FEDERICO GEREMICCA
Macchine indietro tutta: si torna a dieci, anzi quindici anni fa. I fantasmi sono gli stessi, i toni e gli argomenti anche: giustizia a orologeria, disegno eversivo, poteri forti e complotto, da una parte; corruttore, criminale, antidemocratico e distruttore della Costituzione, dall’altra.
E così, prigioniera delle dietrologie a buon mercato e degli alibi di comodo da essa stessa costruiti e radicati negli corso del tempo, ieri la cittadella del potere politico è parsa alla vigilia di un nuovo impazzimento. Per una sentenza (già emessa) di risarcimento in sede civile, certo; ma soprattutto per un’altra sentenza ormai in arrivo, e attesa spasmodicamente da mesi. Sì, prima e più ancora dell’affaire-Mondadori, è il destino del lodo-Alfano a far fibrillare i palazzi del potere.
E in attesa che si pronunci, sulla Corte Costituzionale stanno piovendo avvertimenti e minacce più o meno velate di ogni genere. La prima e più pesante - e per la verità non recentissima, essendo stata ipotizzata addirittura dall’Avvocatura generale dello Stato nella memoria in difesa della costituzionalità del lodo - porta il nome di elezioni anticipate. E’ stato il primo elemento di pressione messo in campo già da alcuni giorni dal governo e rafforzatosi nella mattinata di ieri alla luce della sentenza Mondadori, considerata una sorta di avvisaglia della ripresa di un’offensiva giudiziaria nei confronti del premier. I
l messaggio inviato alla Corte non era nemmeno particolarmente criptico: attenti giudici che se bocciate il lodo, qui va tutto per aria. Un po’ di no all’avventurosa ipotesi (quello di Emma Marcecaglia, quello di Bossi, la freddezza di Fini) hanno molto depotenziato la minaccia del corso delle ore. E così, a metà pomeriggio, Silvio Berlusconi ha completamente rovesciato lo schema di gioco. Poche righe, ma chiarissime: «Sappiano tutti gli oppositori che il governo porterà a termine la sua missione quinquennale». Cioè, qualunque cosa l’Alta Corte deciderà, il governo andrà avanti.
Avanti, a quel punto, contro «tutti gli oppositori»: ancor più aspramente di quanto accaduto fino a ora, e aggiungendo a pieno titolo al drappello di mestatori e tramatori di ogni risma i quindici giudici della Corte Costituzionale. A ben vedere, un’arma più affilata e insidiosa della minaccia di elezioni: che alcuni, come detto, hanno subito disinnescato; e che altri, invece, hanno spavaldamente invocato (da Antonio Di Pietro al leader Udc, Casini).
Del resto - è noto - arrivare allo scioglimento delle Camere non è cosa poi così semplice. Qualcuno, al Quirinale, la considera ipotesi - al momento - più che remota: «Il presidente dovrebbe andare in Parlamento - si argomenta - e dire alla sua maggioranza votatemi la sfiducia e andiamo tutti alle elezioni piuttosto che solo io a processo. Impraticabile».
Altra cosa, ovviamente, è se nel corso delle prossime settimane le tensioni nella maggioranza di governo dovessero raggiungere punte tali da non render più controllabile la situazione: ma in questo caso, si fa osservare, ci si troverebbe di fronte a una crisi “classica”, dovuta al deterioramento dei rapporti tra le forze di governo e di fronte alla quale ci sarebbe poco da obiettare.
Una terza ipotesi - tra elezioni anticipate e permanenza in carica dell’attuale governo - non è data. Silvio Berlusconi, infatti, non ha alcuna intenzione - ovviamente - di passare la mano; Gianfranco Fini lo ha rassicurato intorno al fatto che «la maggioranza è solo quella che esce dalle urne» e perfino il Pd è parso poco interessato a quel “governo del presidente” pure invocato da Francesco Rutelli.
Tolta dal campo l’ipotesi di elezioni anticipate, resta invece in piedi la possibilità che - a difesa del governo e contro la magistratura e le sue “sentenze a orologeria” - il Popolo delle libertà chiami la sua gente in piazza a manifestare. Non sarebbe la prima volta: è già accaduto in passato che i leader del Pdl ricorressero alla piazza contro - per esempio - le politiche economiche e fiscali dei governi Prodi. Sarebbe un inedito assoluto, invece, farlo per contestare sentenze emesse da un tribunale o addirittura da un organo costituzionalmente riconosciuto come, appunto, l’Alta Corte.
Tutto, dunque, è ancora in movimento in attesa dell’atteso pronunciamento sul lodo. Con quale serenità i quindici della Corte stamane avvieranno la loro discussione, è facile immaginare. Qualche giorno fa, l’assistente di uno dei giudici più in vista, confidava: «Siamo sotto cumuli di pressioni, pesanti e di ogni genere. Figurarsi che qualcuno ha avvicinato anche me, che pure non sono nemmeno sospettabile di simpatie berlusconiane». Giusto per dire il punto a cui si è...
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