domenica 26 luglio 2009

Pd, scatta l'ora della zuffa. Gelo tra Bersani e Franceschini


di Claudia Terracina


A parole, tutti dicono di volere l’unità, ma ormai nel Pd la tensione è altissima. E ieri è andato in onda un vero e proprio corto circuito tra Franceschini e Bersani, che assicurano di «voler discutere a viso aperto perchè a questo servono le assise del partito», ma poi evitano perfino di incontrarsi. Presenti tutti e due a L’Aquila per il G1000 i due si sono sfiorati, senza incrociare mai le proprie strade. Un caso a parte è quello di Ignazio Marino, chirurgo e candidato anch’esso alla segreteria del Pd, ancora invischiato nella polemica sulle note spese contestate dall’università di Pittsburgh, rispetto alla quale riceve solidarietà da parte dei colleghi senatori e della segretari del partito, ma anche tante richieste di ulteriori chiarimenti.

«I candidati misurino le parole prima di pronunciarle», ammonisce Arturo Parisi, che aveva profetizzato l’inasprirsi di un confronto «tutto basato sulla simpatia personale». Ma tocca a Rosy Bindi, di solito abituata a parlar chiaro, mettere ulteriore pepe nella minestra con un’intervista a ”La Stampa”, nella quale invita Francesco Rutelli, che sostiene Franceschini, «a farla finita con le ambiguità». «O si è convinti di un progetto, o meglio dirlo con chiarezza e tirarne le conseguenze - avverte - o Rutelli si mette in testa che il Pd non può essere un partito nel quale non si riconosce anche la sinistra, o viene il dubbio che sotto tanti distinguo si celi un pretesto». Apriti cielo. Durissima la replica del segretario. «Sono allibito - dichiara Franceschini - nessuno può dire a uno dei fondatori del Pd che se non è d’accordo deve accomodarsi fuori. Io sono orgoglioso delle nostre diversità e che mi sostenga un arcipelago così ricco». Ma la Bindi non si fa intimidire e avverte: «Attento, Dario, così cadi nel dipietrismo e nel grillismo».

Ed è proprio sulla concezione di partito e sull’identità che si infiamma il dibattito con Bersani, il quale chiede comunque «più sobrietà nel dibattito congressuale». L’ex ministro ieri mattina ha chiarito che «i grandi valori, gli ideali della sinistra, devono trovare un modo per rivivere nel Partito democratico, io non ho incertezze, non avrei mai potuto candidarmi a fare il segretario senza poter pronunciare la parola sinistra». E ha confidato di essere stato colto «da un senso di panico quando in questi primi 20 mesi mi sono accorto che la parola sinistra perdeva cittadinanza nel Pd». Ribatte Franceschini: «Perchè limitarci sempre a denunciare i nostri errori? In questi 20 mesi abbiamo fatto anche cose molto buone e dobbiamo rivendicarle. E per me- rivendica- un partito solido e radicato non significa volere un partito del secolo scorso. Una volta ci si iscriveva ad un partito e quella era l'unica modalità con cui partecipare alla politica, oggi i modi di partecipazione sono tanti». A dargli man forte arriva Beppe Fioroni, che, rivolgendosi a D’Alema, avverte: «Non accetto che chi è iscritto dalla culla parli di rinnovamento guardando sempre agli altri. Tra noi e Bersani - aggiunge - c'è una profonda differenza che non riguarda gli slogan, ma la rappresentazione dell'intera società. Non solo i simili e gli omologati. Guardate noi come siamo assortiti se ci siamo sia io che la Serracchiani. Loro invece vogliono rifare un partito della sinistra che pensa di poter vincere».

2 commenti:

Francy274 ha detto...

La mia ignoranza mi impedisce di capirli...o forse proprio nella mia ignoranza li capisco bene, certo è che se vanno avanti di questo passo il partito decollerà alla grande...ma temo che si ritroverà in orbita a girare in qualche sperduta galassia...boh, non so!

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Vecchia D.C. e vecchio P.C.I., il rischio è la dossoluzione e, paradossalmente, si spezzerebbe in tal caso anche l'unità del PdL.
Leggi i post odierni, ne troverai uno che ne discute