del Pd non conoscono la realtà della piccola impre­sa, anzi la disprezzano e quando è l’ora delle urne sono ricambiati con eguale moneta» sostiene il deputato del Pd Ni­cola Rossi. «È inutile imbarcare i Cola­ninno e i Calearo quando tutti ricordano le scelte del ministro Visco, la rappresen­tazione di un fisco totalmente sordo. Ha abbassato l’aliquota dell’Ires e l’ha finan­ziata riducendo la deducibilità degli inte­ressi passivi. Una mazzata per le piccole imprese che si erano indebitate per fare investimenti. Al momento del voto non si dimentica».

Con il responso delle urne «è stata di­sarcionata anche la strategia imperniata sul ruolo degli amministratori come Chiamparino, Penati e Cacciari» com­menta Carlo Cerami, coordinatore lom­bardo della Fondazione Italianieuropei che sta per organizzare il 30 a Milano il primo appuntamento pubblico della si­nistra dopo il voto. Si parlerà del futuro delle banche italiane e saranno presenti i big del credito e dell’impresa. Ma così non rischiate di avvalorare la tesi leghi­sta che vi presenta come banco-centrici e filo-confindustriali? «Non sarà una passerella per banchieri, cercheremo di costruire un ponte tra finanza e territo­ri. Se imprese e credito non si parlano i piccoli vanno in ulteriore sofferenza» as­sicura Cerami, ma è cosciente del ri­schio. Il Pd nei grandi alberghi e la Lega per strada.

In termini di Pil la Lombardia e il Nord Est rappresentano 530 miliardi di euro, il 34% del Pil nazionale, una quota quasi interamente composta da ricchez­za prodotta dai privati. Su questa ma­cro- regione dal Ticino a Trieste sventola­no le bandiere del centro-destra che si considera tanto forte da poter mettere in calendario per il prossimo anno un derby tra Pdl e Lega per la supremazia in Lombardia e Veneto. Tanto la sinistra non prenderà palla comunque. L’egemo­nia della destra è così forte da reggere anche agli scossoni dello scontento dei piccoli imprenditori. La crisi, secondo i modelli della scienza politica, dovrebbe avvantaggiare le opposizioni, specie se di sinistra. Invece sta succedendo il con­trario, il Pdl non paga dazio e la Lega cre­sce sullo scontento degli operai che pre­sidiano i cancelli e dei commercianti che rischiano di chiudere.

Annota Rossi: «Chi si stupisce do­vrebbe sentir parlare in Parlamento i le­ghisti. Sui problemi della piccola im­presa sono preparatissimi. Pdl e Pd in­vece in questo si assomigliano, parla­no per sentito dire». Secondo Parolo (Cna) la rabbia dei piccoli imprendito­ri non segna ancora un divorzio dal centro-destra perché comunque «pen­sano che a palazzo Chigi ci sia un gover­no amico», nonostante che «sugli stu­di di settore il governo li abbia lasciati a terra». Ma la spiegazione più tran­chant viene da Nicola Rossi: «Non pro­muovo il governo, tutt’altro. Ma se un artigiano deve scegliere tra Sacconi e Damiano, tra Brunetta e Nicolais che pensate che faccia? Sacconi ha comun­que semplificato il regime di assunzio­ni e licenziamenti e Brunetta a modo suo sta lottando contro la pubblica am­ministrazione inefficiente. Il Nord a queste cose è attento».


Dario Di Vico
24 giugno 2009

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