“Sono stato facile profeta quando ho previsto che l’imbarbarimento provocato da una ben precisa campagna di stampa avrebbe messo in moto una spirale che va assolutamente arrestata”. E inutile girarci intorno. Il caso del presidente della regione Lazio, Pietro Marrazzo, ricattatto con un filmino hard, porta alla mente questa frase, pronunciata da Silvio Berlusconi a inizio estate. Anche perché, come “Il Fatto Quotidiano” è in grado di rivelare, almeno da un mese i palazzi della politica romana sapevano che era stato messo in circolazione un video del genere. Intorno al 25 settembre, infatti, una persona legata ambienti di governo - che oggi chiede l’anonimato - aveva spiegato ad alcuni giornalisti come le fossero state offerte delle immagini in cui compariva Marrazzo. “Io non le ho viste ”, assicurava la fonte, “ma, chi mi ha contattato mi ha detto che è ripreso assieme a due trans e che si vede pure della cocaina. Vedrai, finirà che il video verrà messo su internet”.
Sul momento la notizia sembrava poco più che un pettegolezzo. Marrazzo già nel 2005 era stato pedinato da due investigatori privati legati a uomini dell’ex governatore di centro-destra Francesco Storace. E già allora i due detective, poi arrestati, avevano in animo di assoldare un transessuale per incastrare l’ex conduttore di “Mi manda Raitre”. Quella su Marrazzo aveva insomma l’aria di essere solo un cavallo di ritorno: una delle tante voci maligne, basate su circostanze parzialmente vere, messe in circolazione da quando i media berlusconiani avevano lanciato la loro campagna di autunno. Il loro assalto contro chiunque avesse osato incalzare il premier sullo spinoso tema delle ragazze a pagamento ospiti delle sue residenze. Invece era tutto vero. Per questo adesso adesso le letture possibili dell’accaduto si moltiplicano. E il ricatto a Marazzo assume dei contorni diversi dalla semplice storia di quattro carabinieri “mele marce” che tentano di estorcere denaro al governatore di centrosinistra dopo averlo sorpreso assieme a un viado. Se lo scopo dei militari infedeli, subito arrestati dai loro colleghi, era solo quello di far soldi, perché il filmato è stato immediatamente proposto a consulenti di politici e pure a dei giornali?
È un fatto che la grande stagione dei dossier si sia aperta subito dopo l’esplosione del caso di Patrizia D’Addario, la escort di Bari che aveva trascorso una notte a Palazzo Grazioli registrando di nascosto la voce del premier. È allora che, dopo il primo momento di sbandamento, i media vicini al Cavaliere passano al contrattacco, centellinando con sapienza le rivelazioni. A fine giugno su “Il Giornale” viene rilanciata una vecchia inchiesta che nel 2000 aveva portato alla scoperta di un giro di squillo frequentatrici di uomini dell’entourage di Massimo D’Alema. Ma, per il momento, non si racconta ancora come nella stessa indagine spunti pure fuori il nome di uno stretto collaboratore di Gianfranco Fini, il presidente del Senato, vero avversario del capo del Governo. La storia resta invece in un cassetto per poi essere pubblicata in settembre, quando prendono a circolare pure i primi veleni su Marrazzo.
Così Berlusconi, a fine giugno, con chi gli chiede lumi sulle notizie pubblicate a tutta pagina dal quotidiano di famiglia, sembra prendere formalmente le distanze dagli articoli. Ma intanto lancia un messaggio nemmeno troppo criptico: “Da editore ho stracciato molti servizi e molte fotografie”. Come dire: quello che è finito nel cestino, si può sempre recuperare. Emilio Fede è poi ancora più esplicito. Per lui, il muoia Sansone con tutti i filistei è quasi un passaggio obbligato. Il 21 giugno il direttore del Tg4 spiega che ormai si è “sorpassato il limite” e, vagamente minaccioso, considera: “Ma tutti questi segugi che scavano alla perenne ricerca del torbido. Siamo sicuri che abbiano la coscienza a posto? Hanno tutti armadi senza scheletri? Li vogliamo aprire?”.
Il resto è noto. Non appena “Il Giornale” cambia direzione Vittorio Feltri, grazie alla fotocopia di una sentenza di condanna per minacce telefoniche e una lettera anonima - spacciata per un documento giudiziario - rivela la presunta omosessualità di Dino Boffo, il direttore di Avvenire reo di aver criticato (blandamente) i comportamenti del premier. Poi se la prende col direttore di Repubblica, Ezio Mauro, che finisce nel mirino del quotidiano di via Negri per l’acquisto di un appartamento, forse pagato in parte in nero. Si tratta di una storia già pubblicata. E oltretutto è notizia che per anni è stata tenuta ferma in attesa di essere utilizzata nel momento più opportuno.
La vicenda dell’appartamento di Mauro, infatti, è al centro di una conversazione telefonica del 17 gennaio del 2002 tra l’ex ministro pluripregiudicato Paolo Cirino Pomicino (collaboratore de “Il Giornale”) e un’amico, un ex manager dell’Eni già coinvolto come lui in Mani Pulite. Quel giorno Pomicino, senza sapere che gli apparecchi sono sotto controllo, lo ascolta raccontare tutto. E lo sente dire: “Non so quanto vale la polemica che c’è in giro adesso, se valesse qualcosa tu sappi che c’abbiamo tutta sta roba”. Traduzione: mettiamo il dossier in un cassetto e tiriamolo fuori al momento opportuno. Sette anni dopo, a essere svuotati non sono più solo i cassetti. Ormai si è arrivati agli armadi.
Nessun commento:
Posta un commento