mercoledì 7 ottobre 2009

Per cena, lodo senza astensioni


di Bruno Tinti

Provo a spiegare cosa pensa un giudice: “da me si aspettano imparzialità e una sentenza tecnicamente giusta. La mia sentenza (civile), nella migliore delle ipotesi, scontenterà una delle due parti e, molto spesso, tutte e due; e la mia sentenza (penale) di condanna scontenterà l’imputato e quella di assoluzione la parte offesa; in ogni caso ci sarà un appello in cui me ne diranno di tutti i colori.

Tutto questo, in quest’ordine, pensa un giudice quando mette mano a un processo. Sicché lavora al meglio di come sa (sentenza tecnicamente giusta), pur sapendo che ci sarà un sacco di gente che sarà scontenta del suo lavoro. E lavora con la massima tranquillità perché sa che tutti sanno che a lui, dell’esito del processo, non gliene importa nulla. Però, appena si accorge che qualcuno può pensare che lui non è imparziale, non è più tranquillo per niente e quindi smette subito di lavorare; nel senso che smette di fare quel processo nel quale si dubita della sua imparzialità. Si chiama astensione: il giudice dichiara che ha un interesse personale in quel processo; oppure che si può sospettare che lo abbia; e chiede di essere sostituito. Non c’è solo questa ragione, la tranquillità del giudice, a fondamento dell’astensione. Ce ne sono altre due, ancora più importanti. Le parti del processo debbono essere convinte che il giudice ha applicato la legge e che più di così non poteva fare; o almeno debbono essere convinte che il giudice ha sbagliato nell’applicare la legge (per questo fanno appello) ma che l’ha fatto in buona fede. E soprattutto i cittadini tutti debbono pensare che la giustizia c’è, con i limiti delle cose umane (quindi le sentenze possono anche essere sbagliate), ma sempre imparziale. Se non fosse così, se i cittadini perdessero la fiducia nell’imparzialità della giustizia (non nella giustizia intesa come capacità di fornire sempre le soluzioni giuste, che è una cosa diversa e che nel mondo degli uomini non esiste), essi si farebbero giustizia da soli e dominerebbero violenza e sopraffazione. Ecco perché i giudici si astengono spesso e volentieri; soprattutto volentieri. Meno interesse hanno in un processo, più facilmente si astengono. Perché dovrebbero far pensare a qualcuno che non sono imparziali? Perché dovrebbero minare alla base la credibilità delle loro sentenze? Quel processo se lo faccia qualcun altro; proprio perché non ho alcun interesse nella causa, non me ne importa nulla di essere io a celebrarla. Ed ecco anche perché, quando un giudice sembra non essere imparziale e tuttavia non si astiene, la cosa diviene assai sospetta: perché proprio la sua riluttanza a lasciare il processo in mani a qualcun altro è la prova migliore che un interesse personale all’esito della controversia alla fine ci deve essere.

I giudici costituzionali Mazzella e Napolitano hanno cenato (a casa di Mazzella) con Berlusconi, Alfano, Letta e Vizzini. Naturalmente non si può dire che, in quella cena, l’argomento trattato sia stato il Lodo Alfano. Però si può dire che una situazione del genere avrebbe portato all’astensione (in realtà alla ricusazione) di qualsiasi giudice ordinario, amministrativo o contabile. E dunque si può dire che almeno l’apparenza di imparzialità è venuta meno; che la fiducia a priori, che ogni giudice merita proprio perché imparziale, nel caso di questi due giudici costituzionali, non può più esserci. I due giudici, e la parte politica che li sostiene (ma che brutta cosa, giudici sostenuti da una parte politica!) ricordano agli sprovveduti di diritto che l’ordinamento della Corte Costituzionale non prevede l’astensione dei suoi giudici: perché, dicono, la Corte giudica su leggi e non su fatti; e le leggi si rivolgono a tutti i cittadini e non a qualcuno in particolare, il che esclude che vi siano in gioco interessi concreti di soggetti di cui il giudice potrebbe essere amico. E in effetti, di norma, è così.

Ma il problema del lodo Alfano, come di tutte le leggi ad personam che ci angosciano da una decina d’anni, è che il destinatario della legge che deve essere sottoposto al giudizio della Corte Costituzionale uno è: Berlusconi. Proprio quello che si è seduto allo stesso tavolo dei giudici costituzionali Mazzella e Napolitano, che è commensale abituale di Mazzella, che ne è grande amico (lo ha detto lo stesso Mazzella). Allora, in questo caso, la brillante tesi giuridica secondo la quale i giudici costituzionali non si astengono è del tutto inapplicabile. Qui un interesse personale di una singola persona alla decisione che il giudice di cui è amico dovrà prendere c’è; e come se c’è. Così il problema della Corte Costituzionale adesso è molto serio. C’è un interesse personale dei giudici Mazzella e Napolitano quanto al risultato del procedimento? E comunque, in che misura la sentenza della Corte può essere resa meno credibile (la parola esatta è “delegittimata”) dalla partecipazione al giudizio di due amici dell’unico concretamente interessato (e quanto concretamente!) alla soluzione della controversia?

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