domenica 23 agosto 2009

La vertigine da sogno ad occhi aperti


di EDMONDO BERSELLI


E SE avessi vinto io? Sogno o son desto? È il caso di chiederselo. Scusate, ho il cuore che si diverte a produrre aritmie, fibrillazioni, extrasistoli. Respiro profondamente e mi dico: sarebbe comico, o tragico, avere un infarto adesso.

Continuo a guardare la scheda del Superenalotto, controllo i numeri usciti, ma non ci sono più dubbi: ho vinto. Io, miserabile individuo inconsapevole, ho sbancato il più alto jackpot della storia.

Centoquarantasette milioni di euro, una cifra assurda. Convoco la famiglia e lì per lì naturalmente nessuno ci crede. Ragazzi, dico irritato, pensatela come volete: ma ho vinto. Se vi comportate bene, con gentilezza, se avete compassione per il mio povero sistema nervoso e per il mio cuore matto, posso anche dire "abbiamo vinto". Adesso ci credete? Ci credono. Mia moglie si mette a piangere. Chissà se per la soddisfazione della vincita o per l'oppressione di tutto quel denaro.

Centoquarantasette milioni di euro. Una fila di zeri impressionante. Roba da fare spavento. Terrore e tremore. Un'esperienza onirica, un abisso di paura, un vuoto nell'anima. Per precauzione mi butto sul divano del salotto, aspettando che il cuore riprenda un andamento quasi normale. Non so neanche come si fa a riscuoterli, quei soldi. In banca, probabilmente. O dal notaio, chissà.

Intanto però ci vogliono precauzioni. La prima e più urgente consiste nell'assumere l'atteggiamento di quello che non ha vinto proprio un bel niente e non sa nemmeno di che cosa stanno parlando i telegiornali. D'accordo che ho giocato in trasferta, lontano da casa, ma la regola numero uno è e rimane: depistaggio.

Mettere su un'espressione tra l'indifferente e il sofferente. Se qualcuno cita il Superenalotto, esibire un'aria di superiorità dolorosa: ma che cosa volete che m'interessi questo oppio dei popoli, una truffa collettiva che promette illusioni, una fiera delle vanità che porta soldi al governo, rito borbonico che genera soltanto frustrazioni.

Per giocare avevo dovuto addirittura chiedere spiegazioni al gestore della ricevitoria, che mi aveva guardato come se fossi un alieno. L'ultimo essere umano, nella penisola e dintorni, che non conosce il meccanismo della superlotteria. Vero che in passato giocavo al Totocalcio. Ma la schedina settimanale implicava una conoscenza del campionato, e quindi si poteva nutrire la convinzione che l'eventuale "tredici" potesse dipendere dalla competenza calcistica e non dalla fortuna dei numeri. Infatti, mai compilato un "sistema". Impegnavo piccole somme, e poche colonne della schedina, per misurare la mia capacità nel pronostico. Mai andato oltre il dieci, perché per fortuna anche nel calcio esiste l'imponderabile.

Mentre il Superenalotto è un gioco brutale: il jackpot aumenta di valore ogni settimana, a ogni estrazione fallita, e poi è solo una feroce questione di numeri. Lo schiaffo di una combinazione solitaria su sei o settecento milioni possibili. Se i tuoi sei numeri escono vuol dire che una divinità insensata ha deciso di scegliere proprio te, che durante un viaggio hai investito due euro. Domani, per sicurezza, occorrerà prepararsi uno schema di risposte plausibili: no, guardi, non gioco mai, figuriamoci. Quindi aria scettica, espressione disincantata, dissimulazione. Ma, sotto sotto, un pensiero che non vuole andarsene via: che me ne faccio di tutti questi soldi?

Vedi la gente intervistata per televisione che dice: farei beneficenza, estinguerei i mutui per la casa dei figli, farei un viaggio. D'accordo ma queste sono bazzecole. Quisquilie. Pinzillacchere. Dopo queste spesucce infatti rimane il problema della paccata di milioni rimanenti. Devo trovare un consulente.

Onesto. Un professionista. E se poi non è onesto e mi fa sparire tutti i soldi? Eccola, la crisi di panico. Meglio spezzettare, dividere, diversificare. Lascia perdere la Borsa, ti ricordi le fregature della new economy? Il mattone, il mattone è sempre una sicurezza. Conviene comprare a Parigi, a Londra, a New York. E poi che ce ne facciamo di questi appartamenti globalizzati? Chi si occupa delle questioni fiscali? E come la mettiamo con la linea ereditaria?

Ma per il momento occorre certificare l'esistenza del tagliando vincitore. Lo fotografo con il cellulare, domani farò autenticare la foto, intanto lo metto nella cassaforte domestica che non abbiamo mai usato. Con il timore che vengano i ladri a rubare la scheda. Fra paure assurde che finora non avevo mai provato. Perché la verità è una sola, semplice e terrificante: il Jackpot è un incubo. Chissà se da questo sogno cattivo mi risveglierò, se da un sogno assurdo ci risveglieremo mai.

(23 agosto 2009)

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