Il video c’è. I tecnici del Ros dei carabinieri devono soltanto recuperarlo dal computer sequestrato a Carlo Tagliente, uno dei quattro carabinieri finiti in carcere. Non è il promo, quello di due minuti fatto visionare a mezzo mondo e sequestrato nei locali milanesi di «Photo Masi», e nella redazione del settimanale «Chi» di Alfonso Signorini. Nella storia del grande ricatto contro Piero Marrazzo, ci sono ancora tanti punti oscuri da chiarire. Tante verità contrapposte tra loro. E se la Procura di Roma ha deciso di procedere al fermo dei carabinieri, è perché si aveva la certezza che il video stava per essere reso pubblico. Lo mette a verbale il fotografo Max Scarfone: «L’aveva comprato Vittorio Feltri».
Tra gli atti depositati al Tribunale del Riesame (l’udienza si terrà il 4 novembre), vi sono i verbali di alcuni protagonisti di questo affaire. Partiamo dai carabinieri arrestati. Nicola Testini: «Quello che ho visionato io aveva una durata di circa 13 minuti. Noi l’abbiamo avuto da un confidente che poi è morto e volevamo farci almeno 60.000 euro». Il confidente. Probabilmente Rino Cafasso, il pusher che riforniva di cocaina i trans, morto per infarto il 12 settembre scorso. Lo stesso che il 15 luglio lo fece vedere a due giornaliste di Libero, nella versione promo di due minuti.
Altra divisa del disonore, Carlo Tagliente: «D’accordo con i miei colleghi feci una copia del video attraverso il masterizzatore del mio pc portatile che ho tuttora a casa mia e vi consegnerò spontaneamente. Le altre due copie sono state invece distrutte da me e Testini». Il fotografo Max Scarfone sostiene che Tagliente gli confessa che nel «filmato ci sono voci e volti che non possono essere visti».
Dunque, Max Scarfone, il fotografo degli scatti rubati al portavoce di Romano Prodi, Silvio Sircana, immortalato mentre parla dall’auto con un trans. Il Ros dei carbinieri lo blocca il 20 ottobre: consegnano dettagli inediti come la possibilità che fossero 15.000 gli euro ripresi sul tavolino accanto alla cocaina e al tesserino, e non 5.000 come racconta lo stesso Marrazzo. E fanno emergere la partecipazione di diversi gruppi editoriali alla trattativa per l’acquisto delle immagini. Sono gli stessi carabinieri della Compagnia Trionfale Tagliente, Testini e Luciano Simeone ad ammettere le proprie colpe parlando di «debolezza imperdonabile» e poi raccontano di aver coinvolto Antonio Tamburrini «soltanto in un secondo momento perchè volevamo vendere il materiale e lui aveva un parente fotografo». Il riferimento è a Max Scarfone, il paparazzo che li mise in contatto con l’agenzia Photomasi di Milano. Il 20 ottobre Scarfone viene interrogato. E dichiara: «A luglio fui contattato da Antonio Tamburrini - è il carabiniere che gli altri tre ammettono di aver coinvolto soltanto successivamente, per tentare di vendere il video, ndr - che mi disse che alcuni suoi amici avevano un video su un politico importante dentro una casa con tanta cocaina e un trans».
Sono i carabinieri di Trionfale. A Scarfone viene fatto vedere il video: «Sul mobile vicino al tavolino - mette a verbale il fotografo, descrivendo le immagini che aveva visto - c’erano un mucchio di banconote di euro, pezzi da 500, credo fossero stati circa 15.000 euro... Mentre visionavo il filmato, in ragione del fatto che era frammentato, chiedevo se la durata era quella di quello visto. Mi rispondeva che era di 13 minuti circa. Non me lo poteva far vedere tutto nè voleva venderlo tutto perchè diceva che c’erano delle voci e volti che non potevano essere visti».
Il mandato ricevuto da Scarfone era di vendere il video per 200.000 euro. E lui contatta immediatamente l’agenzia «Photo Masi» di Milano. Carmen Masi piomba a Roma, dopo una settimana. «Luciano (Simeone, ndr) disse a Carmen che loro, ossia il gruppo di carabinieri, erano in possesso di alcuni assegni in bianco che Marrazzo aveva lasciato al trans». Max racconta i particolari della trattativa per la vendita: «Carmen ha proposto il video prima a "Oggi", poi contatta Signorini di "Chi" che ha indirizzato Carmen verso Belpietro che mi risulta abbia visionato il video. Sembrava interessato, poi però anche questa trattativa è sfumata. Per quanto mi ha raccontato Carmen il video è stato fatto visionare anche a personaggi importanti come Berlusconi, che però era assolutamente contrario all’acquisto del video. Almeno così mi è stato riferito... Carmen è stata successivamente contattata da Signorini che l’ha indirizzata, per quanto mi è noto, verso Feltri. Quest’ultima trattativa è andata a buon fine... Il problema stava nel fatto che i carabinieri volevano almeno un guadagno di 60.000 euro... si è poi sbloccato tutto perchè Antonio mi ha riferito, venerdì scorso (il 16 ottobre ndr), che i carabinieri avevano accettato la proposta di 55.000 euro e io comunicai a Carmen che era possibile chiudere alla cifra concordata. L’agenzia ha quindi concluso, credo con Feltri e il suo giornale».
Ma poi i carabinieri infedeli tentano di bloccare la vendita del video perché sanno che sono sotto inchiesta del Ros. Carmen Masi conferma la ricostruzione di Scarfone. Precisa che copia del video l’ha consegnata il 5 ottobre al direttore di «Chi»: «Dopo qualche giorno Signorini mi ha richiamato dicendomi che ci poteva essere un interesse da parte di Libero con un compenso di 100.000 euro...». Carmen Masi incontra il direttore Maurizio Belpietro il 12 ottobre. Ma l’incontro non produce risultati positivi. Due giorni dopo è l’editore Angelucci a visionare il video. Ricorda Carmen Masi: «Il 19 ottobre Signorini mi ha telefonato dicendomi che mi avrebbe chiamato Marrazzo perchè la cosa, per ovvi motivi, interessava direttamente a lui».
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