"BASTA, basta, basta. Voglio uscire dal pollaio italiano...". Lo ripete da quell'11 ottobre all'Hotel Marriott, quando si incarognì il duello tra Bersani e Franceschini per la guida del Pd. Pierluigi parlò "da leader", Dario fece "un comiziaccio". Massimo D'Alema si infuriò: "Se vincono loro mi tocca fondare un altro partito, per salvare la sinistra italiana. Ma sono sicuro, vinciamo noi. E dopo nessuna resa dei conti: faccio un passo indietro. Mi piacerebbe un incarico internazionale...". Ora sembra finalmente arrivata, la grande occasione dell'eterno Lider Maximo, che sta sempre lì anche quando perde e decide tutto anche quando non comanda.
La candidatura a "Mister Pesc", il ministro degli Esteri dell'Unione, non è ancora formalizzata. In Europa la battaglia, soprattutto tra i Paesi fondatori, è ancora lunga e difficile. Ma da Roma arrivano segnali positivi. Berlusconi non ha posto veti. Anzi, Palazzo Chigi si dichiara pronto a sostenere l'eventuale candidatura italiana. Tanto basta, per l'ex premier ed ex titolare della Farnesina ai tempi del governo Prodi, per giocarsi la partita. Una partita dura, ai limiti del proibitivo: l'Italia è ininfluente e screditata nella comunità internazionale. Ma se per qualche fortunata combinazione del destino finisse bene, sarebbe un ottimo risultato per il Paese.
D'Alema tesse la sua ragnatela da tempo, con i suoi referenti nel Partito socialista europeo. "Pochi giorni fa", diceva ieri sera, ricostruendo con il suo staff le tappe delle trattative in corso, "c'è stato un primo accordo tra i capi di governo popolari e socialisti, da Zapatero alla Merkel, da Brown a Sarkozy: ai primi toccherà il presidente, ai secondi il ministro degli Esteri d'Europa. A quel punto il Pse ha incaricato un "terzetto", formato da Zapatero, Rassmussen e Werner Faymann, di formare una rosa di nomi per "Mister Pesc", e negoziarla con i popolari. Io sono in quella rosa, e questo è un primo passo, solo un primo passo...".
È il primo passo, perché il secondo non tocca all'Europa, ma all'Italia. I socialisti francesi e quelli tedeschi hanno chiesto a D'Alema: "Ma se noi ti designiamo, poi il tuo governo ti sostiene oppure no? Perché se ti scarica, allora è inutile che ti mettiamo nella rosa...". L'ex ministro, sul punto, ha alzato le mani. "Capisco il problema: Barroso viene nominato con l'appoggio del governo socialista, è chiaro. Io non so che cosa ha in testa Berlusconi. Una cosa è certa: io non gli chiedo niente. È lui che deve valutare se un italiano, seduto su quella poltrona, è una cosa buona per il nostro Paese oppure no". Il "terzetto" ha capito. E a quel punto si è mosso in autonomia.
Il cancelliere austriaco, ieri, ha telefonato personalmente a Berlusconi e Frattini, per sondare "in via preliminare" gli umori del governo italiano. E ha trovato una disponibilità inaspettata. Così è nata la nota di Palazzo Chigi in cui si dice che "il governo valuterà con serietà e responsabilità le candidature capaci di assicurare all'Italia un incarico di così alto prestigio". Così è nata la replica di D'Alema, che si dichiara "grato al governo italiano" per questa disponibilità.
Ma questo, ancora, è solo il secondo passo. Ora manca il terzo, quello decisivo. Il sostegno di Roma non basta. E anche questo D'Alema lo sa bene. "Adesso si apre il confronto tra i partner", raccontava ai suoi collaboratori ieri sera, "e lì la strada per me è tutta in salita...". Gli inglesi sono rimasti bruciati sulla presidenza per Blair, e ora cercano una compensazione su "Mister Pesc" con Miliband. Al tempo stesso i francesi sono sparati sul loro candidato, Hubert Vedrine, che è già stato ministro degli Esteri. Poi ci sono i tedeschi, con l'altro ex ministro, Frank Walter Steinmeier. "Insomma", ragionava D'Alema, "io rischio di essere il classico vaso di coccio...". E questo rischio, ovviamente, cresce nella misura in cui non c'è un sostegno convinto da parte del governo di Roma.
In attesa di capirlo meglio, D'Alema incassa intanto il "mancato veto", che nelle condizioni date è già qualcosa. La posta in gioco è alta, più che per il Lider Maximo, per l'Italia. In questi giorni è stato il presidente della Camera, Gianfranco Fini, a spiegarlo in tutti i modi al Cavaliere e a Gianni Letta, dopo aver parlato a lungo proprio con D'Alema, durante il convegno di Asolo sull'immigrazione: "Caro Silvio, metti da parte le logiche politiche: questa nomina conta per il Paese".
Forse il premier si è convinto. Ma come sempre (Bicamerale docet) quando in ballo ci sono Berlusconi e D'Alema si moltiplicano, inevitabili, i soliti sospetti. Quale "inciucio" c'è dietro, stavolta? Il dubbio alligna a destra, dove un ministro leghista come Calderoli lo alimenta: "Ora, finalmente, sarà possibile fumare il calumet della pace, e fare insieme le riforme che servono al Paese". Ma lavora come un tarlo anche a sinistra, dove un pezzo di Pd (Franceschini in testa) lo va ripetendo da due mesi: "Se vince Bersani, la grande tregua sarà cosa fatta. E la nomina di D'Alema a Mister Pesc sarà il suggello del nuovo patto...".
Adesso che il patto si profila, e secondo molti sa un'altra volta di "crostata", i malpensanti lavorano di fantasia, e cercano di immaginare su quale terreno sia avvenuto, o avverrà, lo "scambio" tra Silvio e Massimo. Fini lo ha predetto a D'Alema, sempre nei colloqui riservati di Asolo: "Capisco che aspiri a quell'incarico internazionale, ma sai meglio di me che, se Berlusconi te lo offrirà, un minuto dopo ti chiederà una contropartita. E tu, di nuovo, sai meglio di me che quella contropartita si chiama riforma della giustizia...". D'Alema era preparato, e non ci ha pensato un attimo: "E tu sai meglio di me, caro Gianfranco, che se il Cavaliere mi facesse un discorso del genere io non potrei che rispondergli un no grosso come una casa...".
Nonostante questo, nel Pd fa scuola la trita massima andreottiana: a pensar male... con tutto quel che segue. Anche su questo D'Alema sembra preparato: "Capisco tutto: la battaglia congressuale, lo scontro sulle primarie, tutto quello che volete. Ma io con Berlusconi non ho fatto e non farò mai nessun inciucio. Di "Mister Pesc" non gli ho mai parlato e non gli parlerò mai. Una nomina italiana a ministro degli Esteri d'Europa è una questione di grande interesse nazionale, non un pastrocchio da piccolo interesse di bottega. Se qualche imbecille non lo capisce, peggio per lui".
(31 ottobre 2009)
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