Oggi su Il Fatto Quotidiano, a pagina 18, trovate pubblicata una lettera del giudice Gabriella Nuzzi che riporto qui sotto.
Il giudice Nuzzi è una delle vittime della sezione disciplinare del Csm che dispose la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio del procuratore di Salerno Luigi Apicella e il trasferimento, appunto, di due giudici Dionigio Verasani e Gabriella Nuzzi, rei di essersi ostinati nella ricerca della verità nei finanziamenti pubblici e dell’Unione Europea alla Calabria.
Le indagini Why Not e Poseidon per capirci, quelle indagini inavvicinabili su cui politica e governo fecero quadrato affinché venissero distolte e sgretolate nel tempo. Le stesse che costrinsero de Magistris ad abbandonare la magistratura e continuare la sua lotta nella politica con Italia dei Valori.
Il giudice Nuzzi ha tutta la mia solidarietà e condivido la visione della realtà di cui lei ed i suoi colleghi furono assolutamente vittime. Uno zelo, il loro, che nella storia è stato scoraggiato con l'utilizzo del tritolo ed ora con un sistema trasversale, più sofisticato e "meno rumoroso", che si serve delle istituzioni.
Testo della lettera di Gabriella Nuzzi su Il Fatto Quotidiano:
Sono nella lista nera. Perché?
Ho osato indagare, nel legittimo esercizio delle mie funzioni, su altri magistrati di Catanzaro.
La scena finalmente si chiude, cala il sipario nero.
Regista e attori tirano un respiro di sollievo.“Giustizia è fatta”. Ma la platea è muta, nessuno plaude. L’epilogo è paradossale, grottesco. Due magistrati della Procura di Salerno sono stati severamente puniti dalla sezione disciplinare del Csm. Esautorati delle loro funzioni inquirenti, allontanati dalla sede in cui le esercitano. Cassato un pezzo di vita professionale. Ore, giorni, mesi dedicati, in silenzio, con scrupolo, a studiare carte, leggi, sentenze; a scrivere, indagare,nel tentativo di amministrare una Giustizia eguale per tutti. Tempo sprecato. I giudici disciplinari, che non avevano mai fatto mistero del proprio convincimento e chiaramente interessati al celere seppellimento della vicenda, possono finalmente veder consacrato il proprio verdetto.
Sono ufficialmente nella lista nera dei “cattivi magistrati”.
Perché, nel legittimo esercizio delle mie funzioni, ho osato indagare su altri magistrati di Catanzaro
per gravi delitti di corruzione in atti giudiziari, abuso d’ufficio, falso ideologico,omissione in atti d’ufficio, favoreggiamento, calunnia e così via, connessi all’illegale sottrazione al pm titolare Luigi de Magistris delle inchieste Poseidone e Why Not e alla loro successiva disintegrazione.
Ho osato, com’era mio obbligo, sequestrare atti e documenti processuali integranti il “corpo” di quei reati. Ho osato perquisire abitazioni e uffici dei magistrati indagati, per ricercare tracce e cose pertinenti ai reati, necessarie al loro accertamento.
Ho osato raccogliere e riscontrare minuziosamente decine e decine di denunce del pm a cui le inchieste erano state sottratte, reo anche lui di aver scoperto il sistema di illecite cointeressenze che domina la gestione del denaro pubblico. Ho osato fare i nomi e i cognomi dei presunti appartenenti e favoreggiatori di quel sistema. Ho osato volere a tutti i costi applicare la legge, senza capire, assai imprudentemente, che nel mio “mestiere” il principio costituzionale dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge non vale sempre e per tutti. Esiste un superiore principio non scritto, di ordine deontologico: quello dell’ ”opportunità”.
Avrei dovuto chiedermi (e non l’ho fatto): è proprio opportuno indagare il magistrato Tizio, il politico Caio, l’i m p re n d i t o re Sempronio, il faccendiere Mevio? E’ proprio necessario perquisirne abitazioni e uffici, sequestrare carte e documenti? La risposta è variabile, dipende dalle circostanze. A volte sì, a volte no. Perché, mi dicono, la diligenza del bravo magistrato si misura sulla sua prontezza di riflessi, sulla velocità nell’intuire quando è il caso di agire e quando no; sulla sua capacità di interpretare i segnali; di ricorrere a diplomazia e compromessi; di attendere che i tempi di indagini lentamente scadano; di saper selezionare e infine archiviare. E la sua correttezza sta nell’evitare di fare i nomi di illustri colleghi, politici e imprenditori: questione di privacy. Merito una lezione. Mai eccedere nel perseguire fini di giustizia! Si spera che io abbia inteso, una volta per tutte. Lo ammetto, ignoravo l’esistenza di tali singolari regole “deontologiche”, ovviamente non scritte. Ma, a essere seri, mi sembra che la vera deontologia non c’entri un bel niente: sarebbe dignitoso per la nostra categoria non tirarla in ballo. Si tratta invece di capire le ragioni vere per cui tre pm di Salerno, doverosamente impegnati a far luce su un devastante sistema di corruzioni e collusioni giudiziarie, siano stati “fatti fuori” con gli strumenti della nuova legge disciplinare, pagando un prezzo altissimo per la loro indipendenza, politica e associativa. Si tratta di capire perché, al di là della vergognosa farsa della “guerra tra Procure ”, gli organi disciplinari stiano consentendo ad altri magistrati, indagati per gravi fatti di corruzione in atti giudiziari e così via, per giunta autori di illecite attività ai danni dei loro indagatori, di continuare impunemente ad amministrare giustizia nei contesti criminosi oggetto delle indagini di Salerno. Quali superiori principi di “deontologia professionale” vigono per costoro? Quale eccezionale criterio di ragionevolezza ha indotto i supremi organi disciplinari a non intervenire anche in questo caso con gli strumenti cautelari? Esistono forse equilibri di poteri - politici, giudiziari, criminali - dapreservare e che non possiamo conoscere? E chi ne sarebbero gli inamovibili garanti? Chi gli “eversori” da punire e cacciare? Esiste forse un modus operandi, diverso da quello del contrasto aperto e diretto al crimine organizzato di ogni livello, che tende, invece, sottobanco, all’accordo e al compromesso e che serve a salvaguardare occulti sistemi di interessi? C’ è uno sfondo, in questa nostra vicenda, che si finge di non vedere; o forse, semplicemente, fa troppo paura guardare. Credo, però, che i cittadini abbiano il diritto di sapere a che gioco stanno giocando gli apparati istituzionali, soprattutto, perché quel gioco baro danneggia la vita di integri servitori dello Stato. Ma occorre anche il coraggio del rinnovamento, anche nella magistratura, con riforme serie che non la rendano inerme, ma autenticamente indipendente sia dai condizionamenti esterni del potere politico o criminale, sia da quelli interni che possono derivare dalla dipendenza psicologica ai meccanismi di nomina, promozione, assegnazione di incarichi extra-giudiziari, o per converso, di disciplina.
La nostra amara vicenda, che segue quelle di tanti altri colleghi dimenticati o ignorati, dimostra quanto basso sia il punto in cui versa l’attuale “autogoverno” e quanto distante sia dai nobili intendimenti dei Padri Costituenti. Un “autogoverno” totalmente prigioniero delle logiche di appartenenza e spartizione politica e correntizia, anche in spregio al diritto di difesa. E ancor più forte si fa il bisogno di un organo “sindacale” nuovo, in grado di assicurare tutela effettiva ai diritti del magistrato in quanto “pubblico impiegato”, capace di aprirsi ed interloquire con la società civile, senza tesseramenti, condizionamenti politici, ambizioni carrieristiche o di potere. Mi auguro, da buon cattivo magistrato, che l’assordante e granitico silenzio, in cui si è chiuso l’ordine giudiziario riguardo alla vicenda salernitana, serva almeno alla riflessione.
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