"Dottore, ieri sono scivolato e sono caduto dalle scale. È così che mi sono fatto quelle due fratture alla schiena". Stefano Cucchi, visitato al Regina Coeli nel pomeriggio del 16 ottobre, è dolorante, fatica a camminare e ha il volto tumefatto. Le sue condizioni di salute sono precarie, pesa 43 chili, soffre di epilessia. I medici, insospettiti da quelle lesioni, lo portano all'ospedale Fatebenefratelli per una radiografia al cranio e una al torace. La prima risulta negativa, la seconda evidenzia una "frattura del corpo vertebrale L3 e un'altra della vertebra coccigea".
Sta tutto qui, in quella frase di Stefano riportata nella cartella clinica del carcere ("Ieri sono caduto accidentalmente dalle scale"), e in quelle due lastre, il mistero della sua morte. Perché la caduta non è stata né accertata né chiarita da nessuno (sempre che sia stata una caduta). E perché non spiega tutte le altre lesioni riscontrate dopo la morte. Quel giorno Stefano entra in prigione con due fratture nella regione lombare della schiena che comunque gli consentono, a fatica, di camminare. Ma la faccia, seppur gonfia - stando alla radiografia cranica - non risulta fratturata.
Se è così, allora, quando è caduto dalle scale, visto che "il giorno prima", il 15 ottobre, fu fermato dai carabinieri? E come s'è procurato durante la detenzione di soli sette giorni nel corso della quale ha perso sette chili di peso la rottura della mandibola destra che gli verrà riscontrata solo dopo la morte, durante l'autopsia?
Ecco la ricostruzione della tragica storia di Stefano Cucchi dal momento del suo arresto a quello della "presunta morte naturale" (come recita il referto medico legale), avvenuta alle 6,20 del 22 ottobre. Tutto ha inizio alle 23,30 del 15 ottobre, Stefano passeggia nel parco degli Acquedotti col cane e - stando ai carabinieri - in compagnia di un cliente. I militari gli piombano addosso, trovano venti grammi di droga, scatta il fermo. Portano l'uomo in caserma, procedono alla perquisizione personale e dei vestiti.
Quindi, all'una e mezza del 16 ottobre, accompagnano il fermato a casa e, alla presenza dei suoi genitori ("Mamma, tranquilla, tanto non trovano niente"), perquisiscono la sua camera. Ritorna in caserma dove vengono concluse le pratiche, poi, verso le 4, l'uomo entra nella camera di sicurezza della stazione dell'Arma. Ma quasi subito si sente male, lamenta tremori, mal di testa, convulsioni.
Alle 4,30 arriva un'ambulanza del 118 col medico che lo visita per circa mezz'ora, proponendo al "detenuto" il ricovero in ospedale che, però, viene rifiutato. Alle 5 i sanitari se ne vanno e Stefano dice ai militari "voglio continuare a dormire". Stando all'inchiesta amministrativa interna dell'Arma, in questo periodo durante il quale l'uomo è in consegna dai carabinieri, non avviene la "caduta accidentale dalle scale".
Alle 9, la traduzione in Tribunale per il processo per direttissima che si celebra verso mezzogiorno. Quando appare in aula, madre, padre e sorella di Stefano notano "il suo volto molto gonfio, in contrasto impressionante con la magrezza, e lividi assai vistosi attorno agli occhi". Il fermato viene interrogato dal giudice, si difende ammettendo "la detenzione di sostanze stupefacenti in quanto consumatore". Non riferisce né al magistrato, né all'avvocato, né poi al padre che abbraccia per l'ultima volta alle 13,30, di essere stato picchiato durante l'arresto da parte dei carabinieri.
Durante la visita nell'ambulatorio del Tribunale, alle 14, prevista quando il detenuto passa dai carabinieri alla polizia penitenziaria, i sanitari riscontrano "lesioni ecchimodiche in regione palpebrale inferiore bilateralmente". Durante questa visita Stefano riferisce di avere "lesioni alla regione sacrale e agli arti inferiori". Non aggiunge altro. A questo punto è accompagnato dalla Polizia penitenziaria al Regina Coeli dove è sottoposto alla visita d'ingresso che si conclude con le due radiografie al cranio e alla schiena.
Da questo momento in poi i familiari di Stefano non lo vedono più e per loro inizia una drammatica odissea fra Regina Coeli, Fatebenefratelli e reparto detenuti del Pertini. Per cinque giorni i genitori tentano invano di fare visita al figlio, ma ogni contatto, perfino i colloqui con il personale medico e carcerario che l'hanno in custodia, viene loro negato. Si saprà solo dopo che Stefano in carcere aveva chiesto una Bibbia che pare gli sia stata negata.
L'unica notizia ufficiale viene recapitata ai parenti di Stefano solo il 22 ottobre: è la notifica dell'autopsia di Stefano, e l'invito a nominare i propri consulenti. Madre e padre dell'uomo si precipitano al Pertini per avere notizie sulle cause del decesso, ma il sovrintendente sanitario e il medico di turno non sanno dare spiegazioni: "Non abbiamo avuto modo di vederlo in viso - riferiscono i due sanitari -il detenuto in cella si teneva costantemente il lenzuolo sulla faccia".
(31 ottobre 2009)
6 commenti:
NON SEMBRA DI ESSERE IN ITALIA, IN EUROPA, MA NELL'AMERICA DEL SUD, NEL CILE DI PINOCHET.
Chi sono questi "custodi della legge" che negano ad una madre di vedere suo figlio?? Quale legge è al di sopra di una madre, tanto che anche gli "illustri" dottori negano tale diritto?? L'Italia ormai è da paura, dici bene, il Cile di Pinochet, i moderni desaparisidos fra le sbarre o per strada, morti fra le mani di uomini che indossano divise che un tempo erano la sicurezza d'ogni cittadino. Io non lo so quanto il popolo italiano potrà ancora sopportare tutto questo abuso di potere, non lo so davvero.
Quante madri come Ornella dovrenno ancora vedere questi scempi sulle loro creature? Chi sbaglia paga, è giusto, ma la pena di morte no, non deve esserci, non c'è mai stata in Italia, perchè queste sono vere e proprie esecuzioni.
Dov'è Pannella? Il suo sciopero per la fame lo fa solo per i condannati a morte americani? Sono arrabbiata e...
DA INCUBO!!!!!!!!
Madda
DA ESPERTO DEL SETTORE VI DICO CHE LA SITUAZIONE E' NOTEVOLMENTE PEGGIORATA E NON SI INTRAVEDONO SCHIARITE ALL'ORIZZONTE.
A questo punto,
ogni comune cittadino dovrebbe cominciare ad aver seriamente paura!
Madda
PENSO PROPRIO DI SI'. LA VIOLENZA, NON L'USO LEGITTIMO DELLA FORZA, ORMAI STA DIVENTANDO ENDEMICA SIA NELLA SOCIETA' CHE, SOPRATUTTO PER I CITTADINI ONESTI, FRA LE FORZE DELL'ORDINE.
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