Sotto la guglia della Mole Antonelliana il Museo del Cinema di Torino conserva un piccolo cielo antico. E’ racchiuso in 174 vetri per lanterna magica: complessivamente 324 immagini che rappresentano un centinaio di oggetti e fenomeni astronomici: comete, pianeti, nebulose, costellazioni, eclissi di Luna e di Sole, maree, fasi lunari, stagioni della Terra, macchie solari. La proiezione di questi vetri, databili tra il 1830 e il 1860, torna a incantare gli spettatori sull’onda delle iniziative dell’Anno Internazionale dell’Astronomia: oggi, 21 giugno, solstizio d’estate, alle ore 19 ne parlerà al Planetario di Torino Donata Pesenti, illustre studiosa del pre-cinema e custode di questo prezioso patrimonio che mette insieme scienza, arte e poesia con le nobili finalità didattiche tipiche dell’epoca positivista.
Per tradizione si fa nascere il cinema il 28 dicembre 1895 quando Louis Lumière dà il via a proiezioni regolari nella sala del Grand Café sul Boulevard des Capucines, a Parigi. I primi film erano brevi spezzoni di realtà: l’uscita degli operai dalle officine Lumière di Lyon, l’arrivo di un treno alla stazione, le onde del mare, un bambino che piange. Ad accendere la meraviglia degli spettatori bastava il tremulo riflesso della vita sullo schermo. Con “L’arrosseur arrosé”, l’innaffiatore innaffiato, esordisce il genere comico. La storia delle immagni fotografiche in movimento però era iniziata più di vent’anni prima, e pochi sanno che le origini del cinema devono molto alla scienza, e in particolare all’astronomia.
Per osservare da Nagasaki, in Giappone, il transito di Venere davanti al Sole dell’otto dicembre 1874, Pierre Jules César Janssen (foto), nato nel 1824 e morto nel 1907, aveva inventato un “revolver fotografico” in grado di riprendere 48 immagini (dagherrotipi) in 72 secondi. Il materiale sensibile alla luce era disposto lungo il bordo di un disco messo in rotazione da un meccanismo a orologeria con ingranaggio a croce di Malta che fermava la ruota nell’istante della posa a fenditura aperta: qualcosa di simile al tamburo di una pistola ma con i fotogrammi al posto dei proiettili. In questo modo Janssen riuscì a documentare con inedita precisione l’ingresso e l’uscita di Venere nel suo passaggio davanti al disco solare. La cosa era all’epoca di notevole interesse per vari motivi. Prima di tutto i tempi e la posizione del transito servivano a migliorare la conoscenza della distanza Terra-Sole. In secondo luogo la documentazione fotografica doveva fornire informazioni sull’atmosfera del pianeta e chiarire il fenomeno della “goccia nera”, connesso alla psicologia delle percezione visiva. Di fatto, proiettate di seguito, le immagini riprese con il “revolver fotografico” costituivano un piccolo film. L’idea di Janssen fu così apprezzata che gli astronomi inglesi la copiarono.
Sempre per motivi scientifici, al revolver seguì il “fucile fotografico” del fisiologo francese Etienne-Jules Marey (1830-1904), descritto su “Nature” il 22 aprile 1882. Scattava 12 fotogrammi al secondo. Marey lo usò per studiare il volo dei gabbiani e i movimenti degli animali e del corpo umano troppo veloci per essere colti dall’occhio. Marey fu anche inventore di macchine per lo studio del cuore, della respirazione e della circolazione del sangue. La fotografia di corpi movimento ne fa un pioniere non solo del cinema scientifico, ma del cinema “tout court”.
La scena si sposta poi a Palo Alto, in California e il protagonista questa volta è il fotografo Eadward Muybridge (1830-1904). Siamo nel 1878. La questione da risolvere riguarda il galoppo dei cavalli. Con quale alternanza l’animale muove le zampe? Durante la corsa almeno una zampa tocca sempre il suolo o ci sono fasi del galoppo nelle quali il cavallo “vola” sopra il terreno? L’occhio umano non riesce ad afferrare un fenomeno così veloce. Muybridge pensò allora di ottenere immagini in sequenza collocando macchine fotografiche a distanze regolari. Ad azionarle erano dei fili di lana che il cavallo strappava galoppando lungo il percorso. Lo strappo faceva scattare un grilletto, che “sparava” la foto. Il verdetto non lasciò dubbi: il cavallo al galoppo procede staccando le quattro zampe dal terreno. L’esperimento fu poi ripetuto con un uomo e una ragazza nudi. L’uomo correva e lanciava un pallone. La ragazza si infilava sotto le lenzuola. Grazie all’audacia della ripresa, difficilmente giustificabile con esigenze scientifiche, la deambulazione umana probabilmente risultò più interessante di quella equina. Muybridge si allontanò temporaneamente dall’arte fotografica nel 1874, quando scoprì che sua moglie lo tradiva con un amante: usò il fucile non per fotografarlo ma per ucciderlo. Gli andò bene, fu assolto, un giudice fin troppo magnanimo ritenne quell’omicidio “giustificato”.
2 commenti:
Articolo interessante, non sapevo di questo Janssen.
Scoperta importante la sua, intendo la prima, quelle delle foto in sequenza ... :))
Prima ed unica.
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