di FRANCESCO BEI
"IO VADO avanti, con o senza Lodo Alfano". Dopo un vertice di guerra a Palazzo Grazioli con lo stato maggiore di Lega e Pdl, messa da parte ogni prudenza, come pure gli aveva consigliato Fini, Berlusconi carica a testa bassa.
E la sua furia travolge tutti: il presidente della Repubblica, "espressione della vecchia maggioranza di sinistra",
Il Cavaliere non risparmia nessuno, è furibondo. E la stessa atmosfera di via del Plebiscito è elettrica, con decine di agenti e carabinieri schierati per tenere lontana la folla. L'incubo del premier è ora quello di una condanna a Milano con interdizione dai pubblici uffici. "I processi che mi scaglieranno contro sono autentiche farse. Andrò là a sbugiardarli tutti". La sera, in una telefonata a Porta a Porta, annuncia che andrà a difendersi "non solo in tribunale ma anche alla radio, in tv, sui giornali".
In un crescendo, attacca come un toro: "Queste cose qua a me mi caricano, agli italiani li caricano. Viva Berlusconi!". Entra poi a passo spedito a palazzo Venezia, per visitare una mostra sui santi insieme al cardinal Bertone. E persino lì dentro non rinuncia alla stoccata: "Manca il ritratto di san Silvio da Arcore che fa sì che l'Italia non sia in mano a certi signori di sinistra".
Quanto alla replica del Quirinale, Berlusconi non se ne cura e risponde seccato: "Mi sento preso in giro, non mi interessa cosa dice". Da Vespa aggiungerà poi un retroscena destinato a suscitare altre polemiche: "Il presidente della Repubblica aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta, posta la sua nota influenza sui giudici di sinistra della Corte". Su Napolitano, aggiunge, "le mie dichiarazioni potrebbero essere anche più esplicite e più dirette".
Tanta rabbia, sostengono i berlusconiani, è dovuta al fatto che proprio dal Quirinale erano arrivati segnali tranquillizzanti sulla sorte del Lodo. Per questo il Cavaliere ieri era convinto di essere finito in una "trappola", si è sentito "tradito", e la sua irritazione è esondata anche contro gli avvocati e il ministro Alfano. "Mi avevate detto - ha tuonato - che il lodo era inattaccabile, che l'avevate scritto a quattro mani con Napolitano". Uno sfogo tanto duro che il Guardasigilli sarebbe arrivato ad offrire le proprie dimissioni sul tavolo.
Nella lunga riunione a palazzo Grazioli sfilano uno dopo l'altro tutti i big della coalizione, da Alfano a Cicchitto, da
Un altro momento clou della giornata è la telefonata di Gianfranco Fini, che manifesta solidarietà e spinge Berlusconi ad andare "avanti" con il governo. Su questo, del resto, Fini aveva convenuto all'ora di pranzo in un faccia a faccia con Umberto Bossi. "Silvio, io e Bossi siamo con te, rispettiamo i patti", gli ha ripetuto il presidente della Camera. Salvo consigliare "prudenza" e "toni bassi", quelli che si convengono a "un uomo di Stato" nella risposta. Così a Montecitorio, quando Fini legge la nota ufficiale di palazzo Chigi, tira un sospiro di sollievo. "Non posso non rispettare il responso della Corte nel quadro di un sistema democratico", fanno dire al premier. Ma è un illusione che dura poco, il tempo che Berlusconi incontri le telecamere piazzate sotto casa sua. E la rabbia esplode incontrollabile.
È soprattutto l'attacco al capo dello Stato, a impensierire il presidente della Camera. Che i suoi descrivono ora come "molto preoccupato" per l'eccesso di reazione del premier. L'inquilino di Montecitorio mantiene fede all'asse con il Colle. Adesso Berlusconi è convinto di poter ribaltare la situazione con un colpo di forza e il terreno scelto è quello delle prossime regionali. Il premier ne vuole fare un'ordalia, un "referendum" per stabilire chi ha torto o ragione nell'eterna contesa tra lui e i giudici. "La mia vera immunità - ha ripetuto ieri ai suoi - sono sempre stati gli elettori italiani".
(8 ottobre 2009)
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