
Scorrevo distrattamente le notizie d’agenzia, ieri pomeriggio, quando ho letto che un ministro teme seriamente “la fine della democrazia”, evento che potrebbe verificarsi già domenica prossima: se passasse il referendum.
Per un attimo mi sono preoccupato, cominciando a chiedermi in quale paese sarei potuto emigrare per sfuggire alla dittatura.
Poi ho visto il nome del ministro: era il leghista Calderoli, quello che definì “una porcata” la sua legge elettorale (per l’appunto oggetto del referendum).
Allora ho posato l’atlante.
Subito dopo ho saputo che un altro leghista Maroni – nientemeno che ministro dell’Interno – vuole far mettere “cartelli chiari” di sua invenzione nei seggi elettorali (magari attaccati dalle ronde padane, e magari con lo storico motto che lui ha lanciato ieri a Pontida: “Chi l’ha duro la vince”).
A quel punto ho tirato un sospiro di sollievo definitivo.
Una democrazia che può permettersi di avere due tipi così come ministri – e sopravvive senza troppi problemi – è tecnicamente inaffondabile.


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