Se un quisque de populo, parlo per esperienza, perde una causa civile in primo grado, la sentenza è immediatamente esecutiva e, di solito, la richiesta di sospensiva viene respinta: paga subito i danni, dopodiché può ricorrere in secondo e terzo grado: e alla fine, se gli danno ragione in appello e in Cassazione, chiede i soldi indietro. Se invece la causa in primo grado la perde l’azienda del presidente del Consiglio, che è anche l’uomo più ricco d’Italia e il premier più ricco del mondo, la sospensiva scatta in automatico, perché il poverino non ha di che sfamare le sue due famiglie e la numerosa prole, senza contare che ha pure la scarlattina.
C’è poi un piccolo dettaglio che, se fossimo come lui, utilizzeremmo a reti ed edicole unificate per screditare il giudice: il presidente della II Corte d’appello civile di Milano che ha deciso la sospensiva si chiama Giacomo Deodato e ha lo stesso cognome e le stesse origini messinesi di un ex deputato di Forza Italia (per due legislature: dal 1996 al 2006): Giovanni Deodato.
Ora, pare che i due Deodato da Messina non siano soltanto omonimi e concittadini, ma fratelli. Cioè: il giudice che ha salvato la Fininvest dall’obbligo di pagare subito 750 milioni a De Benedetti per lo scippo Mondadori, è il fratello di un esponente del partito del padrone della Fininvest.
Il tipico comunista.
Immaginate la stessa notizia a parti invertite: un giudice dà ragione a Di Pietro ed è il fratello di un tizio che fino a tre anni fa era deputato dell’Italia dei Valori.
E figuratevi l’uso che ne farebbero i vari Feltri, Belpietro, Vespa, Betulla, Brachino o la voce bianca di Studio Aperto, per non parlare dei berlusconiani travestiti del Pompiere della Sera.
Altro che pedinamenti a caccia di calzini turchesi.
L’anno scorso, quando una gip di Salerno accolse la richiesta di archiviazione dei pm per un’indagine su De Magistris e si scoprì che era addirittura la cognata di Santoro, la banda del buco inscenò una gazzarra infernale solo perché Santoro aveva invitato due volte De Magistris ad Annozero.
Su questo malvezzo di difendersi dai processi screditando i giudici anziché rivendicare la propria innocenza, ha già scritto mirabilmente Massimo Fini sul Fatto.
Fino a prova contraria, se il giudice Deodato ha concesso la sospensiva alla Fininvest, non è perché è una toga azzurra: avrà avuto i suoi buoni motivi. E solo un malato di mente può inferire la sua appartenenza a Forza Italia da quella del fratello. E, anche se votasse Forza Italia, bisognerebbe ancora dimostrare che le sue simpatie politiche hanno influenzato la sua decisione.
Ciascun giudice ha il sacrosanto diritto di avere le sue idee politiche e di vedersi riconosciuta la buona fede, sempre fino a prova contraria.
Purtroppo però è un privilegio che, in questo paese di merda, tocca soltanto al giudice che dà ragione a Berlusconi.
Infatti ieri, mentre la Fininvest incassava la sospensiva e risparmiava 750 milioni, l’on. avv. Ghedini così commentava la condanna di Mills: “Si conferma che a Milano non si possono celebrare processi quando vi sia un collegamento col presidente Berlusconi”. Dimenticava di aggiungere: “Salvo quando incontriamo Deodato e le decine di giudici che ci han regalato tre assoluzioni e sei attenuanti generiche con prescrizione incorporata”.
Ma dimenticava pure – gliel’ha rammentato Luigi Ferrarella sul Corriere – che due anni fa il giudice che ha ricondannato Mills, Flavio Lapertosa, è lo stesso che aveva assolto il Cavaliere nel processo Sme-Ariosto, con una sentenza che definire stiracchiata è un complimento.
Non si ricordano all’epoca tuoni e fulmini ghediniani contro l’intera magistratura milanese. Eppure proprio quella sentenza era l’ennesima “conferma che a Milano non si possono celebrare processi quando vi sia un collegamento col presidente Berlusconi”.
Perché, di riffa o di raffa, trovano sempre il modo di dargliela vinta.
Preferiscono vivere.
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