
Sarebbe un godimento dello spirito, un vero divertimento di Ferragosto leggere la conversazione a distanza tra il ministro Luca Zaia (Politiche agricole, Lega Nord. Treviso) e Alberto Asor Rosa (italianista, accademico. Roma). Poi il commento di Andrea Camilleri (Agrigento, per l'esattezza Porto Empedocle. Scrittore), il fulmine di Paolo Villaggio (attore e regista. Genova). Asor Rosa ha detto ieri dalle nostre colonne che «i dialetti senza la cornice dell'italiano non sono più una ricchezza ma folklore, è una sciocchezza contrapporli». Era a proposito della pittoresca iniziativa leghista che traduce il suo giornale un giorno in veneziano l'altro in piemontese.
Zaia il ministro ha scritto all'Unità, ieri. Si rivolge ad Asor Rosa: «La informo, poiché nella sua dimora senese la tengono probabilmente all'oscuro...». Propone «sagge operazioni di custodia della tradizione» tipo «usare per i prodotti locali sia l'appellativo italiano che quello originario. "Radicio trevisan" accanto a radicchio di Treviso. "Pomaruoru ri Pachino" accanto a pomodoro Pachino».
Andrea Camilleri annuisce serio, poi di rimando propone di «etichettare i politici che fanno queste proposte. Luogo di provenienza, titolo di studio e denominazione locale». Quindi saluta caramente in lingua.
Il ragioner Fantozzi si infuria in ligure (è un po' generico detto così, me ne scuso. Nell'idioma di Genova ma solo centro storico; poi passa al veneto, quello di Mestre.
Sarebbe da ridere se non che, come quasi sempre in questo paese capita, dietro al grottesco si annida la tragedia. La cupezza di un progetto politico che mentre chiede cartelli bilingue a Padova e insegnanti solo locali a Varese, posti a sedere separati in autobus per milanesi doc, panchine solo per anziani di Gallarate, mentre insomma ci distrae continuamente con baggianate di varia entità persegue intanto - tenendo in ostaggio il governo intero - un disegno politico di inaudita cupezza.
Sarebbe da ridere se non che, come quasi sempre in questo paese capita, dietro al grottesco si annida la tragedia. La cupezza di un progetto politico che mentre chiede cartelli bilingue a Padova e insegnanti solo locali a Varese, posti a sedere separati in autobus per milanesi doc, panchine solo per anziani di Gallarate, mentre insomma ci distrae continuamente con baggianate di varia entità persegue intanto - tenendo in ostaggio il governo intero - un disegno politico di inaudita cupezza.
«Usano gli slang per alzare muri», ci dice Luca Morino, scrittore piemontese e cantante dei Mau Mau, sta lavorando per i 150 anni dell'Unità d'Italia ad un atlante musicale delle lingue. «Il tema non è il dialetto, che è bellissimo. È il modo in cui lo usi, cosa ne vuoi fare». Alzare muri. Dividere il paese prima in due, in Nord dal Sud: sulle «gabbie salariali» di nuovo Bossi, ieri. Altro che colpo di sole come vorrebbe far credere La Russa. Poi ridividerlo in mille, città e paesi con mura e filo spinato, espellere chiunque non sia riconosciuto come simile dai simili, ridurre gli "stranieri" in clandestinità, punire i clandestini, prendersi solo quelli che servono (le badanti, certo, per dar da mangiare ai vecchi indigeni) e cacciare gli altri. Che partoriscano in cantina, che si tolgano di mezzo. Che vadano in galera. Poi pazienza se le galere, leggetene oggi, sono in una condizione di cui vergognarsi. C'è un'idea egoista, miope, primitiva dietro a tutto questo. Un'idea di etnia che finisce per ridursi alla persona singola: io sono, io voglio, io pretendo. Io mi basto, nel giardino coi nanetti. Ribellarsi fa bene, scrivevamo ieri. Ritrovarsi in tanti. Le donne cominciano a farlo, leggete le loro lettere. Scrivetene ancora, e quando Ferragosto sarà passato ci ritroviamo qui.

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