sabato 18 luglio 2009

Consulta, no ai magistrati "schierati" (anche se fuori ruolo)



(Vittorugo Mangiavillani e Roberto Ormanni)
17 lug 2009


I magistrati non possono iscriversi ai partiti politici, assumere incarichi ed apparire "organicamente schierati". La Corte costituzionale nel riaffermare il principio sulla libertà anche dei magistrati di condividere "una idea politica", ribadisce che è vietata l'iscrizione ai movimenti e partiti politici, ma per la prima volta va oltre. Pone dei paletti insuperabili ed estende il divieto assoluto anche alla partecipazione sistematica alla vita dei partiti politici e, quindi, ad assumerne incarichi al loro interno o per loro conto ed in loro rappresentanza o ad apparire "organicamente schierato". La decisione della Corte depositata oggi fa seguito alla richiesta della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di dichiarare illegittima la norma dell'ordinamento giudiziario che non fa differenza fra il divieto di iscrizione ai partiti e le generica partecipazione alla vita politica. Vicenda assurta alle cronache del Csm quando alcuni consiglieri chiesero una azione disciplinare nei confronti del magistrato Luigi Bobbio, nominato presidente della federazione provinciale di Napoli di Allenza Nazionale. Secondo la sentenza della Consulta, redattore il giudice Paolo Maddalena, “i magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, secondo comma, e 104, primo comma, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giudiziarie, ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialità”.

Proprio in questa prospettiva, nel bilanciamento tra la libertà di associarsi in partiti, tutelata dall’art. 49 Cost., e l’esigenza di assicurare la terzietà dei magistrati ed anche l’immagine di estraneità agli interessi dei partiti che si contendono il campo, l’art. 98, terzo comma, Cost. ha demandato al legislatore ordinario la facoltà di stabilire "limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati" (nonché per le altre categorie di funzionari pubblici ivi contemplate: "i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero"). “La Costituzione, quindi, se non impone, tuttavia consente – si legge sempre nel dispositivo - che il legislatore ordinario introduca, a tutela e salvaguardia dell’imparzialità e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario, il divieto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati: quindi, per rafforzare la garanzia della loro soggezione soltanto alla Costituzione e alla legge e per evitare che l’esercizio delle loro delicate funzioni sia offuscato dall’essere essi legati ad una struttura partitica che importa anche vincoli gerarchici interni”.

La norma impugnata dal Csm secondo la Consulta ha invece dato “attuazione alla previsione costituzionale stabilendo che costituisce illecito disciplinare non solo l’iscrizione, ma anche "la partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici": accanto al dato formale dell’iscrizione, pertanto, rileva, ed è parimenti precluso al magistrato, l’organico schieramento con una delle parti politiche in gioco, essendo anch’esso suscettibile, al pari dell’iscrizione, di condizionare l’esercizio indipendente ed imparziale delle funzioni e di comprometterne l’immagine. Non è ravvisabile, pertanto, alcuna violazione dei parametri costituzionali invocati dal giudice rimettente, perché, nel disegno costituzionale, l’estraneità del magistrato alla politica dei partiti e dei suoi metodi è un valore di particolare rilievo e mira a salvaguardare l’indipendente ed imparziale esercizio delle funzioni giudiziarie, dovendo il cittadino essere rassicurato sul fatto che l’attività del magistrato, sia esso giudice o pubblico ministero, non sia guidata dal desiderio di far prevalere una parte politica”.

Non solo, la Consulta per la prima volta chiarisce che il rispetto delle norme sull’imparzialità ecc. dei magistrati vale anche quando essi sono fuori ruolo: “In particolare, non contrasta con quei parametri l’assolutezza del divieto, ossia il fatto che esso si rivolga a tutti i magistrati, senza eccezioni, e quindi anche a coloro che, come nel caso sottoposto all’attenzione della Sezione disciplinare rimettente, non esercitano attualmente funzioni giudiziarie. Infatti, l’introduzione del divieto si correla ad un dovere di imparzialità e questo grava sul magistrato, coinvolgendo anche il suo operare da semplice cittadino, in ogni momento della sua vita professionale, anche quando egli sia stato, temporaneamente, collocato fuori ruolo per lo svolgimento di un compito tecnico”. Per questi ed altri motivi la Corte ha stabilito che la richiesta del Csm “ non è fondata”. Questa sentenza darà sicuramente il via a polemiche e "ricorsi". Sono infatti molti i magistrati che seppure posti fuori ruolo dalla magistratura, si trovano (sindaci come quello di Bari Michele Emiliano, ministri e ministri "ombra" e sottosegretari come Alfredo Mantovano, Nitto Palma e Lanfranco Tenaglia, presidenti di regioni o province, responsabili dei partiti per i problemi della giustizia, vertici di gruppi parlamentari come Anna Finocchiaro, ecc...) in conflitto con l'interpretazione estensiva che la Consulta stabilisce in questa sentenza.

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