domenica 26 luglio 2009

Tremonti e il silenzio del Sud


26/7/2009
MARCELLO SORGI

Anticipata qualche giorno fa proprio dalla Stampa, la nascita del Partito del Sud (o dei partiti, visto che non è ancora chiaro se alla fine sarà uno solo) ha avuto l’effetto di una scossa sulla già nervosa politica italiana. Quanto salutare, non si sa. Ma certo non destinata ad esaurirsi come tempesta in un bicchier d’acqua.

Uno dopo l’altro, al solo annuncio del primo incontro dei «sudisti» più vicini al sottosegretario Gianfranco Miccichè, si sono alzati a protestare gli ex An confluiti nel Pdl, a cominciare dal capogruppo al Senato Gasparri, che temono che il nuovo partito possa insidiargli i redditizi feudi meridionali; e ovviamente i leghisti, a partire dal ministro Calderoli, che non vedono di buon occhio l’iniziativa di una sorta di Lega del Sud; oltre a vari esponenti del Pd, per le avances fatte dal governatore siciliano Lombardo a ras dei consensi e amministratori locali come Bassolino e Loiero.

Tutti, più o meno direttamente, si rivolgevano a Berlusconi per chiedergli di riportare all’ordine il più irrequieto dei suoi proconsoli siciliani.

Ossia quel Miccichè che alle elezioni politiche del 2001 portò in dote al Cavaliere il clamoroso risultato del «61 a zero» nei collegi dell’isola.

Ma Berlusconi, al contrario da quanto fa di solito, ha taciuto anche dopo un lungo faccia a faccia con il sottosegretario, e soprattutto non ha fatto nulla per trattenerlo. Così si è arrivati a venerdì, quando la rabbia dei meridionali del governo è esplosa, prima in uno scontro in consiglio dei ministri tra il responsabile delle Regioni Fitto e quello dell’Economia Tremonti, poi nell’assenza al voto di fiducia sul decreto anticrisi dei parlamentari del centrodestra che fanno capo a Miccichè e a Lombardo.
Il giorno prima la ministra dell’Ambiente Prestigiacomo, considerata la futura leader del partito che sta per nascere, s’era trovata a un passo dalle dimissioni, per protestare contro «l’arroganza» dei colleghi Scajola, Matteoli e Calderoli, che vorrebbero escluderla dalla partita del ritorno al nucleare. A questo punto il premier s’è reso conto che non poteva più tacere. Oltre a rassicurare la Prestigiacomo, ha annunciato un suo prossimo piano per il Mezzogiorno e ha detto che intende muoversi per affrontare il malcontento del Sud, dove il centrodestra raccoglie, lo ha ricordato lui stesso, «il 77 per cento dei consensi». Subito dopo, a sorpresa, anche Bossi ha appoggiato la nuova linea del Cavaliere.

Dopo così pochi giorni di discussione, e senza neppure che il partito annunciato sia stato effettivamente fondato, è un risultato da non trascurare. Ma in un dibattito articolato finora tra spontaneismo e confusione, e molto più nei corridoi della politica che non nelle dichiarazioni pubbliche, c’è un’assenza pesante che s’è fatta notare. Quella, appunto, del ministro Tremonti, su cui i ribelli concentrano le loro mire e che accusano di aver voltato le spalle al Sud e piegato la politica del governo solo agli interessi del Nord.

Naturalmente c’è un che di approssimativo, propagandistico, per non dire grossolano, in questo genere di accuse. Tremonti, dopo Berlusconi, è il personaggio più eminente del governo. Il suo prestigio internazionale è aumentato grazie al fatto di aver intuito prima di tutti l’arrivo della crisi economica mondiale, anticipandone le conseguenze nel suo libro La paura e la speranza. Anche per questo, nel recente G8 dell’Aquila è stato al centro della definizione del Global standard, la nuova agenda globale decisa dai leader del mondo.

Inoltre il ministro è portatore, non da oggi, di una diversa concezione del primato della politica e del ritorno delle regole, contro il «liberismo» e il «mercatismo» puri che hanno dominato negli ultimi anni. E di conseguenza è anche un avversario dichiarato dei «poteri forti», delle grandi imprese quando esorbitano dai loro interessi specifici, delle grandi banche, del potere bancario, e perfino del Governatore della Banca d’Italia, perché li immagina, non sempre a ragione, come una serie di soggetti che si muovono, senza mandato popolare, per contrastare, o non sempre per accompagnare, le legittime politiche dei governi.

Brillante, fantasioso per unanime riconoscimento, il responsabile dell’Economia è abituato a difendere con convinzione le sue scelte, anche quelle discutibili. Fu sua, ad esempio, l’iniziativa della Robin Hood tax, mirata verso le banche e le compagnie petrolifere. E ancora sua la polemica sulla mancanza di una Banca del Sud, quando tutti gli istituti di credito meridionali, per effetto delle concentrazioni bancarie, passarono sotto il controllo di gruppi del Nord, con evidente rallentamento del credito e dell’assistenza alle imprese nell’area meno forte ma più popolata del Paese.

Proprio Tremonti, con uno dei suoi colpi di genio, ha concentrato (e bloccato) qualche mese fa, tra Presidenza del consiglio e ministero dell’Economia, in un «Fondo strategico» tutti i finanziamenti per le aree sottoutilizzate (Fas) destinati alle maggiori regioni del Mezzogiorno. E con la stessa determinazione ha voluto nel Consiglio dei ministri di venerdì il commissariamento della Sanità in Campania e Molise, mentre la ministra dell’Istruzione Gelmini annunciava contributi governativi quasi del tutto riservati alle «virtuose» università settentrionali. Il risultato di questo ennesimo giro di vite è stato il collasso, prima, e poi la rivolta del Sud e i nuovi Vespri siciliani di Miccichè e Lombardo.

Ma a questo punto non è davvero credibile che Tremonti non abbia idee sulla nuova questione meridionale. Non si interessi, non pensi a una soluzione, o peggio, la tenga coperta, in nome della sua solida alleanza con la Lega. Né è accettabile che in un momento come questo, in cui al Sud si riaffacciano quei rischi di disgregazione, così allarmanti quando si presentarono al Nord, Tremonti stia zitto. Signor ministro, questo è il momento di parlare.

1 commento:

LUIGI A. MORSELLO ha detto...

Indovinate per chi fa il tifo Marcello Sorgi?