venerdì 16 ottobre 2009

METTI D’ALEMA & BERLUSCONI Dialogo anormale fra invettiva e inciucio


Come mai parlano “di futuro” e nello stesso giorno si insultano?
di Luca Telese


Ecco vedi: in un paese normale sarebbe solo un fotogramma innocente. Il premier e uno dei leader dell’opposizione si incontrano ai margini di una cerimonia ufficiale, si infilano nel labirinto verde di un giardino di villa Madama, disegnano un arabesco passeggiando tra le siepi, si stringono la mano, scambiano parole di circostanza: “Dialoghiamo sul futuro del paese”, dice il leader dell'opposizione, e il ghiaccio si rompe. Il viso del premier si distende: “Il più felice sarei io, spero che di occasioni come queste ce ne siano altre”. Visti dall'alto sono solo due puntini, inquadrati sul cronometro sono un pugno di minuti che volano via, nemmeno un giro di lancette. È come dire buon giorno e buonasera.
Sotto il microscopio. Ma siccome il paese non è per nulla normale, siccome il premier in questione è Silvio Berlusconi e visto che il leader dell’opposizione è Massimo D'Alema, anche questo minuetto finisce sotto il microscopio, va letto alla moviola, vivisezionato, retroscenato. Se per raccontare quell'incontro allarghi il campo di osservazione e lo rivedi al rallentatore, per esempio, sotto una nuvola cotonata si materializza un sorriso e appare un altro uomo in campo. E' Gianni Letta, il gran cerimoniere, che coglie l'attimo, prende per mano D'Alema, e costruisce la cornice del pour-parler. Se fai un giro di grandangolo, poi, ai margini dei protagonisti saltano fuori altri testimoni: il presidente della società aeroporti di Roma Fabrizio Palenzona, il presidente dell'Enac Vito Riggio, un dalemiano tostissimo come Ugo Sposetti. Una cornice adeguata, visto che si celebrava l'alleanza fra Fiumicino e Malpensa. Eppure, se rileggi la ricostruzione minuziosa che Francesco Bei ha cesellato ieri su La Repubblica quell'arabesco - che se cambi punto di osservazione diventa una foto di gruppo - con l'aggiunta il sonoro diventa di più: “Sono qui perché sulle cose importanti del paese io ci sono”, dice D'Alema. Ma se questo sonoro lo incroci con le dichiarazioni che lo stesso ex ministro ha rilasciato la mattina, e rilascerà anche la sera, il gioco del montaggio produce un cortocircuito di senso: “Berlusconi deve andar via, e se lui non volesse, dovrebbe essere la sua maggioranza ad imporglielo”. Manca solo il Berlusconi di 10 giorni fa: “Comunisti, rimangono comunisti, la minoranza cattocomunista del paese”.
Galateo istituzionale? Certo, esistono la civiltà delle buone maniere, il galateo istituzionale, i riti necessari della politica: ma un paese è anormale se il tempo degli insulti e delle invettive coesiste con quello del dialogo e della diplomazia in modo schizofrenico. Nulla impedisce la stretta di mano, anche ai pugili sul ring. Ma può “dialogare sul futuro”, fra chi si nega abitualmente legittimità nel presente? Se chiedi cosa ne pensi a Ugo Sposetti, testimone ravvicinato dell'incontro, ti infrangi contro la sua ironia: “Ma voi siete pazzi! Esiste la po-li-ti-ca. Si parlava dell'Italia, del bene del paese. Una cosa è il giudizio severo che si può dare di un avversario. Altro - conclude - è il rispetto che non deve mai venire meno in sede istituzionale”. Anche il dialogo sul futuro? Sposetti si spazientisce: “Senta, io c'ero. E' stato uno scambio non programmato di battute, niente più. E se anche la frase è quella, che cosa cambia?”. In un paese normale, forse nulla. Ma l'Italia è l'unico paese in cui le doppiezze sono considerate una lingua legittima della politica. In Spagna Zapatero finì sotto processo per aver detto due frasi contraddittorie in fuori onda prima di una puntata televisiva, in Inghilterra Brown e Cameron si stringono la mano, ma non si scambiano strali infuocati, non si delegittimano mai. Nel tempo della seconda repubblica, la sinistra ha vissuto il dialogo con Berlusconi sospesa tra il sospetto dell'inciucio, l’invettiva e la cerimonia del riconoscimento incompiuto: siamo avversari, ma anche nemici. “Non riconoscerei Berlusconi come premier nemmeno se vincesse le elezioni”, diceva il leader maximo. “Il signor D'Alema è un veterocomunista che usa termini stalinisti, finché ci saranno questi gufi....”. In queste ore, per di più, si sceglie il nuovo governo europeo, Veltroni tifa Blair, ma se quella candidatura passa, tramonta quella di D’Alema a euroministro degli esteri, la diplomazia ferve. In un paese normale quell’incontro è solo un arabesco in un prato, in Italia un punto interrogativo.

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