8/10/2009
MARCELLO SORGI
Silvio Berlusconi ha pieno diritto di annunciare che andrà avanti, anche dopo che
In questa che definisce «una minoranza», composta, sono parole sue, dal «settantadue per cento della stampa» e dai «comici che prendono in giro il governo», Berlusconi ha incredibilmente inserito il Capo dello Stato: alzando così a un livello insopportabile lo scontro istituzionale, e dimenticando che Napolitano aveva firmato il testo del ministro di Giustizia Alfano, proprio in base al verdetto con cui
Stavolta invece
Anche senza conoscere le motivazioni di principio della Corte, si può provare a ragionare su alcuni dati concreti, che probabilmente non saranno stati estranei al ragionamento dei giudici della Consulta. Benché convinto di essere vittima di una persecuzione, Berlusconi infatti è arrivato a governare con fino ad 11 processi pendenti sulla sua testa. Ha sopportato condanne poi trasformatesi in assoluzioni, s’è salvato talvolta con le prescrizioni. E tutto ciò non gli ha impedito di vincere o perdere le elezioni, e tornare per la terza volta a Palazzo Chigi, a prescindere dalla pressione giudiziaria che si addensava su di lui, e in qualche caso avvalendosene anche come strumento di propaganda. Anche adesso, per spiacevole che sia visto il tenore delle accuse, quello che lo attende a Milano non è un patibolo. È un normale procedimento, che sarà celebrato da un collegio diverso da quello che ha posto la questione di costituzionalità ed andrà incontro a un termine di prescrizione nel febbraio del prossimo anno.
Inoltre, a riproporre in Parlamento la questione dell’immunità in generale, e non solo di quella che lo interessa, il premier potrebbe pure avere qualche sorpresa, se non da tutta, da settori dell’opposizione. L’immunità, si sa, era già prevista dalla Costituzione all’articolo 68. Ma ciò che i nostri Padri costituenti avevano inserito nel testo della Carta, a garanzia della libertà e della sicurezza della politica, fu modificato frettolosamente dai loro successori sull’onda di Tangentopoli e della cosiddetta «rivoluzione italiana».
Da allora in poi, e sono sedici anni, l’equilibrio tra i poteri (governo, Parlamento, magistratura) è cambiato. Si è passati dalla protezione assoluta di cui (grazie anche a frequenti amnistie che si concedevano) godevano parlamentari e uomini di governo nella Prima Repubblica, ad una minima, spesso insignificante, di cui i politici debbono oggi vergognarsi e alla quale si risolvono a rinunciare frequentemente, sotto la spinta di una gogna pubblica senza regole o limiti.
Non è un mistero che una situazione del genere non comprenda il solo Berlusconi, né il suo schieramento in particolare e neppure solo i parlamentari. Piuttosto, ormai, l’insieme della politica nel suo complesso, in un sistema in cui moltissimi, eletti o no, cittadini semplici o eccellenti, sono accusati, inquisiti, intercettati, ma si dimettono, o non si dimettono, dai loro incarichi pubblici, in pratica solo quando gli va, e sempre indipendentemente da processi, condanne e assoluzioni. Problemi come questi, non a caso, hanno riguardato in passato, tra gli altri, anche Prodi e D’Alema. Che hanno reagito con una diversa varietà di reazioni, ma con più rispetto per la magistratura e senza fare casi personali.
Certo era troppo aspettarsi che
1 commento:
SI CAPISCE FIN TROPPO BENE, COME D'ALTRA PARTE GIA' SI SAPEVA, MARCELLO SORGI DA CHE PARTE PENDE.
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