giovedì 15 ottobre 2009

Minzolini: “Dico quello che mi pare Un minuto non vale 2 ore di Santoro”



Ma in Vigilanza Zavoli insiste: l’informazione sia completa
di Carlo Tecce


Non sembra braccato, intrappolato in acque nemiche. Il sorriso beffardo è indelebile, sfuma soltanto per ascoltare Sergio Zavoli. Abbassa la testa per un attimo, poi la faccia di Augusto Minzolini trasfigura, diventa “squalo”, il soprannome che si era guadagnato - da Guido Quaranta - nell’altra sua vita da cronista politico. La commissione di Vigilanza l’aspetta (quasi) al completo, il presidente non vuole rinvigorire le polemiche: chiede chiarimenti, con gentilezza: “A noi interessa garantire trasparenza e completezza dell’informazione. Non esistono le interpretazioni nel servizio pubblico, ci sono i fatti. Direttore, le consiglio di giocare al centro, alla Pirlo, non all’attacco come Gilardino”. Minzolini finge di non sentire e legge, a volte incespicando, la sua breve e affastellata introduzione: “Il Tg1 è il notiziario più seguito e negli anni ha contribuito alla cultura italiana. Ho avuto problemi con la sintonizzazione del digitale. La Rai è indietro di 20 anni perché soffocata dalle regole”. E così per dieci minuti. I due editoriali e le omissioni del telegiornale sono relegati in una postilla finale: “Gli interventi in video rientrano tra i miei diritti, anche se esprimo un’opinione diversa. Mi richiamo all’articolo 21 della Costituzione: gli altri non hanno manifestato per questo? Il mio predecessore Riotta ne ha collezionati 15. Non ha senso accusarmi di aver dato o non dato alcune notizie. Ho scelto sobrietà e prudenza”. E per Minzolini l’audizione potrebbe finire qui. Ma i deputati e i senatori fremono e sfrutteranno i tre minuti a disposizione. Zavoli prova a indirizzare la discussione sui temi del pluralismo e della neutralità: “Un’insieme di versioni parziali dei diversi telegiornali - aggiunge - non garantiscono l’imparzialità”. Un’ora di domande che rispecchiano i valori e i colori politici: il centrodestra difende, il centrosinistra incalza. Alessio Butti (Pdl) cerca di recuperare il direttore in trincea, apre una finestra su Annozero. Minzolini può mordere e capovolgere gli argomenti: “Non mi convincono le trasmissioni monografiche: il mio minuto non vale le due ore di Santoro. Non è possibile ascoltare attacchi senza replicare. L’azienda non può permetterlo”.
Un colpo di teatro che trasforma i chiarimenti di Minzolini in un processo ad Annozero. Zavoli ammonisce, ancora: “Un approfondimento non è paragonabile al telegiornale”. Giovanna Melandri (Pd) e Nello Formisano (Idv) s’accalorano, chiedono, illustrano; Minzolini si dondola sulla poltrona, sogghigna e prende pochissimi appunti. Il profluvio di quesiti e cifre si risolve in un quarto d’ora, non di più. La controffensiva è battente: “Non sono un direttore militante, sono istituzionale, non voglio essere dimezzato. C’è chi si è lamentato perché le escort hanno avuto poco spazio, chi per le tangenti della sanità. C’è una differenza tra le vicende di Tangentopoli e quelle estive. Abbiamo assistito al susseguirsi di processi mediatici. Non solo Berlusconi, ma anche la famiglia Agnelli, De Benedetti, Ezio Mauro, Dino Boffo”. Un calderone, e Minzolini non fa distinzioni. Per descrivere l’ultima vicenda , la “guerra tra testate”, esibisce una sua versione e una provocazione: “Ho riportato fedelmente le posizioni di Eugenio Scalfari e di Repubblica, quindi mi serviva il parere di altri giornali. Semmai dovevo interpellare Vittorio Feltri”. Messaggio subliminale per il presidente Paolo Garimberti: “Ho interrotto ogni collaborazione e, a differenza di altri, non ho rilasciato interviste”. Oggi secondo tempo dinanzi al Cda della Rai: “Spero non parleremo delle stesse cose”. Vana speranza.

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