martedì 1 settembre 2009

IL CASO FELTRI


1 Settembre 2009


Il segretario di Stato vaticano, card.Tarcisio Bertone, ha parlato con il direttore di Avvenire Dino Boffo, "manifestandogli la sua vicinanza e solidarietà". Lo ha confermato il direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi, precisando che l'iniziativa è stata presa da Bertone nella sua qualità di segretario di stato vaticano.

Il giudice Pier Luigi Panariello ha disposto che dal decreto penale di condanna, che i giornalisti potranno avere in copia, venga cancellato il nome della persona offesa. Panariello ha reso noto che il procuratore della Repubblica di Terni Fausto Cardella aveva invece espresso parere favorevole alla messa a disposizione dei giornalisti di tutti gli atti del fascicolo, celando comunque il nome della persona offesa. "Ritengo - ha detto il gip - che il diritto di cronaca possa essere soddisfatto attraverso la divulgazione del fatto, cioè di come si è concluso il procedimento". Secondo Panariello la conoscenza degli atti processuali va riservata alle parti coinvolte che, "se lo vogliono possono poi metterli a disposizione". Panariello ha tra l'altro detto che "in questi giorni" i difensori di Boffo hanno chiesto copia degli atti del fascicolo.

Ieri lo stesso Gip aveva già affermato che nel fascicolo conservato al Tribunale di Terni «non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali» del direttore di Avvenire.

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dal nostro inviato a Terni Danilo Paolini

Nessuna informativa, nemmeno un appunto. Niente di niente. Dopo il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il capo della Polizia Antonio Manganelli, anche il giudice per le indagini preliminari di Terni Pierluigi Panariello conferma che «non c’è assolutamente alcuna nota che riguardi le inclinazioni sessuali» del direttore di Avvenire Dino Boffo all’interno di un fascicolo del locale tribunale.

Per la terza volta in pochi giorni risulta evidente che ciò che è stato spacciato (e pubblicato) come un documento ufficiale non è mai stato neanche un pezzo di carta ufficioso, bensì soltanto un foglio anonimo: non ne sanno niente, infatti, né il Viminale, né i vertici delle forze dell’ordine, né la magistratura ternana. Insomma, malgrado qualche apparenza, non viviamo in uno Stato di polizia che scheda i propri cittadini per le loro presunte «frequentazioni».

A Terni, per la verità, i magistrati hanno altro da fare. Tra l’altro, nessuno di quelli che si occuparono a suo tempo della vicenda è più in servizio nel palazzo di giustizia della città umbra. L’attenzione mediatica sollevata intorno alla vicenda, però, sta costringendo gli attuali vertici a occuparsene, soltanto perché diverse testate giornalistiche hanno presentato richiesta di accesso agli atti.

Il procuratore capo Fausto Cardella, che non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione in merito ed è stato impegnato per l’intera giornata in attività istruttorie correnti, ha fatto prelevare il fascicolo dall’archivio e lo ha da ieri mattina sulla sua scrivania: entro oggi esprimerà il suo parere (favorevole o contrario) sulle richieste in questione e lo trasmetterà poi al gip Panariello, incaricato di prendere la decisione.
Già nel recente passato, almeno una volta, erano state presentate istanze analoghe presso gli uffici giudiziari di Terni. Ed erano state respinte. «Certo non si tratta di un precedente vincolante per la decisione da prendere – chiariscono fonti giudiziarie – ma è sicuramente rilevante».

Tra l’altro, trattandosi di un decreto penale (cioè di un provvedimento giurisdizionale emesso senza contraddittorio, previsto dal legislatore proprio per alleggerire l’amministrazione della giustizia in presenza di fattispecie di lieve entità) e non di una sentenza, non si conoscono neanche le motivazioni alla base di quella vicenda né di quale genere fossero le asserite «molestie». Infatti, non si è mai celebrato alcun processo. Nel fascicolo, è stato precisato, non figurano intercettazioni telefoniche. Tutto il resto di ciò che è stato pubblicato da Il Giornale, cioè quasi tutto, non sta dunque in quel fascicolo giudiziario, bensì nella famosa "informativa", ovvero nella già troppo citata velina anonima. Lo aveva ben spiegato, del resto, il ministro dell’Interno Maroni: roba del genere non esiste negli archivi centrali del Viminale né in quelli periferici dell’apparato di pubblica sicurezza, questure e commissariati. E il prefetto Manganelli, citato da la Repubblica, aveva specificato che il lavoro della Polizia non è quello di schedare i liberi cittadini.

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