di Marco Travaglio
Soltanto chi non ha mai letto le varie sentenze che, negli anni, hanno riguardato Silvio Berlusconi, può meravigliarsi se il 3 ottobre 2009 il giudice civile del Tribunale di Milano, Raimondo Mesiano, ha scritto che di fatto l’Italia è governata da un delinquente. Tecnicamente da un corruttore di giudici: “corresponsabile della vicenda corruttiva”, cioè della sentenza comprata dai suoi avvocati con soldi suoi che nel 1991 gli regalò il primo gruppo editoriale del Paese, sottraendolo al legittimo proprietario, Carlo De Benedetti. Di qui la condanna in primo grado, per la holding di famiglia, a restituire il maltolto dopo vent’anni di possesso abusivo della Mondadori: 750 milioni di euro di danni. Che poi il presidente del Consiglio sia pure un corruttore di testimoni, lo si può leggere nella sentenza di primo grado a carico di David Mills (ora pubblicata da Peter Gomez e Antonella Mascali ne “Il regalo di Berlusconi”, Chiarelettere): lì i giudici milanesi aggiungono che corruppe pure
Responsabile di corruzione
“Silvio Berlusconi – ricorda il giudice Mesiano nelle 140 pagine di motivazione che il Fatto inizia oggi a pubblicare a pag. 10-11 - era all'epoca dei fatti di causa Presidente del Cda di Fininvest e tale rimase fino al 29.01.1994. Tanto premesso, è da affermare la sussistenza della responsabilità civile della società di capitali per il fatto anche penalmente illecito del legale rappresentante o dell'amministratore della stessa società, quando detto fatto è compiuto nel compimento di una attività gestoria”. Ma non c’è solo la sua posizione apicale nel gruppo Fininvest, a incastrarlo. Il giudice civile ricorda che nel 2001
Ha commesso il fatto
Il fatto che gli abbiano concesso le attenuanti, che non spettano certo agli innocenti, parla da sé: “Trattasi di pronuncia che ovviamente preclude l’assoggettamento del Berlusconi medesimo a giudizio di responsabilità penale ed a sanzione penale per il fatto, per cui è causa, ma, trattandosi di sentenza non emessa a seguito di giudizio di merito, ma solo a seguito di applicazione di causa estintiva del reato, essa non preclude in alcun modo che, nella presente sede, venga ritenuto ‘incidenter tantum’ che il Berlusconi ha commesso il fatto de qua, ai soli fini civilistici e risarcitori, di cui qui si discute”. Insomma, per la giustizia civile Berlusconi è un corruttore e deve sborsare il risarcimento.
Come arriva a questa conclusione il giudice Mesiano? Ricorda che “i conti All Iberian e Ferrido erano accesi su banche svizzere e di cui era beneficiaria economica
Provvista targata Silvio
“Abbiamo i seguenti fatti noti: la provenienza della somma di 2.732.868 $ bonificati, in vista delle già dimostrate finalità corruttive, a Previti dai conti All Iberian e Ferrido accertatamene appartenenti a Fininvest e la posizione verticale di Silvio Berlusconi nella stessa Fininvest: da tali fatti noti è d'obbligo inferire l'affermazione del fatto ignoto, e cioè la consapevolezza e l'accettazione dell'inoltro a Previti della provvista corruttiva da parte di Silvio Berlusconi, e ciò sulla base di un criterio di ‘normalità’: vale a dire rientra assolutamente nell'ordinario svolgersi degli accadimenti umani che un bonifico di quella entità poteva essere inoltrato solo sulla base della preventiva accettazione da parte di chi nella compagine sociale, da cui proveniva la somma destinata alla condotta corruttiva, ricopriva una incontrastata posizione verticale”. Del resto, rammenta il giudice, “la prova per presunzioni nel processo civile ha la stessa dignità della prova diretta. Ciò è stato di recente ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione”. E dunque “sarebbe assolutamente fuori dell'ordine naturale degli accadimenti umani che un bonifico di circa 3 miliardi di lire sia disposto ed eseguito, per le dimostrate finalità corruttive, senza che il ‘dominus’ della società, dai cui conti il bonifico proviene, ne sia a conoscenza e lo accetti. Pertanto è da ritenere, ‘incidenter tantum’ ed ai soli fini civilistici del presente giudizio, che Silvio Berlusconi sia corresponsabile della vicenda corruttiva, per cui si procede, corresponsabilità che, come logica conseguenza, comporta, per il principio della responsabilità civile delle società di capitali per il fatto illecito del loro legale rappresentante o amministratore commesso nell'attività gestoria, la responsabilità della stessa Fininvest… Deve quindi essere, in primo luogo, affermata la responsabilità della società convenuta per la condotta posta in essere, nella sua già vista qualità, dall'On. Silvio Berlusconi”. E
La sentenza dimenticata
Chi si meraviglia, o addirittura si indigna, per le parole del giudice civile, non conosce quelle ben più pesanti usate da quelli penali, e in una sentenza ormai irrevocabile. Se il verdetto dell’altro giorno ha come unica novità il mega-risarcimento (peraltro ampiamente prevedibile, viste le dimensioni e il valore del corpo del reato), quello della Corte d’appello di Milano nel 2006, poi confermato dalla Cassazione nel 2007, spiegava esplicitamente come Silvio Berlusconi non solo sapesse, ma fosse il mandante, il finanziatore e l’utilizzatore finale della corruzione del giudice Vittorio Metta da parte dei tre avvocati Fininvest, Cesare Previti, Giovanni Acampora e Attilio Pacifico. Lì i giudici definiscono Berlusconi “privato corruttore” e aggiungono che “la retribuzione del giudice corrotto è fatta nell’interesse e su incarico del corruttore”: cioè del nostro premier. Che rimase impunito solo per il combinato disposto di tre fatti tecnici: corruzione semplice e non giudiziaria, attenuanti generiche e prescrizione. Quest’ultima fu negata ad avvocati corruttori e giudice corrotto per vari motivi: “l’enorme gravità del reato… e del danno arrecato non solo alla giustizia, ma all’intera comunità, minando i principi posti alla base della convivenza civile secondo i quali la giurisdizione è valore a presidio e a tutela di tutti i cittadini con conseguente ulteriore profilo di gravità per l’enorme nocumento cagionato alla controparte nella causa civile e per le ricadute nel sistema editoriale italiano, trattandosi di controversia (la cosiddetta guerra di Segrate) finalizzata al controllo dei mezzi di informazione;la spiccata intensità del dolo; i motivi a delinquere determinati solo dal fine di lucro e, più esattamente, dal fine di raggiungere una ricchezza mai ritenuta sufficiente; i comportamenti processuali tenuti (con continue e spudorate “menzogne”, ndr); il precedente penale specifico (Imi-Sir, ndr)”.
Questo scrivevano, tre anni fa, i giudici penali d’appello. Questo confermava, due anni fa,
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